Formazione

Se mucca pazza va in sala operatoria

L'allarme di un grande esperto: le operazioni possono favorire il contagio tra umani

di Gabriella Meroni

Uomini portatori sani del morbo della mucca pazza. Operazioni chirurgiche a rischio di contagio. Casi di variante umana della Bse in allarmante aumento. Questi gli allarmi lanciati da Adriano Aguzzi, uno dei maggiori studiosi del prione della Bse al mondo, nel corso di una riunione che doveva rimanere riservata – e invece è stata resa pubblica per merito di un giornalista “infiltrato”, Antonio Mira di Avvenire – al ministero delle Politiche agricole. Ad ascoltarlo, decine di scienziati, medici e ricercatori. Il giorno dopo, nessuna smentita. E nemmeno una reazione da parte del ministero della Sanità, che dovrebbe difendere la nostra salute e invece si ritrova oggi sotto accusa. Vita ha rintracciato uno degli scienziati presenti alla riunione, il dottor Gianluigi Forloni dell’Istituto Mario Negri di Milano, un ricercatore che da tempo si occupa di patologie neurodegenerative e in particolare di Creutzfeldt-Jacob, il morbo la cui variante è la versione umana della mucca pazza. A lui proviamo a chiedere qualche spiegazione in più, anche considerando il fatto che in appena due mesi, i primi di quest’anno, le segnalazioni di questa rarissima malattia all’apposito registro dell’Istituto Superiore di Sanità sono state ben 53, praticamente una al giorno. Un numero abnorme, considerando che in tutto il 2000 i casi segnalati erano stati meno di 150. Vita: Dottor Forloni, lei ha sentito per intero le preoccupazioni di Aguzzi. E’ un allarmista o ha ragione? Gianluigi Forloni: Aguzzi ha ragione nel sottolineare un aspetto poco considerato della malattia conosciuta ai più come “mucca pazza”: il fatto che alcune persone, non sappiamo quante, possono essere portatori del prione pur senza ammalarsi. E quindi trasmetterlo ad altri attraverso le normali operazioni chirurgiche. Il rischio del contagio esiste, non è una novità. Anche se si tratta probabilmente di numeri molto piccoli. Vita: Vediamo se ho capito. Se un chirurgo opera una persona portatrice del prione e sterilizza gli strumenti normalmente, l’agente resiste e può infettare il successivo paziente. E’ così? Forloni: Teoricamente sì. Attualmente gli strumenti chirurgici vengono sterilizzati con autoclavaggio a 132 gradi, un trattamento che riduce di molto il potenziale aggressivo del prione, pur senza eliminarlo del tutto. Di qui l’esortazione di Aguzzi ad aumentare le misure di sicurezza, a partire dalla temperatura, per cautelarsi contro tutti i rischi. Ma io credo che in fondo la temperatura da sola non garantisca… il punto è che di questa patologia e delle sue modalità di trasmissione sappiamo pochissimo. Vita: Quali sono gli interventi più a rischio? Si parlava di tonsille e appendicite, organi in cui il prione è stato trovato nei malati di mucca pazza inglesi. Forloni: Sì, effettivamente sono operazioni che presentano più di una incognita. E il fatto che siano anche tra le più comuni non contribuisce certo a tranquillizzare gli animi. Vita: Sarebbe complicato introdurre misure di sterilizzazione che garantiscano al cento per cento? Forloni: Più che complicato sarebbe costoso, non solo in termini di denaro ma anche di tempo. Non esistono cambiamenti a costo zero, ci sono precise responsabilità da prendersi. Allungare le procedure pre e post operatorie significa sottrarre risorse economiche ma anche umane da altri tipi di attività, compresa l’assistenza ai malati. O anche solo di ridurre il numero di interventi possibili nell’arco della giornata. Se si ha la volontà di fare questo, in nome del diritto alla salute, che si faccia presto. Anzi, subito. VitaE secondo lei c’è questa volontà? Forloni: Io dico che sarebbe auspicabile che l’Istituto superiore di sanità mettesse a punto delle nuove linee guida per la sterilizzazione degli strumenti, in modo che tutti si adeguino. Il rischio le giustificherebbe.


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