Formazione

Berlusconi Boom! Boom!

Dopo la discesa in politica, il premier sceglie oggi di scendere in guerra.

di Riccardo Bonacina

Negli ultimi undici giorni Silvio Berlusconi ha monopolizzato per ben 9 giorni le aperture di quotidiani e telegiornali. Dal 30 aprile al 12 maggio (il 2 maggio non sono usciti i quotidiani), sono le sue bordate a dettare la polemica e persino l?agenda parlamentare e istituzionale. è il premier ad occupare totalmente la scena, a lui si riferiscono tutti gli altri interlocutori. Dal presidente della Repubblica italiana, Ciampi, al presidente della Commissione europea, Prodi. Le esternazioni del premier, negli ultimi dodici giorni, hanno ottenuto un indice di pervasività nei media pari a quasi l?82%, un?indice di poco inferiore alla febbrile attenzione che aveva ottenuto la guerra all?Iraq. L?attenzione è stata spostata, in pochi giorni, dalla guerra globale alla guerra di Berlusconi boom boom. Che regime? E in questione non è lo stato del nostro Welfare, né il futuro del sistema pensionistico, neppure l?emorragia continua del potere d?acquisto dei nostri salari, in questione non sono il futuro della scuola nel nostro Paese e neppure le più classiche questioni politiche (turno elettorale, referendum, ecc.). No, da giorni e giorni si discute sull?esistenza o meno di un regime di cui la principale vittima sarebbe proprio Silvio Berlusconi. Un regime che eserciterebbe la sua persecuzione usando di politici ex comunisti, toghe rosse e giornalisti di sinistra. Insomma, l?Italia sarebbe l?unico Paese occidentale ancora alle prese con la questione comunista. Non sembri troppo grottesco il quadro perché così lo ha delineato Berlusconi con un?escalation di dichiarazioni dal 30 aprile a oggi. A mettere in fila le uscite del premier viene da pensare a una vera e propria strategia scientemente preparata. Mercoledì 30 aprile. Una nota di Palazzo Chigi, a sorpresa, commenta il verdetto milanese di primo grado: 11 anni a Previti. “è persecuzione. Bisogna risolvere il problema della politicizzazione della magistratura”. Giovedì 1 maggio. Berlusconi scrive a uno dei quotidiani di famiglia, Il Foglio: “Bisogna fermare il grilletto del ribaltone. In una democrazia liberale i magistrati politicizzati non possono scegliersi, con una logica golpista, il governo che preferiscono. Sono ipocriti gli appelli ad abbassare i toni, bisogna piuttosto alzare il tono della nostra democrazia e bloccare il nuovo ordito a maglie larghe del giustizionalismo, impedire che si consumi un furto di sovranità. Ripristinando le immunità violate”. Venerdì 2. A Berlusconi per tornare in prima l?indomani bastano poche battute alla fine del Consiglio dei ministri: “Si tolgano dalla testa di cacciarmi. Bisogna tornare allo spirito e alla lettera della Costituzione che fu violata platealmente il 29 aprile 93 che portò a togliere le autorizzazioni a procedere”. Lunedì 5. Il coup de théâtre: Berlusconi si presenta in aula a Milano al processo Sme. Cinquanta minuti di autodifesa. “Amato mi parlò di tangenti”, e ancora “il presidente Iri era un falsus procurator, non aveva titoli per firmare quel contratto”. Mercoledì 7. Ancora una lunga lettera a un quotidiano, e questa volta Berlusconi sceglie il più diffuso, il Corriere della sera. “E’ in nome non dei miei presunti interessi personali, ma di quelli del Paese che agisco come agisco in tema di immunità parlamentari e di ritorno alla Costituzione, dieci anni dopo la frettolosa abrogazione del contenuto più importante dell?articolo 68”. Giovedì 8. Le prime pagine dei giornali sono monopolizzate dal filo diretto con Berlusconi al microfono amico di Radio anch?io: “Non esiste la possibilità di processi rapidi e imparziali finché ci sarà una magistratura che attacca e cerca di eliminare quelli che considera avversari politici”. “Il governo non consentirà più ingiurie gratuite contro il primo ministro, l?ingiuria è un reato previsto dal codice”. Venerdì 9. Tutti i quotidiani aprono sugli ispettori al Tg3. A Berlusconi, per conquistare il titolo in prima, basta una battuta: “La libertà di stampa non è libertà di diffamazione. Quando l?informazione si risolve in un concorso nella diffamazione, credo che si debba considerare questo fatto come negativo e inaccettabile”. 51 minuti Sabato 8. La performance del premier alla trasmissione amica, Excalibur su Raidue (51 minuti registrati) scatena il finimondo. Berlusconi parla di “giudici combattenti che usano la giustizia per abbattere lo Stato borghese e collegati in modo visibile a una parte della politica che fa soccorso rosso”. E addirittura via etere indice una sessione speciale del Parlamento sull?immunità. Lunedì 12. Berlusconi è ancora in prima grazie alla sua performance a un raduno di Forza Italia a Udine: “Essere per la libertà significa non consentire a chi è stato comunista di andare al governo, di prendere il potere. La sinistra è pervasa da un?attrazione fatale per i dittatori, e ritrova unità solo quando c?è da insultare il presidente del Consiglio”. Toni estremi, anzi, estremistici, da soluzione finale. Al diavolo la moderazione, si dice esplicitamente, bisogna alzare i toni, il livello dello scontro, il resto è ipocrisia. Le tesi del premier sono rilanciate quotidianamente da giornalisti e ideologi a libro paga, da Giuliano Ferrara a Paolo Guzzanti, da don Baget Bozzo a Renato Brunetta. Sono riproposte nei talk show dai vari portavoce e portaborse che vi aggiungono, se possibile, ulteriori dosi di violenza verbale. C?è addirittura chi accusa, come fa Micciché con lo scrittore Camilleri, “gli assassini del Polo”. In gioco, per Berlusconi e i suoi, c?è la libertà e la sovranità del popolo, anzi, del premier. Il resto sono quisquiglie: la verità, la memoria storica, i problemi veri del Paese, il rispetto degli avversari politici. Tutto è strumentale e piegato in questa sorta di guerra civile che il premier ha voluto scatenare. Non importa chi abbia dichiarato per primo la guerra, se la sinistra o il premier. Importa che questa guerra è combattuta fregandosene del Paese. Un osservatore attento e moderato come Ilvo Diamanti, ha constatato, con amarezza: “Dovunque è nebbia. Adrenalina. Tanto da rendere gli appelli alla moderazione, alla prudenza, al dialogo, lanciati quotidianamente dal presidente Ciampi, inutili e un poco anacronistici. Perché la prudenza, il dialogo, la moderazione, sono virtù fuori moda, in questo tempo. In questa repubblica”. La terzietà sparita All?epoca dei girotondi fiorivano i cantori della terzietà. Ma dove sono finiti oggi? Dove è finito Giampaolo Pansa che aveva detto “contro il dovere di schierarsi e armarsi, io rivendico la mia terzietà senza elmetti. Quando qualcuno invoca barricate ed elmetto, io non ci sto. Sono tra quelli che non ritengono sia un bene farsi accecare dalla faziosità. Preferisco abitare in una zona bianca, una zona non belligerante, dove è ancora possibile ragionare”? Dove è finito Paolo Mieli che aveva invocato la terzietà come antidoto alla “guerra civile di parole”? Una ?guerra civile? che sembra paralizzare e ammutolire la potenzialità e la presenza di un settore Terzo per definizione, il variegato arcipelago dei senza fine di lucro. Il rischio, oggi mortale, è che la logica ?amico-nemico?, ?con me o contro di me?, tracimi dalla società politica alla società civile. Se così dovesse accadere, sarebbe un disastro per la società civile e, alla lunga, per la stessa società politica. Infatti, per sua natura, la società civile è estranea a quel tipo di dicotomia, non esiste una società civile di destra o di sinistra, essa è plurale per definizione, è in qualche modo imprendibile, attaccata alla realtà, irriducibile alle ideologie, figuriamoci alle fazioni. Uno dei disastri del nostro bipolarismo imperfetto, e in balìa dei rispettivi estremismi, è che non si accontenta di disprezzarsi reciprocamente, ma vorrebbe ingaggiare tutti in questa dissennata battaglia sulla pelle del Paese. Ci sono aspetti, questioni, temi della vita pubblica che appartengono in prima istanza al ?bene comune? e che, in quanto tali, devono essere promossi e sostenuti da tutti in una logica di dialogo e di collaborazione. Alla vigilia di una tornata elettorale che vede coinvolti 15 milioni di elettori è bene sottolineare come la terzietà sia un valore proprio del Terzo settore che oggi deve diventare, di più, un compito, una responsabilità. Il mondo del non profit deve difendersi e difendere la realtà della vita delle persone. Dal ritorno degli antichi despoti. Dalle minacce congiunte che la logica, da una parte, e la politica, dall?altra, gli muovono. Dal rischio che la coppia Stato-Mercato gli si richiuda ancora una volta sulla testa, riducendolo ad ancella dell?uno o dell?altro. Privandolo della sua indispensabile autonomia, gestionale, ma soprattutto culturale.


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