Famiglia

Aldo Nove. L’io minuscolo

E' uno degli scrittori più interessanti delle ultime generazioni. Dopo tre romanzi di grande successo ha pubblicato le poesie scritte quando ancora non era famoso.

di Raul Montanari

Aldo Nove si chiama Antonello Centanin, ed è un mio amico. Non è facile essere obiettivi parlando di un amico, ma io ci proverò. Fuoco su Babilonia è una bellissima antologia delle sue poesie scritte con il nome vero, le poesie scritte prima di diventare famoso come Aldo Nove. Con questo nome d?arte, invece, Antonello ha pubblicato una raccolta di covers poetiche con Tiziano Scarpa e con me, Nelle galassie oggi come oggi, e, prima, tre libri in prosa molto importanti: Puerto Plata Market, Superwoobinda e Amore mio infinito. Tutti con Einaudi. Sono libri che contengono intensità, dolore, umorismo, un?esplorazione lancinante del mondo contemporaneo (dominato dai media e da un?imbecillità diffusa e straziante) e un attacco frontale alle convenzioni della prosa narrativa italiana. Forse ci voleva un poeta, per sovvertire la prosa italiana. Aldo Nove scrive in prosa come un jazzista: i lettori superficiali o ignoranti aprono una pagina a caso e dicono che scrive sgrammaticato, invece lui scrive come i grandi jazzisti suonano, cioè varia continuamente gli attacchi, i modi, l?impostazione delle frasi. La sintassi, insomma. In una pagina di Aldo Nove trovi dieci modi diversi di attaccare e girare e concludere una frase. Nel medio romanzo in prosa di un medio (a volte anche buono) narratore italiano, se ne trovi cinque ti va ancora bene. Mah, allora chissà come sarà difficile da leggere, questo Aldo Nove, penserà qualcuno. Macché: di solito gli rimproverano di essere troppo facile! Uno scrittore troppo facile da leggere: è come rimproverare a una ragazza di essere troppo bella. È chiaro che la bellezza può anche provocare danni (e invidie…), ma qualunque persona sana di mente la considera anzitutto un dono. La verità è che Aldo Nove è l?alfiere di una generazione di autori che hanno scelto di fare loro tutto il lavoro, di faticare per il lettore, di tenere nascoste le strategie, le tramature della scrittura, tutto quello che molti scrittori precedenti esibivano in forma di linguaggio ?alto?, di solennità paludata, con il risultato di perdere completamente la presa sul mondo che girava e cambiava intorno al loro naso. Gli scrittori come Aldo Nove lavorano, e lavorano molto. Però vogliono che il lettore goda. Oddio: che si spaventi, che si emozioni, che pensi, che dopo aver chiuso il libro veda il mondo con occhi diversi. Ma, in ogni caso, non con occhi assonnati dalla noia o coperti dal velo della falsità, dalla cataratta di una visione edulcorata della vita e dell?arte. Quindi: lo scrittore lavora; il lettore gode della verità profonda di questo lavoro, senza sorbirsi le imposizioni terroristiche di un linguaggio che, come quello della prosa tradizionale, gli dica: stai lì al tuo posto, in ginocchio, lettore, e impara! Tutte le caratteristiche dell?Aldo Nove prosatore si trovano nel poeta, e viceversa. Aldo Nove è lo scrittore più ?collettivo? che io conosca. Il più capace di far sentire nelle sue cose, al tempo stesso, per miracolo artistico, le voci distinte dell?Io e degli Altri. La pagina di Aldo Nove è inconfondibile, le sue idiosincrasie subito riconoscibili, e così le sue citazioni dal mondo delle merci, della plastica, dell?inautentico che riempie le nostre vite; eppure nelle sue parole si muove sempre un sentimento che è di tutti. Mi correggo: non di tutti, il che sarebbe solo generico. È la voce e il sentimento di tutti i poveri, i vinti, i coatti, i costretti, quelli che credono di avere capito e non hanno capito niente, quelli che credono di avere ragione e la vita gli dà torto. E quindi forse, dico forse, davvero di tutti noi, ma non semplicemente come uomini in astratto: no, come uomini qui e ora. Ora potete rileggere Madre di Dio. Vedete i luoghi evangelici mescolarsi alla Brianza, la tentazione di un sublime di cielo e di ombra affogare nei gas di scarico di un camion. E sentite l?invocazione, il canto degli endecasillabi che collassano nell?ultimo, monco, incompleto per essere ancora più pieno, più memorabile. È una poesia religiosa? Non lo so. È una profonda, dolcissima umiliazione dell?Io. L?Io del poeta è un Io laico, corrosivo, aspro, come si scopre da tutta la sua produzione, e come si nota nelle prime due strofe della poesia, nell?ironia sottintesa a quegli accostamenti. Ma nel momento dell?abbandono, della resa, in quell?ora – le sei della sera – che non ha niente di magico ma è banalmente l?ora in cui si esce dagli uffici, e si sale sulle auto e sui treni per tornare a casa, l?Io del poeta si fa da parte. Umilmente, senza ingombrare la fantasia con i propri miti e i propri aneliti, si scioglie in preghiera alla Madre con la emme maiuscola, alla madre con la emme minuscola, al tepore del Supermito, la stella fissa a cui guardano, incolonnati, stanchi, i milioni diretti alle consolazioni e alle miserie del dopocena davanti alla tv.


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