Dall’inizio della guerra con l’Ucraina, quasi un milione di politici, attivisti politici, giornalisti, esponenti della società civile e semplici cittadini russi si sono trovati in esilio nell’Europa occidentale e nei paesi vicini. Abbiamo parlato con uno di loro, Oleg Tsiplakov, 24 anni. Giornalista e regista di documentari, originario di Novosibirsk, Siberia, Russia. Autore di articoli per il media siberiano indipendente Tayga.info (bollato come “agente straniero” nella Federazione Russa, vedi sotto, ndr), autore di opere teatrali e documentari. Emigrato, ha lasciato la Russia dopo l’inizio della guerra, vive in Francia.
Quando hai lasciato la Russia? Perché? Cosa ti aspetti e cosa speri?
Ho lasciato la Russia circa una settimana dopo l’inizio della guerra. E ad essere sincero, non riesco ancora a formulare una ragione precisa per questa decisione. Certo, c’era il rischio di essere arrestato: di sicuro non sarei rimasto in silenzio, avrei protestato e continuato a scrivere articoli, avrei continuato a chiamare guerra la guerra. Il 24 febbraio ero in piazza Pushkin, perché vivevo già a Mosca. Se li si considera da una prospettiva puramente quotidiana, quei giorni erano sempre uguali. Niente aveva più senso. Per questo mi svegliavo tardi, leggevo tutto il giorno le notizie e piangevo, e la sera bevevo vodka e ascoltavo Rachmaninov con i miei amici. E poi ad un certo punto ho capito che nemmeno far questo aveva senso. Non era chiaro cosa fare, ma volevo fare almeno qualcosa. Almeno spostarsi, almeno rilassarsi ed espirare. E così ho deciso che sarei andato a Yerevan per qualche settimana, dove mi aspettavo tranquillità e calore. Pensavo: riprendo fiato, poi tutto cambierà velocemente, la guerra finirà e inizieranno i cambiamenti. Non mi aspettavo proprio che ci saremmo trovati qui a parlare dopo quasi due anni, con la guerra ancora in corso. Ora capisco che era giusto così, ero come sotto anestesia. Se avessi ammesso subito a me stesso che si trattava di una cosa seria e a lungo termine e che sarebbe stato necessario ricostruirmi da zero, probabilmente sarei impazzito. E così mi sono illuso con la speranza che avrei cambiato posto e situazione, mi sarei tranquillizzato e poi sarei tornato.
Invece?
Beh, non sono ancora tornato. Trascorso il primo mese, è diventato chiaro che bisognava fare qualcosa. E qui è iniziata questa mia crisi, che continua ancora oggi. Sembrava che fosse giunto il momento di rispondere in qualche modo a questa sfida del tempo e della storia. Ho pensato di filmare qualcosa, inizialmente sono andato in Europa proprio con questa motivazione, per filmare le storie dei rifugiati ucraini. L’ho fatto, ho conosciuto tante persone che sono state direttamente colpite dalla guerra. E poi ho capito che in qualche modo stavo ingannando me stesso. Che anche questo era come un’anestesia. Che in realtà questo non giovava a nessuno. Stavo solo cercando di soddisfare il mio ego in modo da poter poi dire di aver fatto qualcosa.
Adesso chiamo l’anno e mezzo della mia emigrazione un’Odissea. Sì, all’inizio sembrava che la guerra sarebbe presto finita e sarei tornato di nuovo a Itaca, ma in realtà il viaggio si trascina e continuo a combattere con ogni sorta di mostri
E che cos’è accaduto?
Così si è staccato un altro pezzo di scorza. Adesso chiamo la mia emigrazione un’Odissea. Sì, all’inizio sembrava che la guerra sarebbe presto finita e sarei tornato di nuovo a Itaca, ma in realtà il viaggio si trascina e continuo a combattere con ogni sorta di mostri. Il continuo cambiamento di posti, di città e di Paesi, la burocrazia, la mancanza di soldi, i lavori sempre diversi, mai fatti prima Ed è tutto molto complicato e persino spaventoso, ma molto, dannazione, interessante. E mi sembra che un giorno tornerò sicuramente a Itaca, ma… ma non devo aver fretta. Ora capisco che questo ritorno va deliberatamente ritardato, per includere in questa Odissea ancora altre esperienze.
A cosa pensi quando parli di Itaca? All’Europa?
Per Itaca no, intendo comunque la Russia. Vede, io non ho proprio mai pensato a me stesso fuori dal mio paese natale. In me c’è davvero questo patriottismo zelante, un po’ infantile forse, una dipendenza dall’ambiente, dalla lingua, che percepisco non come un puro strumento, ma come una parte essenziale della mia vita in generale. Sono partito senza sapere una parola di inglese, perché prima, ogni volta che iniziavo a studiarlo, mi sentivo come un bambino piccolo con un lessico semplice e pensieri superficiali, e rinunciavo immediatamente.
I primi sei mesi desideravo solo di tornare, speravo che avremmo cominciato a costruire qualcosa di grande e bello al posto della “Russia di prima”. Ora, a livello globale, lo spero ancora, semplicemente non ho più fretta. So solo che un giorno, non so come, in modo assolutamente naturale, accadrà: proprio questa immagine di una sorta di lavoro di squadra, una sorta di lavoro creativo, costruttivo, diventerà realtà. Ma non devi semplicemente sederti e aspettare, durante questa attesa devi lasciare entrare dentro di te più cose, più esperienze possibile.
Hai fatto molta esperienza di vita in quest’ultimo anno, vero? E, ovviamente, è stato difficile per te, di sicuro. Raccontaci la tua esperienza in Francia e in Sicilia.
Come dicevo, ci sono state diverse fasi. All’inizio ho provato, letteralmente, a viaggiare con lo stesso carburante che usavo prima. Ho provato a scrivere qualche articolo, ho montato i miei film partendo dalla mia vita passata, ho montato video su ordinazione. E, in effetti, vivevo di questo. In linea di principio, ho queste competenze, avrei potuto continuare ad occuparmi di giornalismo e di video. Ma ho capito che se la vita era cambiata in modo così drammatico, allora dovevo cambiare anch’io. Rispetto le persone che sono state in grado di continuare a fare quello che facevano prima, ma, per quanto mi riguarda, ho capito che dovevo reinventarmi completamente. Ancora una volta, prima non avevo esperienza di vita all’estero, non ho alcun capitale particolare, quindi anche le questioni di sopravvivenza sono acute. E ancora una volta, non mi sono messo a rimettere insieme quello che ho, ma ho iniziato a buttarmi in qualcosa di completamente nuovo.
Ad esempio, in cosa di nuovo?
Beh, all’inizio ho lavorato come babysitter, quando vivevo a Parigi e questo mi ha permesso semplicemente di pagare l’affitto e di avere qualcosa da mangiare. Sì, avevo davvero bisogno di soldi per vivere, ma l’ho considerata una sorta di sfida incredibile, perché non l’avrei mai fatto in altre condizioni. Non avevo mai interagito con bambini di tre anni prima. E così ho lavorato come baby sitter per tre mesi. Poi ho conosciuto il mondo del volontariato. Sono stato prima in Sicilia e lì ho trascorso un mese come volontario con il Corpo Europeo di Solidarietà: insieme a 15 coetanei provenienti da diversi paesi dell’Unione Europea, abbiamo organizzato attività culturali in un piccolo villaggio siciliano, e anche costruito diverse panchine per i pellegrini, e ripulito il museo locale. Poi ho scoperto un altro tipo di volontariato chiamato WWOOFing, quando vivi e lavori in fattorie biologiche e allo stesso tempo ti integri nell’ambiente. Ti fanno entrare in casa, ti danno alloggio e cibo. E tu, ancora una volta, non sei solo piegato a terra dalla mattina alla sera, ma è tutto regolato, 5 ore al giorno, 5 giorni alla settimana, lavori in questa fattoria in un posto fantastico e ti integri nella vita.
All’inizio ho lavorato come babysitter, quando vivevo a Parigi e questo mi ha permesso semplicemente di pagare l’affitto e di avere qualcosa da mangiare.
Ho scelto la Francia perché stavo ancora imparando la lingua. E così ho trascorso due mesi in un caseificio in Provenza. Ripeto, non avrei mai pensato di imparare ad allevare le pecore, a fare il formaggio, a distillare la lavanda. Anche questa è un’esperienza colossale, che sono sicuro che un giorno riuscirò a tradurre in qualcosa. Perché registro con cura tutti i miei movimenti nel mio diario: mi sento testimone di un momento terribile, ma importante e interessante, testimone che osserva tutti questi avvenimenti dalla prima fila.
Quanto pensi che durerà tutto questo, quello che sta succedendo in Russia e la guerra con l’Ucraina? Se pensi che durerà, allora qual è la tua strategia di vita? Questa è la vita e, per così dire, la sopravvivenza adesso, per te e per tutti coloro che sono all’estero.
Vedo due gruppi di persone, ben distinti tra loro. Di norma, è tutta una questione di età. Non è ageismo, è davvero così. I miei amici, che hanno 30-35 anni e più, hanno già dato alla Russia troppe possibilità, sono riusciti a ottenere molte vittorie e sconfitte, quindi non si sono fatti illusioni e hanno subito iniziato a integrarsi intensamente nei nuovi ambienti, nelle nuove situazioni. Poi c’è l’altro gruppo, anche loro miei amici, che, di regola, sono più giovani, più passionali, provenienti da un ambiente attivista, da un ambiente giornalistico: anche loro non riuscivano nemmeno a immaginarsi fuori dalla Russia e speravano che tutto questo malinteso sarebbe finito presto, che saremmo tornati tutti insieme per costruire qualcosa di grande e bello. E così stanno fermi e aspettano che questo accada, vivendo in una condizione terribile. Direi che ora mi trovo a metà strada tra queste due posizioni. Spero ancora di trascorrere la maggior parte della mia vita in Russia, o meglio, in ciò che diventerà la Russia, su quel territorio. Ora sto accumulando tutte queste esperienze, molto significative, semplicemente interessanti, ma allo stesso tempo estenuanti, bisogna chiarirlo bene. Tutto questo non è stato facile per me. E quindi, rendendomi conto che le mie forze si stavano esaurendo, ho capito che avevo bisogno di una sorta di schema di vita, in modo da non dover pensare ogni mese a dove vivere e cosa fare dopo, ma per avere una sorta di base per almeno qualche anno. E ho trovato questa base nell’istruzione. Spero che l’anno prossimo potrò iscrivermi a un corso di laurea in una università europea. Ho abbandonato la mia formazione giornalistica in Russia, l’ho usata più come trampolino di lancio verso la professione, e poi, per fare giornalismo indipendente in Russia, non serve una “infarinatura”, basta essere coraggiosi e imparare tutto facendo. Per questo devo ricominciare da capo. Cioè, sarebbe stato più facile cominciare un master, ma ora mi sembra sinceramente che sarebbe in qualche modo sleale. Se bisogna iniziare da zero, allora inizieremo da zero, dalla laurea.
Dove? In qualche università europea?
Molto probabilmente in Italia. Anche se, ovviamente, fa un po’ paura. Capisci? È come sapere che per tre anni avrò una visione stabile, soprattutto qui ho cambiato molto spesso posto, tipo di attività e così via. Ma mi sembra di aver accumulato abbastanza, di essermi agitato abbastanza, in senso buono, e ora ho bisogno di sedermi finalmente, di riflettere su queste esperienze e di sistematizzare le mie conoscenze, ricevendo un’istruzione di base nelle discipline umanistiche. Adesso vi racconto anche alcune grandi paure, alcuni traumi della vita. Anche tutto l’anno scorso, i primi sei mesi, non sono riuscito a decidermi a richiedere un visto umanitario per la Francia, anche se ne avrei avuto la possibilità, perché per me era un passo simbolico troppo forte. Dopotutto, speravo ancora di tornare presto, e qui avrei avuto un pezzo di carta di un altro paese. Questo è stato molto significativo per me. Ho rimandato. Per non parlare, non so, del lavoro in alcune istituzioni straniere. Molti dei miei amici hanno scelto questo perché lo hanno subito visto come un biglietto di sola andata. Ancora una volta, ho una sorta di posizione intermedia tra questi poli.
Vedi delle possibilità di cambiamento in Russia? Quali potrebbero essere? C’è speranza per la tua generazione e per quelle più giovani?
Ho una spiegazione molto irrazionale qui. Mi sembra che un qualche tipo di cambiamento dovrebbe avvenire in un modo che nessuno si aspetta, senza chiedere a nessuno, come il cambio delle stagioni, per esempio. Perché personalmente sono già stanco di essere ostaggio delle varie teorie complottistiche, delle varie previsioni. Ancora una volta, mi sembra che questa sia semplicemente una cattiva strategia. Conosco molte persone che, senza fare nulla, hanno semplicemente aspettato e creduto alle parole di qualche rispettato pensatore liberale secondo cui tutto sarebbe finito in un mese. Ma non finisce, e queste persone stanno sedute e aspettano. È una posizione molto deprimente, in cui io stesso mi sono trovato per i primi sei mesi. C’è gente che parla alla tv e poi se ne va tranquilla, di regola, queste sono tutte persone affermate, hanno stipendi europei, a differenza delle migliaia di poveri rifugiati che stanno per esempio a Tbilisi e mettono le loro speranze in queste previsioni ottimistiche. Personalmente…
Personalmente…
… ho smesso di stabilire scadenze e di ascoltare previsioni. Mi sembra che tutto avverrà in modo spontaneo. Mi sembra che l’esempio della ribellione di Yevgeny Prigozhin sia indicativo in questo caso. Non importa che valutazione se ne dà o come la si considera. Mentre accadeva mi sono appassionato, e questa è l’emozione più importante. Avevo già dimenticato che nella politica russa le cose possono succedere così, all’improvviso. Alcuni spostamenti tettonici possono avvenire da soli, detto fatto, come una nevicata a settembre.
Naturalmente, là dove è possibile, dovremo cercare di fare tutto il possibile per favorire i cambiamenti, aiutare le organizzazioni per i diritti umani, fare volontariato, diffondere informazioni indipendenti, ma ciò avverrà comunque secondo una sorta di legge propria.Per quanto riguarda la mia generazione e quella più giovane, ho una grande preoccupazione.
Raccontacela.
È già stato detto molto sul conflitto tra chi se n’è andato e chi è rimasto, ma mi sembra davvero che le persone rimaste in Russia adesso siano per molti versi degli ostaggi. Molti dei miei amici, dei miei coetanei rimasti in Russia sono persone meravigliose, che aiutano anche gli ucraini, conducono una sorta di lavoro clandestino, lo fanno davvero, fanno all’interno della Russia più di me che sono fuori, rischiando in prima persona.
Mi sembra davvero che le persone rimaste in Russia adesso siano per molti versi degli ostaggi.
Ma gli scolari di oggi… Vediamo questa notizia, sono state istituite delle “Lezioni su ciò che è importante”: nella mia scuola, nel mio piccolo villaggio, gli “eroi” dell’operazione militare speciale vengono in classe e raccontano come i seguaci di Bandera vengono uccisi. Penso che l’attuale governo si accanirà su questa generazione, su chi oggi ha 15 anni. Non sono riusciti a trattenere noi, ci danno per persi, viziati dalla propaganda liberale. Ma per questa generazione ora è un momento molto amaro, tutta la macchina statale lavora per stordirli. In realtà, ci penso molto. Avevo 22 anni quando è iniziata la guerra, e non è poco. Sì, purtroppo non avevo avuto il tempo di accumulare molto. Non intendo solo denaro, una sorta di cuscino finanziario, intendo anche il capitale sociale, alcune competenze e una sorta di nome. Eppure ero già diventato qualcuno e questo si è rivelato un aiuto molto importante. Ma se il 24 febbraio 2022 avessi avuto 17 anni, non avrei avuto alcuna leva finanziaria, nessuna possibilità di agire, nessuna possibilità di andare via, niente. Ci sono molte persone che capiscono tutto, che odiano Putin, che sono persone intelligenti e a posto, ma semplicemente non sono ancora in grado di agire, sono semplicemente giovani, vivono in provincia, non sono mai state all’estero, non sanno le lingue, non hanno soldi… Cosa dovrebbero fare? Non lo so. Temo molto che, in questo modo, nella mia generazione rimasta in Russia comincerà a crescere il risentimento. Anche se inizialmente erano contrari alla guerra, la propaganda funziona molto bene, la maggior parte del loro entourage se n’è andata, ma loro stessi non possono farlo, sembra che tutto il mondo sia davvero contro di te… Quindi si rischia di rimanere nel proprio brodo e di perdere la battaglia con la propria coscienza.
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