Economia

Un marchio di garanzia perché vinca il migliore

Come misurare la qualità nella cooperazione sociale? I sistemi ci sono, anche se sono nati da poco. Tra Iso 9000 e nuovi indicatori allo studio, ecco tutte le novità per chi desidera ...

di Francesco Agresti

Determinante per il successo di ogni strategia aziendale, la qualità è un concetto che difficilmente si presta a efficaci riduzioni definitorie. Non è semplice definirla, non è facile quantificarla, ma la sua assenza è facilmente percepibile e può avviare le imprese verso un lento ma inesorabile declino.
Se per le imprese for profit oramai da diversi anni sono stati definiti degli standard per certificarla, nella cooperazione sociale quantificare e definire dei criteri di misurazione è compito reso ancor più arduo dalla natura dei servizi erogati e dal ruolo svolto all?interno della comunità territoriale. Il consorzio Cgm cinque anni fa ha avviato un progetto dedicato alla qualità che ha coinvolto 500 cooperative sociali e 50 consorzi e ha portato finora alla certificazione Iso 9001 di oltre 300 cooperative. «Il nostro», spiega Gianantonio Farinotti, responsabile del progetto qualità di Cgm, «è stato un percorso articolato in più tappe».
«Siamo partiti dall?adozione della certificazione Iso9001, con la quale vengono monitorati i processi che vanno dalla progettazione all?erogazione dei servizi, avendo bene a mente il valore parziale di questo strumento di rilevazione sul quale abbiamo cercato di costruire modelli di misurazione compatibili con la natura della cooperazione sociale nel tentativo di approdare, tra qualche tempo, a una norma specifica per il Terzo settore. Successivamente siamo passati alla valutazione dei servizi erogati dalle cooperative, cercando di definire degli indicatori: in questa direzione stiamo ultimando la definizione di un marchio settoriale per il settore della psichiatria. La prossima tappa sarà la realizzazione di un modello di rendicontazione sociale».

Legami di fiducia
Quello che per le imprese profit è un punto di arrivo, per le cooperative sociali rappresenta solo l?inizio di un percorso che dovrebbe portare a garantire a ogni livello di attività il raggiungimento di standard qualitativi. «Ciò che contraddistingue la cooperazione sociale», spiega Giuseppe Scaratti, professore di psicologia della formazione e dell?intervento organizzativo all?Università Cattolica di Milano e coautore, insieme a Farinotti, del libro Qualità come strategia per l?impresa sociale di comunità, (edito da Unicopli e che viene presentato nel corso della convention di Cgm in programma a Monopoli dal 5 all?8 giugno), «è la capacità di creare in un territorio legami di fiducia tra i diversi portatori di interessi; la qualità rappresenta quindi un?esigenza per le cooperative sociali che hanno bisogno di interpretare il loro ambiente di riferimento, di essere una risorsa, un soggetto capace di creare valore economico e sociale». Altra questione, secondo il professore, è quella della sua misurazione.

La ricchezza della comunità
«Gli approcci finora emersi sono diversi e convergono tutti su un aspetto pluridimensionale di qualità. È possibile costruire sistemi articolati con modalità di lettura che possono essere sintetizzate in un manuale, facendo attenzione però a non cedere all?idea che siano sufficienti dieci regole per attribuire la patente di qualità».
Non proprio un decalogo, ma un elenco di principi sono stati individuati dalle cooperative sociali della Legacoop di Modena e questi indicatori sono stati sintetizzati in un bilancio sociale presentato in un incontro pubblico.
«Per definire la qualità della nostra attività», spiega Massimo Ascari, responsabile della cooperazione sociale modenese della Lega, «ci siamo posti delle domande: quanto il valore dell?attività svolta dalle cooperative sociali arricchisce la comunità? Quanto e in che modo tale valore è distribuito ai soci e più in generale al territorio in cui queste operano? Rispondendo a questi due quesiti abbiamo cercato di individuare dei principi guida che riguardano, ad esempio, il radicamento sul territorio, l?inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati, le ore investite nella formazione e i rapporti contrattuali con i lavoratori».

Ma quanto costa essere bravi?

Punto di partenza del progetto Qualità di Cgm è stata la certificazione Iso-9001, norma comunitaria standardizzata che misura la qualità dei processi aziendali. Ma quanto costa accedere a questo importante marchio di garanzia? Se lo possono permettere tutti o è riservato ai più stabili economicamente?
La certificazione ha due costi fondamentali: uno di ?rilascio? e uno di ?sorveglianza? che variano in relazione alla dimensione dell?impresa certificata. In generale, i costi per ottenere la Iso 9001 variano da un minimo di 1.800 euro per un?impresa con meno di 15 addetti, a un massimo di 2.800-3.300 euro per imprese che superino i 50 addetti; nella fascia intermedia (imprese con un numero di addetti compreso tra 15 e 50) la spesa non supera i 2.300 euro.
La certificazione ha validità triennale, ma annualmente l?ente di certificazione effettua delle ispezioni per verificare che gli standard continuino a essere rispettati. Ispezioni uguale spese, ovviamente. Anche qui abbiamo tre fasce: il costo annuale delle ispezioni va da circa 1.500 euro (imprese fino a 15 addetti), a circa 2.000 per le imprese che impiegano da 15 a 50 addetti e a circa 3.000 per le aziende con più di 50 addetti.

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