Economia

Ricostruire la vallata. E la propria vita

Prima vivevano in manicomio, lontani da tutti. Oggi i “matti” abitano in comunità e il paese li ha adottati. Al punto che dopo l’alluvione...

di Redazione

Un albero fatto di rami sottili rivolti verso il cielo. È il logo di Villa Fiorita, una comunità ad alta protezione per malati psichici gravi nel centro di Brembilla, in Val Brembana. È stato Gregorio, uno degli ospiti, a disegnare il simbolo della casa di accoglienza, inaugurata nel 1999, della cooperativa Aeper di Bergamo. Segno che Gregorio, capelli bianchi e sguardo arguto, una vita passata nel vecchio ospedale psichiatrico cittadino, ha deciso di mettere radici in quella villa circondata da un grande giardino, un edificio neoclassico su tre piani con una enorme veranda soleggiata, insieme ai suoi nove compagni di viaggio, reduci dell?esperienza manicomiale. «Si è trattato di un cambiamento radicale», spiega Silvia Pedrini, coordinatrice della comunità Villa Fiorita. «Venticinque anni fa la legge 180 ha sancito la chiusura dei manicomi e la fine di un approccio sociosanitario alla malattia mentale». Da allora nessuno ha messo più piede in un ospedale psichiatrico, ma per anni gli ospiti hanno continuato a vivere tra le mura del vecchio manicomio gestito con modalità differenti. L?ex onp è stato smantellato nel 1998 e da allora la novantina di ospiti della struttura sono stati distribuiti in piccole comunità gestite dal privato sociale. La cooperativa Aeper, che da 25 anni si occupa di varie forme di disagio ed emarginazione, ha accolto a Villa Fiorita dieci di queste persone. «Abbiamo 12 ospiti su una capienza di 13, 11 dall?ex onp e uno dal territorio», continua Silvia Pedrini. «La nostra è una comunità mista, con 7 uomini e 5 donne di un?età compresa tra i 43 e i 75 anni. Abbiamo persino una coppia che vive in alcune stanze ricavate appositamente per loro». «Il passaggio dall?ex onp alla comunità è stato graduale», si inserisce Rita Ledi, uno dei 28 operatori tra educatori, medici, infermieri e ausiliari della comunità. «Molti avevano trascorso una vita in manicomio. Noi abbiamo fatto in modo che seguissero i lavori di ristrutturazione. Il paese ha organizzato un pranzo per dare loro il benvenuto. Qui hanno recuperato la cura di sé, non solo dei propri bisogni materiali ma anche delle relazioni umane. La vita della comunità è scandita come in una famiglia in cui tutti si prendono in carico le piccole incombenze quotidiane e allo stesso tempo c?è spazio anche per la coltivazione delle proprie passioni individuali. Gregorio e Maria dipingono, mentre Beppe si prende cura dell?orto. Il pranzo è il momento comunitario». «La comunità ha trovato un valido supporto nel territorio», sottolinea Silvia Pedrini. «Molti degli ospiti provenivano da paesi della Bergamasca, qui hanno ritrovato il loro habitat naturale. Possono entrare e uscire dalla comunità se le condizioni psico fisiche lo permettono. Tutti li conoscono. Abbiamo fatto in modo che la cittadinanza capisse che le porte della comunità sono aperte e che conta molto per i malati ricostruire la rete sociale perduta nel manicomio. Abbiamo partecipato anche ai lavori di ricostruzione dopo l?alluvione che nel novembre scorso ha travolto la Valle Brembana».

Elena Catalfamo


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