Welfare

Co.Co.Co. tutela cercasi

In una ricerca voluta dalle Acli, il ritratto di un milione di trentenni italiani congelati nel più tipico dei contratti atipici. Quando l’articolo 18 è l’ultimo dei problemi.

di Benedetta Verrini

Un milione di trentenni. Diplomati o laureati. Single. Più della metà donne. Segni particolari: co.co.co. La generazione chiamata al rilancio demografico ed economico del Paese riesce appena a vivere il presente, perché “il futuro è un lusso cui non può permettersi di pensare”. Lo dice la ricerca voluta dalle Acli (e realizzata dal Censis in collaborazione con Iref) sulla classe ormai più famosa degli atipici: i collaboratori coordinati e continuativi. “Abbiamo scelto di fare il loro identikit, anche in termini di sogni, obiettivi, disagi e criticità, perché i co.co.co. in Italia rappresentano ormai un universo crescente in termini numerici”, spiega Luigi Bobba, presidente Acli. “E sicuramente svantaggiato in termini contrattuali, previdenziali e di formazione”. Non solo articolo 18 La ricerca rivela che i collaboratori appartengono ai settori produttivi più diversi: dalle alte professionalità (i pochi, fortunati ?battitori liberi? con altissimo potere contrattuale, che scelgono questa forma di contratto proprio per garantirsi maggiori spazi), a specializzazioni intermedie (il mare magnum di diplomati e laureati, con mansioni di rendicontazione, data entry, call center, segreteria), fino a quelle più basse (edilizia, ristorazione, pulizie). La categoria dei co.co.co., seppur numerosa, non ha un contratto collettivo nazionale. Di più: non ha tutele definite a livello assistenziale, infortunistico e previdenziale. Non riesce a programmare il proprio futuro a causa dell?impossibilità di ottenere, per esempio, un mutuo per l?acquisto della casa. “Insomma, non c?è solo l?articolo 18”, commenta Bobba. “Lo dico perché a volte si rischia di diventare strabici nella valutazione dei problemi del mercato del lavoro”. Le Acli, che con la ricerca hanno lanciato l?iniziativa Welfare: una porta aperta sul futuro, rilanciano una serie di proposte operative, come “far sì che per questi lavoratori si arrivi a un adeguato livello di copertura previdenziale”, prosegue Bobba, “a una definizione contrattuale e, infine, alla tutela dei diritti individuali di formazione. Quest?ultimo aspetto, in particolare, è molto importante per i co.co.co. che, se non potranno aggiornare le loro competenze, rischieranno di essere sempre naufraghi nel mercato del lavoro”. Atipici nel non profit Un problema che interessa anche il mare del Terzo settore, viste le caratteristiche dei lavoratori (donne, buon livello di formazione) e del lavoro (flessibilità d?orario, incarichi su singoli progetti, mansioni organizzative e di servizio). Per il professor Carlo Borzaga, docente di Economia politica all?Università di Trento, la percentuale di atipici (fra cui i co.co.co.) nel non profit “si attesta comunque sulle medie nazionali, nell?ordine del 10-15%” dice. “Molto più diffuso, nell?ordine del 35-40%, è invece il contratto part time, che si sposa bene con le esigenze delle lavoratrici e con quelle delle realtà non profit di far fronte a una certa carenza di risorse” . Accordi apripista Alza il tiro Ivan Guizzardi, presidente del più storico sindacato degli atipici, la Cisl-Alai: “La rappresentatività dei co.co.co. è sicuramente tra le più significative nel non profit” afferma, ricordando come alcune realtà importanti hanno fatto da apripista nella conclusione di accordi quadro per la tutela della categoria. Fra queste, Compagnia delle Opere, Arci e Lipu. “In questi contratti sono state definite le garanzie fondamentali”, spiega, “come la definizione di compensi certi, prestazioni mutualistiche, rappresentanza sindacale e presenza di una commissione di arbitrato per risolvere le vertenze”. Cardini su cui la Cisl-Alai cerca di puntare a livello generale: “Ci siamo adoperati perché nella riforma Biagi ci fosse il riconoscimento di questo lavoro a fronte di tutele, dalla previsione di forme previdenziali più significative alla creazione di un fondo per la formazione”, prosegue Guizzardi, d?accordo sul fatto che “si è speso troppo tempo sull?articolo 18. Adesso è urgente mettere mano allo Statuto dei lavori”.


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