Casa

L'accoglienza solidale

Casa Emilia, a Bologna un’isola di comunità per i malati che vengono da lontano

di Alessio Nisi

Questo reportage da Bologna di Alessio Nisi è la prima tappa di un viaggio che VITA percorrerà alla scoperta di alcune esperienze di sostegno e di accoglienza dei migranti sanitari #migrazionesanitaria

Casa Emilia è uno dei 15 progetti della fondazione Policlinico Sant’Orsola. Accoglie chi arriva da fuori regione, per affrontare percorsi di cura. Uno spazio di relazione e di comunità, in un momento in cui la condivisione è difficilissima. Ne abbiamo parlato con Stefano Vezzani, direttore della fondazione Sant’Orsola.

«Quando il dramma della malattia entra nella tua famiglia, quando il dolore e la paura si impossessano della tua vita e quando per la cura devi lasciare tutto e intraprendere i viaggi della speranza presso altre strutture in città diverse dalla tua, tutto diventa difficile, complicato, logorante. Trovare dove vivere diventa un problema. Ma quando hai la fortuna di essere accolta a Casa Emilia hai risolto parte dei tuoi problemi». Parola di Tina. C’è anche lei tra le 750mila persone che ogni anno si spostano per ragioni sanitarie. Un popolo, quello degli emigranti sanitari (così li chiamano gli analisti), che si sposta alla ricerca di opportunità di cura migliori, dove ci sono.

Ma spostarsi costa un sacco di soldi. Per le famiglie, per il paziente, per il sistema sanitario regionale. Per alleviare questa (ulteriore) pena, accanto alle strutture ospedaliere sono nate realtà che accolgono gratuitamente pazienti e familiari. Tina è stata ospite di una di queste, Casa Emilia, della Fondazione Sant’Orsola.

Quando è nata Casa Emilia

Fondazione Sant’Orsola (onlus nata il 27 marzo 2019 per essere al fianco dei pazienti e migliorarne il percorso di cura grazie alla generosità di volontari, cittadini e imprese) ha inaugurato Casa Emilia il primo settembre 2021. La struttura è «uno dei 15 progetti attivi della fondazione, il più consistente dal punto di vista economico e dell’impegno emotivo», spiega Stefano Vezzani, direttore della fondazione Sant’Orsola. Che succede a Casa Emilia? Trovano accoglienza i pazienti che, senza obbligatoriamente essere ricoverati, devono rimanere a Bologna per eseguire al Sant’Orsola visite ed esami di controllo, dopo un intervento (quindi permanenze brevi e di pochi giorni) o terapie il più delle volte oncologiche (permanenze medio-lunghe, fino a 6-9 mesi).

Casa Emilia è nata così, dall’urto con la realtà: una coppia di Catania era a Bologna, fuori faceva freddissimo e non sapevano dove andare

Stefano Vezzani

Meno degenze

La maggior parte del percorso di cura non avviene più in regime di degenza. «Per esami e visite pre-operatorie, terapie oncologiche, controlli post operatori il paziente non viene quasi mai ricoverato. Così per usufruire delle cure a cui ha diritto, il paziente, spesso accompagnato da un caregiver che deve assisterlo, deve rimanere a vivere a fianco dell’ospedale, lontano da casa, per periodi che variano da pochi giorni a diversi mesi. Un cambiamento che non tutti possono permettersi».

60 posti letto

Gli alloggi (20 appartamenti, ognuno con 2/4 posti letto, con una media di 2,5 persone ad appartamento: complessivamente 60 posti letto) sono al terzo e quarto piano di uno studentato (a 1,3 chilometri dall’ospedale), hanno bagno e cucina autonomi, uno spazio comune e una terrazza per stare insieme alle altre famiglie e ai volontari. 

Spese coperte e non

Già, ma perché una persona si trova ad aver bisogno di strutture di questo tipo? Il primo nodo è questo. «Se una persona di Catanzaro sì viene a curare a Bologna la Ausl di Catanzaro paga le prestazioni sanitarie che vengono erogate a Bologna», spiega Vezzani, «ma non c’è una copertura di welfare per la persona, che deve quindi sopportare dei costi che non sono sostenuti da nessuno». Tutti gli interventi di «welfare sono comunali». Il secondo è questo. «La maggior parte cure oncologiche (l’ambito in cui accogliamo più persone) avviene in day hospital, non in regime di ricovero». Terzo punto. «Solo al Sant’Orsola di Bologna ci sono a oggi 83 cure sperimentali in ambito oncologico». Vuol dire che se vuoi quella cura devi spostarti, «e anche restare in città per dei mesi». Non è difficile immaginare come si traduce tutto questo per una famiglia. «La scorsa settimana abbiamo accolto una famiglia che era finita in uno scantinato, affittato in nero a 2 mila euro al mese».

Io sono dalla Sicilia e per me tutto questo è stato un grande sostegno in tutte le sue sfaccettature. Vengo a Bologna ogni 12 giorni e devo dire che da sei mesi quando torno Casa Emilia sta diventando la mia seconda casa

Irene

Perché Casa Emilia 

Casa Emilia è una struttura nata con l’obiettivo di rendere effettivo il diritto alla cura. L’Italia garantisce a tutti i cittadini le cure di cui hanno bisogno: è Il principio dell’universalismo sanitario, così come definito dalla legge 833/1978. La necessità di spostarsi lontano da casa per ricevere le cure rischia però di mettere nella pratica in crisi questo diritto. «L’emigrazione sanitaria nasce certamente dal diverso livello qualitativo dei sistemi regionali, per cui tanti pazienti si spostano dal sud al nord, ma non solo. La crescente specializzazione, infatti, rende comunque necessario concentrare le cure più avanzate e sperimentali in pochi centri, che possano contare su una casistica sufficiente per maturare la necessaria esperienza, per cui per le patologie più gravi esistono comunque pochi ospedali di riferimento in Italia». 

I primi passi

Entrare in contatto con Casa Emilia non è difficile. «Sul nostro sito si compila un modulo e in 24 ore verifichiamo prima di tutto che la persona sia in cura al Policlinico Sant’Orsola e poi le disponibilità in termini di alloggio». È chiaro che il meccanismo si attiva «perché tutti i medici dei reparti del nosocomio sanno che esiste questa struttura e segnalano al paziente la possibilità di usufruirne». Ma c’è di più. Vezzani parla anche di «co-progettazione», per trovare i criteri «migliori di accoglienza. In una situazione in cui la domanda eccede la disponibilità di posti devi ovviamente avere delle priorità. Non è semplice e pensiamo sia necessario il contributo del medico che ha in cura la persona».

Ricostruire relazioni significative 

«Il soggiorno e tutte le iniziative previste sono gratuiti per pazienti e familiari. Tutte le spese sono coperte, infatti, da Fondazione Sant’Orsola grazie alle donazioni di chi, al termine del soggiorno, decide di sostenere questa esperienza per permettere anche ad altri di usufruirne, e di tutti coloro che vorranno sostenerla», spiega sempre il direttore della fondazione Policlinico Sant’Orsola. Casa Emilia, aggiunge, «non accoglie i familiari mentre il paziente è in ospedale, ma il paziente stesso, con o senza familiari, quando deve rimanere a Bologna per visite, esami, terapie senza essere ricoverato. È un tratto distintivo importante, che rende particolarmente significativa questa esperienza, sia per la capacità di garantire davvero a tutti la possibilità di accedere alle cure necessarie, sia per l’esperienza umana che genera al proprio interno». Quando un paziente deve spostarsi per seguire lontano da casa un percorso di cura perde ogni riferimento e diventa importante trovare un contesto capace di accoglierlo e ricostruire relazioni che abbiano un senso. 

Anche gravidanze a rischio

Da settembre 2023 all’accoglienza di pazienti e familiari si è unita quella per le coppie con gravidanze a rischio, per una patologia pregressa della mamma in cura al Sant’Orsola o per una malformazione del nascituro che avrà da subito necessità di cure specialistiche. In un caso come nell’altro la coppia deve poter rimanere vicino all’ospedale già da qualche settimana o, quando la situazione è particolarmente delicata, da qualche mese prima del parto.

I numeri

Durante i primi 24 mesi di attività (al 31 agosto 2023) Casa Emilia ha accolto 497 pazienti, quasi tutti con uno o più familiari, per periodi che variano da 2 giorni a 9 mesi (9 giorni la permanenza media). Pazienti e familiari provenivano da 18 regioni diverse (tutte, escluse Piemonte e Valle d’Aosta. Dal sud, ma anche per l’11% dal nord e per l’11% dal centro) ed erano in cura in 34 reparti del Policlinico di Bologna, con una netta prevalenza dell’Oncologia e dell’Ematologia.

Più di mille accoglienze

«Ogni famiglia è stata accolta in media 2,6 volte, avendo alcuni pazienti la necessità di tornare spesso per visite e controlli o per proseguire terapie periodiche, come quelle oncologiche». In termini assoluti parliamo di «più di mille accoglienze». Durante i primi mesi la domanda si è rivelata molto più alta rispetto alla capacità di accoglienza. «Le richieste accolte sono state, infatti, il 42% di tutte quelle arrivate. Per questo Fondazione Sant’Orsola ha deciso di raddoppiare da settembre 2022 il numero degli alloggi, prendendo in affitto un altro piano dello studentato, per un totale di 20 appartamenti».

Casa Emilia è famiglia, accoglienza, è un qualcosa che scalda il cuore, un conforto che magicamente ha trasformato la mia tragedia in una bella storia

Francesca da Brindisi

Il rapporto con il Policlinico Sant’Orsola

Che rapporto lega Casa Emilia con il Policlinico Sant’Orsola (16% di pazienti che vengono da fuori regione su 1400 posti letto)? «Siamo nati a servizio dei pazienti del Sant’Orsola e per statuto lavoriamo con loro, salvo situazioni e casi particolari per cui abbiamo la possibilità di fare interventi per i pazienti di qualunque ospedale», come è successo durante l’emergenza Covid. «Abbiamo certo una convenzione con il Policlinico, ma si limita a regolare i rapporti istituzionali, non è una convenzione in base alla quale il Policlinico ci rimborsa qualcosa. Semplicemente la convenzione regola i rapporti fra l’ospedale e la fondazione».

A disposizione di tutti i reparti

Quello che emerge, al netto delle formalità, è un rapporto molto elastico. «Se avessimo degli appartamenti liberi potremmo accogliere anche i pazienti che sono in cura al Rizzoli», l’altro grande ospedale di Bologna. «Ma non bastano quelli che abbiamo per i pazienti del Sant’Orsola quindi non abbiamo la possibilità proprio di farlo». Sul fronte dei reparti, Vezzani precisa: «Siamo nati come fondazione per essere trasversali e cerchiamo il più possibile di esserlo. Durante il primo anno di attività i pazienti che abbiamo ospitato venivano da 34 reparti diversi (il Sant’Orsola ne ha 86). Sì, lavoriamo davvero per tutti i reparti. Certo, da maxillo facciale abbiamo ospitato due pazienti e da oncologia 90, quindi è chiaro che c’è un rapporto molto più intenso con tutta l’area oncologica e con l’area dei trapianti».

Nessun rapporto amministrativo con l’ospedale

Anche nella scelta dei pazienti da accogliere si ribadisce l’autonomia della fondazione. «Siamo fuori dalle mura dell’ospedale, che ci ringrazia per quello che facciamo. C’è un rapporto molto intenso con i medici e la direzione, che ci aiutano a elaborare i criteri sull’accoglienza, che segnalano ai pazienti l’opportunità offerta da Casa Emilia, riconoscendone il valore, ma non c’è alcun contributo economico dato dall’ospedale per l’accoglienza».

Siamo una onlus privata, crediamo molto al valore progettuale del Terzo settore, ci piace mantenere la nostra autonomia e il fatto di essere di aiuto ai pazienti

Stefano Vezzani

La squadra di Casa Emilia

Casa Emilia funziona anche grazie al sostegno di 20 volontari che, su turni, popolano quasi ininterrottamente la struttura di Casa Emilia (pensionati, lavoratori, studenti). «Della gestione delle domande, dell’accoglienza e degli arrivi – spiega – si occupa lo staff della fondazione». I volontari «animano Casa Emilia, donano tanta parte del proprio tempo libero e diventano un punto di riferimento per i pazienti ospitati che a loro fanno riferimento per qualsiasi dubbio o inquietudine».

Casa Emilia è stata una luce, un approdo su di un’isola felice, la tranquillità di poterci dedicare solamente alla sconfitta della malattia e non alla conta di quanto poter spendere

Adele e Gennaro

Nella fondazione sono attivi 220 volontari. «In Casa Emilia c’è un alto livello di coinvolgimento e spesso non facile da gestire». Al punto da «dare loro un accompagnamento continuo. Il volontariato inteso come azione gratuita orientata al dono (come è emerso dall’analisi d’impatto realizzata da Aicconn su Casa Emilia), ossia relazione, rappresenta un fattore sorgivo dell’impatto sociale delle attività della Fondazione Sant’Orsola: la loro presenza favorisce infatti il supporto fra pari, ovvero tra i pazienti stessi, che un contesto come Casa Emilia è in grado di stimolare e far crescere».

La gioia di non essere soli

«Vivere questo momento in una struttura come Casa Emilia», aggiunge Vezzani, «che consente sia di rimanere da soli, in alloggi autonomi e indipendenti, sia di incontrarsi con gli altri, in spazi comuni dove quotidianamente sono presenti anche i volontari di Fondazione Sant’Orsola, apre a una positività inaspettata.

Nella malattia viviamo un momento di particolare fragilità, in cui tante sovrastrutture che abbiamo costruito cadono. È un momento difficile e, insieme, potenzialmente fecondo, sia per ridisegnare il nostro percorso, sia per i legami che possiamo instaurare con gli altri, proprio grazie al crollo delle nostre sovrastrutture

Stefano Vezzani

È quello che gli ospiti, nei tanti messaggi che inviano dopo essere tornati a casa, ricordano sempre e innanzitutto: non solo l’accoglienza gratuita, per tanti indispensabile, ma soprattutto la gioia di non essere soli».

In apertura e nel testo foto per gentile concessione di Fondazione Sant’Orsola

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.


La rivista dell’innovazione sociale.

Abbònati a VITA per leggere il magazine e accedere a contenuti
e funzionalità esclusive