Medio Oriente

Tre impegni che l’Europa dovrebbe chiedere a Israele

Quattro giorni di stop ai combattimenti e al lancio di razzi. 50 prigionieri israeliani, donne e bambini, rilasciati in cambio di 150 palestinesi (minori e donne). Disco verde all'entrata degli aiuti nella Striscia di Gaza. Sono i termini dell’accordo fra Israele e Hamas. Questa la cronaca. Può essere davvero una svolta? La riflessione e le proposte di Paolo Bergamaschi per 24 anni consigliere politico presso la Commissione Esteri del Parlamento europeo

di Paolo Bergamaschi

Dal 1986 si celebra il 9 maggio la “Giornata dell’Europa” per commemorare la “Dichiarazione di Schuman”. In quella data del 1950, infatti. l’allora ministro degli esteri francese Robert Schuman pronunciò il famoso discorso che, proponendo il superamento della rivalità storica fra Francia e Germania con la creazione di un primo nucleo economico in ottica federale, segna l’inizio del processo di integrazione europea.

In tutte le ambasciate dell’Unione sparse nel globo è consuetudine ricordare quel giorno con un ricevimento ufficiale a cui vengono invitate a intervenire le massime autorità del Paese ospitante nonché i rappresentanti della società civile e personalità di spicco.

In Israele, però, quest’anno la prevista cerimonia è stata annullata. Il motivo della cancellazione improvvisa è stata la decisione del governo di Tel Aviv di farsi rappresentare da Itamar Ben Gvir, il ministro per la Sicurezza Nazionale. Ben Gvir, leader del partito di estrema destra “Potere ebraico”, è stato condannato in passato per istigazione al razzismo  e accusato più volte di incitamento all’odio contro agli arabi. «Con rammarico quest’anno abbiamo deciso di cancellare il ricevimento diplomatico poiché non vogliamo offrire una piattaforma a qualcuno le cui opinioni contraddicono i valori per i quali l’Ue si batte», recita inequivocabile il comunicato della delegazione europea in Israele.

Si è trattato di uno schiaffo diplomatico, una presa di distanza netta nei confronti di chi predica odio, condivisa anche dalle locali organizzazioni per i diritti umani che erano state invitate e hanno accolto con favore la decisione dell’annullamento per non dare legittimità a chi promuove politiche razziste e discriminatorie.

Credere che con il governo di Netanhyau una volta terminata la guerra a Gaza possa rimettersi in moto il treno della pace è fuori da ogni logica

Credere che con il governo di Netanhyau una volta terminata la guerra a Gaza possa rimettersi in moto il treno della pace è fuori da ogni logica. Per anni l’attuale primo ministro israeliano, il più longevo della storia, ha tenuto in scacco la diplomazia internazionale temporeggiando e rallentando i negoziati o, comunque, cercando di aggirare o accantonare la questione palestinese attraverso accordi diretti bilaterali con i singoli Paesi arabi. Ha avuto buon gioco grazie anche alle divisioni in casa palestinese e agli attentati terroristici di Hamas e della Jihad islamica.

Dai tempi di Obama l’elettrocardiogramma del processo di pace israelo-palestinese è piatto. L’offensiva israeliana a Gaza, intanto, malgrado lo stop annunciato nella notte continua senza che si chiariscano gli obiettivi finali. Per la diplomazia occidentale la conclusione della guerra è la soluzione dei Due Stati, quello israeliano e quello palestinese chiamati a coesistere sullo stesso fazzoletto di terra in pace e sicurezza reciproca ma a Tel Aviv non si sbottonano. L’esodo forzato o indotto della popolazione della striscia potrebbe prefigurare uno scenario di pulizia etnica che la diplomazia internazionale ha l’obbligo di scongiurare.

Non c’è dubbio che la nuova crisi mediorientale rappresenta l’ennesimo esame di maturità per l’Ue chiamata a dimostrare di essere in grado di produrre una politica estera credibile e coerente con quanto sta avvenendo sullo scacchiere ucraino. Gli sforzi di Josep Borrell, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune appena rientrato da un tour de force diplomatico nei Paesi della regione per trovare una soluzione politica sono encomiabili ma risultano vani se non sono accompagnati da gesti concreti.


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Tre, a mio avviso, sono le misure che l’Ue dovrebbe immediatamente adottare per delineare il suo profilo.

  1. In primo luogo bisogna mettere sotto sanzioni le organizzazioni estremiste e i leader dei coloni che si sono macchiati di atti di violenza contro la popolazione civile palestinese così come richiesto anche da 30 organizzazioni non governative israeliane;
  2. in secondo luogo dovrebbe stanziare risorse adeguate sia finanziarie che tecniche a supporto degli investigatori del Tribunale Penale Internazionale che si occupano dei crimini di guerra commessi a Gaza in linea con quanto fatto in Ucraina;
  3. in terzo luogo occorre vietare in tutti i Paesi dell’Ue l’importazione di prodotti degli insediamenti israeliani nei territori occupati che, in quanto tali, violano il diritto internazionale.

Si tratta di tre provvedimenti semplici e pratici dall’alto valore simbolico: è chiedere troppo?   

Foto: La Presse            

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