Non profit

Se a Secondigliano sboccia un girasole

La settimanale Lettera dal Carcere

di Cristina Giudici

Mi chiamo Felice Chiavazzo e sono detenuto (ancora per poco!) nel carcere di Secondigliano a Napoli. Ho pensato di scriverle per parlarle del ?progetto girasole?. ?Vita? è un giornale molto legato alle problematiche del carcere, leggo molto i suoi servizi e devo dire che li trovo molto stimolanti perché da essi nasce la voce del detenuto, il dissenso e le smentite verso chi vuol far vedere solo quello che gli fa comodo far vedere. Perciò a nome di tutti i detenuti le dico grazie. Fra qualche giorno uscirò dal carcere, dopo aver scontato una pena sofferta di otto anni e senza aver usufruito di nessuna misura alternativa perché per la legge sono un delinquente senza possibilità di recupero. Ma ora è finita, spero solo di trovare fuori da queste mura la forza che mi ha sostenuto in questi anni di detenzione e così combattere con animo positivo per un futuro migliore. Le auguro che il suo lavoro continui così, dando così sempre più voce ai molti detenuti che ancora si trovano a vivere in un regime detentivo rigido, perché domani qualcosa possa cambiare. Io sono ottimista anche perché l?attuale classe dirigente non è ostile nei nostri confronti, anzi tende a concederci dei miglioramenti, quindi bisogna battere il ferro finché è caldo. Il mio futuro per adesso è basato su delle ipotesi che comunque rientrano nella legalità e soprattutto sono indirizzate alla difesa e al recupero del detenuto. Per scaramanzia non entro nei dettagli, in futuro le racconterò. Per il momento le voglio inviare le riflessioni del ?Progetto girasole?, realizzato nel reparto verde di custodia attenuata di Secondigliano. Si tratta di 180 detenuti ex tossicodipendenti che prima erano dislocati in una sezione ordinaria dove si metteva il naso fuori dalla cella solo 4 ore al giorno e ora sono passati in un reparto cosidetto ?trattamentale?. Con la partecipazione al ?Progetto girasole? abbiamo iniziato a dialogare con altri detenuti e gli agenti di custodia. In seguito abbiamo dipinto dei murales in sezione e il nostro stupore, dopo anni di rigida reclusione, cresceva sempre di più. Di lì a poco, le celle si aprirono dalle 8,30 di mattina fino alla sera e il nostro entusiasmo salì fino alle stelle. Agli inizi fu difficile perché fra noi c?era molta diffidenza nei confronti degli agenti, inoltre il muro omertoso limitava il dialogo; pochi di noi riuscivano a vedere oltre il muro in cui eravamo stati confinati per lungo tempo. Successivamente il reparto fu aperto ad alcune associazioni di volontariato che ancora oggi ci aiutano a rimanere fuori dal tunnel della droga. Così, poco a poco, è nata in noi la voglia di riscatto anche se spesso ci scontravamo con la mentalità carceraria. Oltre al gruppo pilota nacque così anche un gruppo di coinvolgimento per attrarre altri detenuti indecisi e convincerli che si poteva avere altri valori oltre a quelli dell?omertà e della delinquenza. Il progetto è strutturato in tre fasi, si avvicina al modello della comunità di recupero; così se si viene ritenuti idonei al programma si scende al primo piano della sezione dove il detenuto è seguito con impegno da maggiore da parte di esperti, educatori e noi detenuti-utenti. Prima di scendere al primo piano,un?equipé di esperti vaglia le richieste, tenendo conto anche delle considerazioni di noi detenuti. Noi del gruppo pilota possiamo accedere ai piani superiori per spiegare ai detenuti ex-tossicodipendenti il programma, poi riferiamo alla direzione del reparto le nostre considerazioni e da queste scaturiscono le decisioni. Nel frattempo un altro gruppo si avvicina ai nuovi arrivati per informarli delle regole del primo piano. Abbiamo anche un fondo di cassa comune che si alimenta di ciò che guadagnano le persone che lavorano. Il fondo serve ad aiutare chi non dispone di denaro sufficiente per fornirsi delle cose indispensabili e con quello che resta riusciamo a integrare generi alimentari che servono per la cucina da noi autogestita. Questo serve a responsabilizzare le persone. Così c’è chi ha il compito di distribuire le sigarette, un responsabile per la fornitura igienica e tutti assieme partecipiamo al programma.

Il gruppo pilota del reparto Verde di Secondigliano, Napoli

Caro Felice, apprendo con piacere che la sua prima ?evasione?, sta per verificarsi e le faccio molti auguri. In passato ho visitato il carcere di Secondigliano e posso confermare ai lettori: fra i piani superiori del reparto e la sezione di custodia attenuata, c?è la stessa differenza che c?è fra la notte e il giorno! Ho avuto l?impressione che a Napoli tutti i detenuti ricevano lo stesso trattamento dei camorristi. Il ?Progetto girasole?, invece, è molto interessante e apre le porte a una detenzione più dignitosa, indirizzata al recupero delle persone. Forse, però, l?ingranaggio che deve decidere i meriti di ogni detenuto per essere assegnato ai gruppi (e quindi a più o meno privilegi) è un po? troppo macchinoso. Se ho capito bene basta un piccolo screzio e le porte delle celle si richiudono. Mi auguro che in futuro la vostra direzione diventi più flessibile.

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