Mondo

City of God, favela in stile western

Recensione del film "City of God" di Fernando Mereilles.

di Giuseppe Frangi

Chi può contare i colpi d?arma da fuoco che vengono esplosi nel corso di City of God, opera prima del brasiliano Fernando Mereilles? Compito davvero improbo. Sparano tutti, in particolare bambini e ragazzini. Sparano per paura e per far paura, per uccidere o per rubare. C?è un tasso soffocante di violenza e di negatività in questo film, che ha come scenario una grande favela di Rio de Janeiro, metà costruita con caotiche baracche e metà di precisissime casupole stile prefabbricati. La domanda, allora, che lo spettatore si pone è questa: è davvero necessaria tutta questa violenza? Se la pone lo spettatore normale e non invece il critico, che facendo la somma degli elementi politicamente corretti del film, ne può trarre un giudizio positivo. Attori non professionisti, sfondo sociale, violenza e corruzione della polizia: non basta la somma di questi elementi (e di similari) per fare un buon film. Perché il film per essere buono deve essere soprattutto vero. Invece City of God suona falso: tradisce il mondo che racconta. E lo tradisce proprio accampando ?il coraggio? di raccontarlo senza censure. Alla fine il giovane fotografo che è riuscito a documentare la collusione tra la polizia e il famigerato spacciatore Ze Pequeno, si tiene le foto per sé e rinuncia allo scoop per timore. Può essere che le cose siano andate così. Ma una simile vigliaccheria non meritava certo un film.

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