Famiglia
Secretary, la perversione può diventare un fiore
Recensione del film "Secretary" di Steve Shainberg.
Immaginate un ambiente impregnato di incubi alla David Lynch. Incrociatelo con l?ironia spavalda di David LaChapelle: avrete il sapore di Secretary, opera prima di Steve Shainberg, premiato nel 2002 al Sundance Festival e segno della vitalità spregiudicata del nuovo cinema americano. Siamo in quel limbo dove il confine tra realtà esteriore e proiezione delle proprie angosce si fa labile. Lee Holloway è una ragazza come tante. Figlia di una famiglia salda di facciata, devastata nella sostanza. La conosciamo mentre esce da un istituto in cui hanno cercato, invano, di curare la sua mania di autolesionismo. è bruttina, malvestita, con i capelli trasandati. Si infligge ferite alle gambe per ogni errore commesso. Difficile immaginare per lei un riscatto nell?orizzonte domestico. Ma Lee nasconde anche una grande ostinazione: vuole un lavoro e anche se ne trova uno un po? improbabile presso un avvocato, misterioso e vagamente vizioso, nel cui studio non s?affaccia mai un cliente, lo accetta con entusiasmo. La storia d?amore che nasce tra lei e il datore di lavoro è lunga, tortuosa, resa ambigua dalle perversioni di entrambi. Eppure, anche da premesse così contorte può sbocciare il fiore di un vero amore. Maggie Gyllenhall e James Spader (i due attori, di sorprendente bravura), conducono il gioco senza sconti, incontrandosi e amandosi, senza censure, al crocevia del reciproco dolore.
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