Medio Oriente

Gaza, i cooperanti raccontano il disastro umanitario: «Non ci sono più né acqua, né pane»

Gli umanitari usciti nei giorni scorsi dalla Striscia testimoniano di una situazione drammatica. Le voci Jacopo Intini, Amal Khayal e Giuditta Brattini

di Alessio Nisi

Dall’inizio della guerra il 7 ottobre 2023, dopo un mese si registrano 10.328 morti, tra cui 4.237 bambini e bambine e 25.956 feriti nella Striscia di Gaza. In Cisgiordania i morti sono 158 e i feriti 2.439. Le vittime israeliane sono 1.430 e circa 5.400 i feriti. Il 13 ottobre, l’esercito israeliano ha dato l’ordine di evacuare l’intera area settentrionale e centrale, scuole ed ospedali inclusi. Da quel momento il numero degli sfollati ha iniziato a crescere fino a superare il milione e mezzo, cioè il 65% dell’intera popolazione della Striscia di Gaza. Oltre 725 mila civili si trovano all’interno delle strutture dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente – Unrwa.

Gaza, fazzoletto di terra in cui manca tutto

La Striscia di Gaza è un fazzoletto di terra, ad alta densità di popolazione, senza alcuna via di fuga né luoghi sicuri in cui trovare rifugio. Oggi a Gaza manca tutto: sangue, medicine, acqua potabile, cibo, carburante per far funzionare ambulanze e generatori compresi quelli degli ospedali, generi di prima necessità e luoghi sicuri dove rifugiarsi. Questo il quadro riportato dall’Associazione delle Ong Italiane – Aoi in cui ha ribadito la richiesta del contributo di tutti perché la popolazione di Gaza possa ricevere aiuti umanitari e beni di prima necessità e perché le organizzazioni ad oggi ancora attive nella striscia riescano a garantire attività di supporto psicologico e psicosociale e attività di gioco alle centinaia di migliaia di bambini e bambine sfollati e alle persone più vulnerabili. In un mese, si sottolinea, è stato superato il numero di morti della guerra in Ucraina.

Un momento della conferenza stampa dell’Associazione delle Ong Italiane – Aoi alla Camera

Non ci sono le condizioni per poter operare

All’appello ha preso parte anche Jacopo Intini, che ha raccontato la situazione in Palestina, riportando la sua testimonianza di operatore umaniario e capo missione di Cooperazione Internazionale Sud Sud – Ciss Palestina. Jacopo lavora in Palestina dal 2019, dal 2021 è impegnato nella Striscia di Gaza, dove era basato fino alla scorsa settimana («l’attacco del 7 ottobre? È stato completamente inaspettato»). Ciss, spiega, «è in Palestina dai primi anni Novanta. Ci occupiamo di interventi di carattere psicologico e psicosociale e di tutela dei beni culturali. Sono stati questi», racconta, «momenti di grande incertezza. Siamo stati preoccupati più che per noi stessi, per la situazione in generale. Abbiamo visto tanta distruzione. Non era la prima volta che mi trovavo in un contesto di questo tipo, ma è la prima volta per dimensione della distruzione all’interno della Striscia di Gaza».

Abbiamo dovuto interrompere le nostre operazioni nella Striscia di Gaza per ragioni di sicurezza e per motivazioni legate allo sfollamento del nostro personale locale, che a oggi è senza acqua, né cibo e in alcuni casi senza casa

Jacopo Intini – capo missione di Cooperazione Internazionale Sud Sud Ciss Palestina

Garantire il lavoro delle organizzazioni umanitarie

A ora, mette in chiaro, «vivo come una sconfitta essere andati via da Gaza, ma è praticamente impossibile poter operare. Anche le Nazioni Unite hanno difficoltà, non c’è carburante, ci sono migliaia di persone disperse sotto le macerie, c’è gente che scava con le mani per tirare fuori le persone. Il rischio sanitario? È un dato di fatto: ci sono forti esposizioni a epidemie. È necessario arrivare ad un cessate il fuoco anche per mettere fine a questa situazione».

Nelle scuole hanno trovato riparo 660 mila persone

Per Intini «gli effetti di questa situazione si sentiranno per un lungo periodo» e parla senza tentennamenti di «catastrofe umanitaria. Gli ospedali sono al collasso: non c’è acqua, né pane», sottolineando «che il 50% della popolazione della Striscia di Gaza, che per il 70% dipende dagli aiuti umanitari, è costituita da bambini, circa 1 milione». Poi l’appello: «La popolazione civile deve essere protetta. Le scuole», prosegue, «sono state adibite a shelter», di fatto ripari per i rifugiati, «quelli delle Nazioni Unite ospitano 660 mila persone». Il fatto è che le stesse scuole, circa 150, sono finite nel mirino dei bombardamenti. 


Negli ospedali pazienti e anche rifugiati

Ad essere bombardate non sono state solo scuole, abitazioni, luoghi di culto, strade, infrastrutture idriche, media e televisioni. Anche gli ospedali sono finiti nel mirino (si ritiene nascondano bunker sotterranei) e sono «in una situazione disastrosa. Queste strutture ospitano non solo pazienti ma anche gli sfollati: persone cioè che cercano un luogo che credono sicuro. In molti casi si sono sbagliati». 

La popolazione di Gaza non va identificata con Hamas, che può contare su poche migliaia di miliziani: è un errore. La popolazione di Gaza vuole vivere, in dignità e in una situazione di sicurezza

Jacopo Intini

In un mese arrivati 600 camion di aiuti

Si sente abbandonata dalla comunità internazionale: questa la sensazione comune della popolazione di Gaza. «C’è molto pessimismo». Sul fronte degli aiuti umanitari, «occorre spingere perché siano garantiti e supportare la popolazione civile, che è completamente abbandonata a se stessa». Quelli arrivati sul posto «sono pochi e non sufficienti. Dal 7 ottobre sono arrivati 600 camion di aiuti, una quantità», sottolinea Intini, «che in tempi normali arriva in una giornata. Poi», precisa ancora, «si concentrano nella parte sud della Striscia. Nella parte nord, Gaza, quella principalmente esposta ai bombardamenti, non arriva nulla».

Un milione costretti a lasciare le loro case

All’appello per il cessate il fuoco si è unita anche la voce di Amal Khayal, 31 anni, responsabile Ciss per la Striscia di Gaza. Racconta delle difficoltà che bambini e anziani devono affrontare se vogliono fuggire da una morte quasi certa: o restano al Nord, nelle proprie case, ma sotto i bombardamenti israeliani appunto, o cercano riparo nei rifugi per gli sfollati al Sud. «Noi palestinesi», dice, «ci sentiamo disumanizzati e umiliati. È disumano costringere più di un milione di persone a lasciare da un giorno all’altro le proprie case e la propria vita in poche ore, come Israele ha fatto con la popolazione del Nord della Striscia di Gaza. Lavoro da 10 anni nella cooperazione internazionale, ma oggi ho la sensazione che la comunità internazionale abbia abbandonato i palestinesi. Credo in quello che faccio, ma è troppo grande la sensazione che ogni sforzo sia vano».

Bombe sui mercati

Giuditta Brattini, volontaria di Gazzella Onlus nella Striscia di Gaza. «Il progetto principale della nostra associazione è l’adozione a distanza di bambini feriti da arma da fuoco. Raccogliamo le loro esigenze e trasferiamo le informazioni raccolte agli adottanti». Gazzella «compie anche interventi in ambito sanitario, come acquisti di attrezzature (incubatrici, ecografi, letti)», uno degli «aspetti più deboli di questa situazione». Giuditta racconta di aver assistito in prima persona ai bombardamenti che hanno interessato aree «molto popolate, non solo le case ma anche i mercati».

I primi morti li ho visti in strada. Mi sono subito spostata al pronto soccorso per dare un aiuto. Manca tutto: farmaci e attrezzature sanitarie

Giuditta Brattini – volontaria di Gazzella Onlus

Gli arti nelle buste di plastica

Racconta di una situazione al collasso. «Negli ospedali, i medici a volte devono ricorrere ad amputazioni, anche se i feriti sarebbero curabili in altro modo, ma mancano i medicinali adatti». Le ambulanze, dice, viaggiano con tre, quattro bombardati insieme a bordo, «e accanto a loro ci sono le buste di plastica nelle quali conservano gli arti».

In apertura foto di Mohammed Ibrahim per Unsplash. Nel testo foto di Alessio Nisi

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