Volontariato
In Italia lo sport non ha un tetto
Lo Stivale è spaccato in due anche nellattività fisica e sportiva. Campi, piste e attrezzature sono concentrati al Nord, arretratezze, sprechi e scandali al Sud. Ma qualcosa sta cambiando. Per ese
Manca un filo comune nella mappa degli impianti sportivi del nostro Paese. Le percentuali di coloro che praticano attività fisica e sportiva, durante il tempo libero, nelle diverse aree geografiche risultano avere una forbice sempre più larga, man mano che dal Nord dell?Italia si va verso il Sud. Un segnale preoccupante, riflesso di una mancanza di politica sportiva nazionale articolata e rispondente alle esigenze del territorio.
Se nel Nord- Est, infatti, si registra il 72,4 per cento della popolazione attiva dedita all?attività motoria durante il tempo libero, e nel Nord-Ovest il 71 per cento, dati che collocano questa area nella media dei Paesi del Nord Europa, nel Sud e nelle isole si passa rapidamente al 50 e al 48 per cento, mentre il Centro Italia mantiene la media del 61 per cento. Nel rapporto strutture sportivie e densità di popolazione il Nord-Est presenta 346 impianti ogni centomila abitanti, mentre nel Nord-Ovest il rapporto è di 336, contro i 149 del Sud e i 129 impianti delle Isole per centomila abitanti. Gli squilibri territoriali evidenziano dunque un?Italia a due velocità anche sul piano sportivo e registrano grandi differenze e forti diseguaglianze.
Si può dunque parlare di una ?questione meridionale? dello sport nel nostro Paese. E se così è, a chi attribuire la responsabilità di questa spaccatura?
«Esiste uno storico squilibrio dovuto all?assenza di qualsiasi politica sportiva nazionale dei governi che hanno diretto il Paese negli ultimi cinquant?anni», sostiene Gianmarco Missaglia, presidente nazionale dell?Uisp (Unione italiana sport per tutti), «le aree geografiche più ricche manifestano un livello di organizzazione più alto e fanno da sé, quelle più depresse risentono dell?assenza di qualsivoglia intervento governativo in materia di sport sociale e di impianti».
A Napoli, intanto, per porre rimedio alla situazione degli impianti sportivi costruiti nel corso degli anni Ottanta, grazie ai finanziamenti previsti dalla legge 219 riservata ai Comuni dissestati dal terremoto dell?Irpinia del 1981, e mai aperti al pubblico per la mancanza di fondi per sostenere le spese di gestione, il Coni ha stipulato una convenzione che prevede una concessione parziale degli impianti alle federazioni in cambio delle spese.
«Al Sud la politica sportiva in merito agli impianti è stata portata avanti in maniera errata. Non sono stati approntati progetti di attenta gestione delle strutture sportive che a lungo sono state lasciate al degrado e in preda ai vandali», dichiara Donato Mosella, presidente nazionale del Csi (Centro sportivo italiano), un ente che conta 12 mila società sportive e 700 mila iscritti, impegnato nelle aree più difficili delle principali città del Sud. «Nel quartiere Piscinola di Napoli», continua Mosella, «è stato costruito un campo di rugby, il cui manto erboso è costato 50 milioni. La mancanza di personale addetto al funzionamento dell?impianto idrico, ha fatto sì che il manto ingiallisse nel giro di pochi mesi. Non solo, l?impianto è rimasto incustodito, per mancanza di fondi, per circa 10 anni».
Il Piscinola è un quartiere ad alto rischio della periferia napoletana e i ragazzi che vi abitano giocano a calcio, basket, pallavolo, ma non a rugby, poiché nessuna società sportiva che promuove questo sport è presente nell?area nord di Napoli. «Hanno costruito uno stadio di rugby», conclude Mosella, «perché questo sport è considerato violento, proprio come quei ragazzi, ma il costo milionario di quell?impianto non risponde per nulla alle esigenze sportive dei giovani del quartiere. Le responsabilità del Coni e dell?amministrazione di quegli anni sono notevoli e pesano economicamente anche oggi su tutta la società».
Penultimi in Europa
Il confronto europeo tra il nostro e gli altri Paesi, riguardo al finanziamento degli impianti sportivi è decisamente perdente. In Germania il 97,7 per cento degli impianti è finanziato dagli enti locali e solo per il 2,3 per cento interviene lo Stato. Questo significa che ogni Comune tedesco segue una politica sportiva autonoma e funzionale alle esigenze di quel territorio. Nel complesso questo Paese spende 5.887 miliardi all?anno per l?impiantistica sportiva. Al secondo posto si colloca la Francia con una spesa complessiva di 5.667 miliardi, il 76,48 per cento coperto dagli enti locali e il 23,52 per cento dallo Stato. In Inghilterra, invece, lo Stato interviene solo per il 5,4 per cento dei finanziamenti, che ammontano a 132 miliari all?anno, mentre gli enti locali destinano ben 2.486 miliardi annui per il 94,6 per cento degli impianti. Nel penultimo posto (ultimo è il Portogallo) segue l?Italia, che agli impianti sportivi riserva un finanziamento di 2.487 miliardi, dei quali 1.421 arrivano dalle casse degli enti locali. Per la destinazione del 42,85% dei fondi decide il Coni, mancando un ministero dello Sport, mentre gli enti locali incidono sul 57,15 per cento.
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