Violenza di genere

Orfani di femminicidio: 1 su 3 ha assistito all’uccisione della madre

Sono 157 gli orfani di femminicidio raggiunti dai 4 progetti finanziati dall’impresa sociale Con i Bambini. Il 74 % ha un’età compresa tra i 7 e i 17 anni. Sono quasi tutti italiani. Nel 36 per cento dei casi erano presenti al momento dell’evento. «Questo elemento ha conseguenze che condizioneranno ancor più pesantemente gran parte della vita», commenta il presidente Marco Rossi Doria

di Sabina Pignataro

Cosa succede solitamente ai figli delle donne ammazzate? Nulla, vengono dimenticati. O almeno questo accadeva fino al 2021, quando l’impresa sociale Con i Bambini ha avviato “A braccia aperte”, la prima iniziativa di sistema in loro favore e a supporto delle famiglie affidatarie.  

Il 25 novembre dell’anno scorso VITA aveva raccontato cosa era fatto nel primo anno, grazie a questi quattro progetti: Airone nel Centro Italia; S.O.S. Sostegno Orfani Speciali in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta; Re.S.P.I.R.O, nelle regioni del Sud Italia e Orphan of Femicide invisible Victims in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia. Un anno di attività non è molto per intervenire pressoché da zero su un tema del genere, ma neanche poco: i quattro progetti finanziati hanno imbastito una serie di iniziative che ambiscono davvero a contribuire a rendere migliore la vita di centinaia di ragazzi. Lo abbiamo raccontato qui

I primi numeri: 157 gli orfani presi in carico

La novità di quest’anno è che finalmente è possibile cominciare a dire quanti sono gli orfani presi in carico da questi quattro progetti e fare una fotografia delle esperienze e delle problematiche più diffuse.

Sono 157 gli orfani presi in carico dai quattro progetti finanziati dal Con i Bambini. Questo dato è variabile perché altri 260 in tutta Italia sono stati già agganciati dai partenariati gestori, e a breve inizieranno anch’essi un percorso di sostegno e accompagnamento con le loro famiglie.

La percentuale più alta di orfani accompagnati riguarda il Sud, al momento (ottobre 2023) ci sono 100 orfani presi in carico grazie al progetto Respiro. Ma il dato è fortemente in crescita.

Età: il 74% ha tra 7 e 17 anni

Per il 74 per cento dei beneficiari l’età di ingresso nel progetto è tra i 7-17 anni, per il 17% l’età è compresa tra 18-21 anni e per il rimanente 8% l’età è inferiore a 6 anni. Di questi, il 56% sono di sesso maschile e il 43% femminile (1% non specificato). Il 95% dei beneficiari presi in carico ha la cittadinanza italiana, solo il 5% ha cittadinanza di altri paesi UE o extra-UE.

Uno su tre ha assistito al femminicidio
Nel 36 per cento dei casi i bambini erano presenti al momento dell’evento. «Questo elemento ha conseguenze che condizioneranno ancor più pesantemente  gran parte della vita. I minori che diventano orfani a seguito di tali tragici eventi subiscono un impatto psicologico devastante, il quale inevitabilmente influisce negativamente sulla loro sfera emotiva e relazionale», commenta Marco Rossi Doria presidente di Con i Bambini. «Le conseguenze psicologiche creano una vera e propria sindrome denominata child traumatic grief.  Il bambino, sopraffatto dalla sofferenza e dalla reazione al trauma, diviene incapace di elaborare il lutto, trovandosi intrappolato in uno stato di dolore cronico».

Le reazioni dei ragazzi possono essere di distacco emotivo dall’evento – per una comprensibile ritrosia ad affrontarlo – ma possono esprimersi anche con uno scivolamento negli agiti, nella violenza, nelle dipendenze, nella perdita della capacità di stare a scuola, di concentrarsi, di stare con gli altri in modo proattivo.  «La preparazione degli educatori e dei tecnici che si occupano del sostegno e affiancamento dei ragazzi e delle famiglie in queste situazioni è delicato e impegnativo».

Il 13% degli orfani presenta forme di disabilità (precedenti al trauma); tra le più comuni vi sono disabilità intellettive e relazionali e un ulteriore 8% presenta Bisogni Educativi Speciali (BES), disturbi evolutivi specifici o disturbi psichici. Questo è un dato “inedito” nel senso che viene studiato per la prima volta.

Chi li accoglie dopo?

Il 42% oggi vive in famiglia affidataria, il 10% vive in comunità e il 10% con una coppia convivente. Solo il 5% è stato dato in adozione e vive con una famiglia adottiva.

La legge n. 4 del 2018 dispone che il tribunale competente, eseguiti i necessari accertamenti, provvede privilegiando «la continuità delle relazioni affettive consolidatesi tra il minore stesso e i parenti fino al terzo grado». E infatti, spesso, i bambini sono affidati ai nonni e agli zii.

Tuttavia, sottolineano alcune associazioni impegnate nella tutela dei bambini, l’idea per cui i parenti siano le persone che meglio di altre possono essere un supporto per questi bambini, non è scontata; questo perché bisogna tener presente che nonni e zii sono essi stessi impegnati ad affrontare le emozioni legate all’uccisione di un familiare e per questo potrebbero essere “emotivamente non disponibili”».

Lo racconta Stefania Prandi nel libro Le conseguenze. I femminicidi e lo sguardo di chi resta (Settenove edizioni): «alcune famiglie sono rimaste congelate nei ricordi; altre vivono nel rimorso per non aver capito in tempo; altre ancora sono fagocitate dalla rabbia e dal desiderio di vendetta; oppure annientate dal dolore».

Come è stata gestita la morte della madre?


Nei casi di femminicidio presi in carico dai progetti di Con i Bambini il 36 per cento dei bambini erano presenti al momento dell’uccisione della madre, inoltre tre bambini le cui madri sono state vittime di femminicidio nel 2015 e nel 2017, al momento della presa in carico da parte del progetto non erano ancora stati resi consapevoli o a conoscenza della verità rispetto all’evento. In altri 7 casi di femminicidi avvenuti tra il 2016 e il 2022 i bambini risultano essere solo in parte a conoscenza e consapevoli della verità. In numerosi casi è stato grazie al supporto del progetto che le famiglie affidatarie hanno accettato di raccontare la verità rispetto all’accaduto. Da altre interviste è emerso che i professionisti che all’inizio avevano seguito le famiglie avevano al contrario consigliato di non dire la verità, o non erano in grado di gestire le emozioni durante i colloqui, confermando l’importanza della formazione e della seria supervisione per affrontare questo lavoro complesso e prezioso, che oggi le reti al lavoro garantiscono.

Funerale sì?

Nadia Teresa Muscialini, psicoterapeuta che da vent’anni si occupa di questi orfani e che è stata la responsabile di Soccorso Rosa,  aveva spiegato a VITA come «A volte i figli apprendono della morte della madre dagli organi di informazione, altre volte la notizia viene loro comunicata dai familiari, loro stessi sconvolti. A volte ai più piccoli viene nascosta la verità, ritenendo, erroneamente, che questo possa proteggerli. Tanti bambini così si ritrovano a vivere all’improvviso in una famiglia monca e colma di silenzi: invece è molto importante che ai piccoli, così come ai grandi, non si dicano bugie», chiarisce Muscialini. «Inoltre, a meno che ci siano elementi ostativi, agli orfani andrebbe offerta la possibilità di partecipare al funerale, perché l’elaborazione del lutto non può prescindere dalla consapevolezza della morte della propria madre».

Le difficoltà economiche (post femminicidio)

L’83% delle famiglie dei beneficiari arriva a fine mese con grande difficoltà, spesso per la necessità di circondarsi di professionisti e specialisti per supportarli con i bambini, come emerso dalle interviste ai caregiver, ovvero di chi si prende cura del minore. Ciò nonostante, gli spazi in cui la famiglia vive risultano essere adeguati ai bisogni dei domiciliati nella gran parte dei casi. I nuclei familiari includono in media tra i 3 e i 5 componenti compresi i bambini.
La condizione socio economica degli orfani e delle famiglie affidatarie è un altro elemento discriminante per la crescita di bambini e ragazzi che hanno subito un trauma così forte. Il 52 per cento riceve misure di sostegno al reddito: il 6 per cento reddito di cittadinanza, il 45% altre misure. L’impossibilità ad accedere agli strumenti a loro tutela, o avere le stesse opportunità degli altri ragazzi non fa altro che acuire ancora di più il discrimine che sono costretti a subire anche per il loro futuro. Il 15 per cento di loro dichiara di avere un reddito annuale inferiore a 12 mila euro, l’8 per cento superiore, mentre per il 77 per cento l’informazione non è nota.

Il 16 novembre Il Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso e dei reati intenzionali violenti, presieduto dal Commissario straordinario Felice Colombrino, ha deliberato oltre 300mila euro di nuovi indennizzi.  In particolare, il Comitato ha concesso 235mila euro ai familiari di vittime di femminicidio e a vittime di violenza sessuale, in alcuni casi ancora minorenni all’epoca dei fatti.

La copertura economica c’è (anche se è impossibile dire se sia scarsa o sufficiente, dato che non si sa quanti siano gli orfani), ma i fondi vengono erogati con molta fatica. «L’iter per accedere a queste somme è molto farraginoso. E questo complica ulteriormente le cose per chi sta affrontando queste tragedie», denunciava a VITA l’avvocata Patrizia Schiarizza, presidente dell’associazione Il Giardino Segreto, che riunisce alcune famiglie affidatarie di orfani di femminicidio.

Perché è importante questo progetto?

Come VITA raccontava nell’instant book “A Braccia aperte. Un faro acceso sui figli delle vittime di femminicidio” (si scarica gratuitamente da qui), «spesso quando si verifica un femminicidio, le figlie e i figli delle vittime vengono trascurati come se fossero figurine di contorno, lo scialbo fondale di un palcoscenico troppo affollato. Eppure sono bambini e ragazzi gravemente lacerati e traumatizzati: non è raro che vengano trovati dalle forze dell’ordine accanto al cadavere della madre e anche quando questo non accade, molto spesso hanno assistito direttamente ai maltrattamenti precedenti oppure hanno visto con ferocia tavoli e sedie volare per casa. Una moltitudine di persone il cui destino e i cui drammi finiscono dentro un cono d’ombra (o peggio nella bacheca degli impicci) non appena le sirene della polizia tacciono e i riflettori dei media si spengono».

«Oggi non si può più affermare che gli orfani siano del tutto invisibili», osserva Marco Rossi Doria. «I progetti hanno quattro meriti:«l’essere riusciti ad attivare una presa in carico tempestiva e competente dei minori orfani;  l’aver provato ad offrire sostegno alle famiglie affidatarie: cosa questa non facilissima; l’avere avviato una formazione degli operatori (forze dell’ordine, avvocati, giudici, psicologi e assistenti sociali) che intervengono sul posto prime ore e accompagnano nel tempo il percorso di rielaborazione del trauma. E infine l’essere riusciti a portare all’attenzione dell’opinione pubblica gli effetti che la violenza di genere ha anche sul mondo emotivo, affettivo e psichico dei figli di queste vittime».

Potenzialmente la nostra è un’eccellenza: in Europa, infatti, non esistono iniziative così consolidate.

Ora, aggiunge, Rossi Doria rivolgendosi in particolare a Maria Teresa Bellucci viceministra al Lavoro e alle Politiche Sociali, presente alla conferenza stampa, «è fondamentale che queste esperienze vengano raccolte, consolidate e messe a sistema all’interno di iniziative governative più estese, insieme ad associazioni, terzo settore e attori della società civile, affinché possano dare sollievo in maniera efficace e costante agli orfani».

Urgenza è la parola che il presidente ripete più spesso. «Non possiamo attendere altri dieci anni. Quando si arriva tardi, quando cioè la situazione di violenza si è già prodotta, il dovere di un ordinamento che fonda la propria ragione di esistenza nella tutela dei diritti fondamentali si trasforma in un dovere di intervento tempestivo, volto anche alla riparazione dei danni. Lo Stato deve allora cambiare ritmo: finora è stato lento nello sciogliere gli ostacoli burocratici; nel dare attuazione alle norme; nel fornire supporto economico e psicologico: in pratica nell’aiutare questi ragazzi a far ripartire la lora vita».

«I figli delle vittime di femminicidio sono fragili tra i più fragili. Vivono il dolore più estremo e più difficile da elaborare. Per fornire loro un supporto efficace è indispensabile che lo Stato attui una presa in carico totale, a partire dal monitoraggio e dalla conoscenza statistica di queste piccole vittime, rientranti nell’ambito del fenomeno dei minori fuori famiglia. Per questo, nel ddl del 1° maggio ho promosso la costituzione di un Tavolo sui minori affidati ai servizi sociali e in carico a strutture, prevedendo una Relazione annuale al Parlamento sul loro stato per fare luce finalmente su queste storie, che vanno ben oltre i numeri. Solo così questi piccoli possono poi ricevere attenzione mirata ed efficace da parte delle istituzioni, a tutti i livelli, in alleanza con il Terzo settore, il privato e il territorio», ha detto la viceministra Maria Teresa Bellucci.

Il passato non scompare, ma è possibile che almeno si scolorisca e poi rimpicciolisca. Dopo la morte della madre segue una fase dell’esistenza molto delicata che richiede cautela e attenzione al fine di accompagnare i bambini e i ragazzi nella lunga e dolorosa, ma necessaria, elaborazione del lutto, che valorizzi le opportunità di resilienza presenti dentro ognuno. Che sposti l’ago di una bussola che si è inceppata.

«Non chiediamo la luna. Chiediamo solo di non essere abbandonati», dice una ragazza di 17 anni, la cui mamma è stata uccisa tre anni prima. Le sue parole, più che come un imperativo, suonano come una preghiera.

Foto di apertura:
Illustrazione tratta da “Possiamo tenerlo con Noi”, albo illustrato dedicato alla violenza assistita (di Maria Grazia Anatra e Serena Mabilia, Matilda editrice). Per cortesia dell’autrice.
Il testo è stato selezionato da Amnesty International per la realizzazione di un Progetto in Marocco e tradotto in lingua araba all’interno del Progetto “Rights by my side”.

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