Famiglia
Ho vinto le mine col fax
Non ha un ufficio né una segretaria. Ha messo in piedi unorganizzazione mondiale usando telefono, fax e computer di casa. Pacifista fin dalle scuole elementari, ha affascinato lady Diana e fatto trem
Jody Williams non ha mai avuto un ufficio tutto suo. Non ha mai voluto assistenti, né una segretaria a tempo pieno. Armata soltanto di telefono, fax e computer, è riuscita a mettere in piedi un?organizzazione (la Campagna internazionale contro le mine antiuomo) che comprende oggi più di 1000 gruppi in oltre 60 Paesi. E ha vinto il Nobel per la pace ’97. Ma la donna nota alle cronache come ?l?attivista a piedi scalzi? – i giornalisti arrivati per darle la notizia del premio la sorpresero a piedi nudi all?alba del 10 ottobre nella sua casa nel Vermont – in soli sei anni è riuscita a porre il problema delle mine antiuomo così fortemente al centro dell?attenzione mondiale da commuovere anche la principessa Diana. Fino a dicembre, quando Jody riesce a ottenere l?inimmaginabile: un trattato internazionale, siglato a Ottawa, che ha bandito l?uso, la fabbricazione e l?esportazione delle mine antiuomo. Ma la Williams, laureata in psicologia, accanita lettrice di libri, non si considera certo arrivata, anzi. È ancora sorprendentemente aperta agli ulteriori sviluppi della sua vita.
L?impulso di difendere i deboli nella vita di Jody comincia tanti anni fa. «Da piccola difendevo mio fratello sordomuto» racconta. «I compagni di scuola lo prendevano in giro perché non parlava bene. Ho imparato presto a non infierire su chi è più debole degli altri». Ma ha anche imparato qualcosa sulla natura umana. «L?aggressività è insita nell?uomo. Gli esseri umani sono cattivi, o meglio fondamentalmente deboli. La vita è una lotta tra il bene e il male. Ma il male tende a essere più forte». Quando Jody andava a scuola, il resto del mondo era impegnato nella guerra del Vietnam. Suo padre, che aveva combattuto nel secondo conflitto mondiale, appoggiava la guerra. La giovane Jody no. In casa Williams le discussioni erano all?ordine del giorno. Poi Jody va al liceo, ma non è ancora sicura di cosa vuole fare nella vita. Frequentando un corso di spagnolo si innamora di un ricco ragazzo messicano. E proprio facendo avanti a indietro tra il Messico e il Vermont scopre la passione politica. «Vidi gli estremi della ricchezza e della povertà» ricorda Jody. «E decisi che avrei fatto qualcosa per ridurre il contrasto». Dopo aver lasciato il messicano Jody si iscrive alla Johns Hopkins University, a Washington. Anche se non è una studentessa come le altre. In un ateneo dove tutti sognano un posto alla banca mondiale, Jody sa solo una cosa: vuole salvare il mondo. Un giorno in metropolitana le mettono in mano un volantino. «C?era scritto: ?El Salvador: un altro Vietnam??. Rimasi colpita. Da allora la mia vita non fu più la stessa». Da quel momento, e per 10 anni, Jody lotta contro le guerre nei Paesi del Centro America. E siamo agli anni Novanta. La guerra fredda non esiste più, e Jody non ha più un nemico da battere. Si apre un?epoca grigia. «La guerra del Golfo segnò il punto più basso per i pacifisti» spiega Jody. «Come potevamo convincere la gente che la guerra faceva schifo quando la stampa gliela presentava come un videogame?» Fu allora che Robert Muller, presidente della Fondazione americana per i veterani del Vietnam, le chiese di lavorare per la causa delle mine antiuomo. Jody capisce immediatamente che quella sarà la sua prossima battaglia. «Le mine sono una schifezza» si accalora. «Le chiamano le ?eterne sentinelle? perché uccidono i civili anche dopo la fine delle guerre. Gli occidentali credono che i campi minati siano recintati con il filo spinato come si vede nei film di guerra, ma non è così. Mettono le mine dove la gente passeggia, vicino ai pozzi d?acqua, nei campi coltivati. Dove tutti vanno tutti i giorni».
Quante sono le mine nel mondo? Non lo si sa con esattezza. Lo stato americano stima che siano 85 milioni, l?Onu 110 milioni. Gli aderenti alla campagna calcolano che mutilano o uccidono 26 mila persone l?anno. Una cosa è certa: senza la campagna di Jody, le vittime sarebbero di più. La guerra è una cosa sporca, e appare arbitrario indicare un?arma come più terribile di altre. Tuttavia Jody Williams è riuscita a convincere i 122 Paesi firmatari del trattato di Ottawa che le mine sono le armi più abbiette che esistano. «Se un tuo amico salta su una mina e rimane lì a urlare dal dolore, non puoi correre ad aiutarlo perché potresti saltare su una mina anche tu». Gli stati dell?Ue (tranne la Finlandia) e quasi tutti i Paesi del continente americano hanno firmato il bando, tranne gli Usa. E Cuba. Clinton ha dichiarato che sminare il confine tra la Corea del Nord e la Corea del Sud metterebbe in pericolo le truppe americane al Sud. Ironia della sorte, dunque, Jody deve ringraziare del Nobel l?intransigenza del suo presidente.
Crede che le abbiano assegnato il premio per fare pressione su Clinton? «Assolutamente sì» è la risposta. Forse Jody ha ragione. Ma la sua non è stata solo una vittoria politica. Il mondo ha voluto premiare anche la sua abilità organizzativa, che ha evitato le elefantiache spese di gestione di altre organizzazioni umanitarie. Nonostante fama e onori, comunque, Jody Williams è una persona semplice. Da anni porta una fede nuziale, regalo del suo compagno, ma non è sposata e non ha figli. «Non ho istinto materno» spiega. La sua è stata una scelta totalizzante. Ma non ha rimpianti. «Non sono ambiziosa» dice di sé. Ma non è un?ingenua. È felice di aver vinto il Nobel, che le ha fruttato tra l?altro mezzo milione di dollari. La ricchezza però non l?ha cambiata, almeno finora. Ha comprato il completo nero che indossava alla consegna del Nobel ai saldi di un grande magazzino. Gira ancora su una vecchia Volvo blu. «Devo cambiare i freni» dice. «Forse lo farò con i soldi del premio». Certo, i freni sono fondamentali in un?auto. Ma è difficile pensare a una donna come Jody alle prese con dei freni. Di qualsiasi tipo.
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