Sustainability portraits

Ci vuole passione… e una testa ben fatta

Che cosa vuol dire occuparsi di sostenibilità per una banca? Come si integrano business finanziario e impatto sociale? L’Europa pensa solo al green? Ne parliamo con Giovanna Zacchi di Bper Banca. A partire, come sempre in questa rubrica, dal percorso professionale, nel suo caso ispirato a Edgar Morin

di Nicola Varcasia

La mente delle persone non è come un vaso da riempire. Per dirla con Edgar Morin, bisogna puntare ad avere una testa “ben fatta” e non una “ben piena”. Giovanna Zacchi, head of Esg strategy di Bper Banca, si ispira proprio al pensatore della complessità per descrivere il suo lavoro. Aggiungendovi una personalissima coloritura di ottimismo, che l’ha guidata in un percorso professionale ricco di esperienze, ma tutte legate al grande tema della sostenibilità. La nuova puntata della rubrica di VITA non può partire che da qui.

Dalle Scienze ambientali alla banca: gli head hunter direbbero che il suo è un profilo trasversale.

In effetti la mia formazione è poliedrica. A inizio anni Novanta, sono stata una delle prime laureate in scienze ambientali, con il nuovo corso di studi dell’università di Parma. Successivamente, ho frequentato un master in comunicazione ed educazione ambientale e un altro in comunicazione e marketing.

Un tema che ha portato anche nei suoi primi ruoli professionali?

Ho iniziato subito a trattare le tematiche ambientali, sia nelle aziende, come consulente, sia con enti pubblici, in particolare per la Provincia di Modena, trattando la sostenibilità ad ampio spettro con anche un primo focus sulla rendicontazione.

C’è una svolta nel suo percorso?

È aneddoto che considero significativo. Lavoravo da circa dieci anni, ero già sposata, con tre figli, ma ho capito che volevo formarmi ancora. Così ho frequentato un nuovo Master, rivolto a laureati in scienze della comunicazione. Quando ho raccontato che mi occupavo di sostenibilità, i ragazzi hanno chiesto: «Che cosa vuol dire?». Ho capito che era necessario allargare lo sguardo a 360°, specializzarsi ancora e, al tempo stesso, uscire dalle tecnicalità del settore per capire gli interessi di persone e aziende, traducendo ciò che dicevamo in termini comprensibili.

Poi in quel Master è stata docente, ora insegna comunicazione ambientale alla Business school di Bologna ma, soprattutto, è entrata stabilmente in Bper Banca…

Avevo già la fortuna di supportare Bper Banca a livello di consulenza. Nel 2016 si è aperta la possibilità di entrare a far parte del Gruppo per seguire lo sviluppo dei temi della sostenibilità. Oggi siamo strutturati con due uffici, nei quali lavorano 14 persone e lo staff è in crescita.

Qual è l’orizzonte del suo lavoro?

Se ne parliamo in termini di impatti generati, la banca è, da un lato, un’organizzazione che punta a migliorare la propria sostenibilità interna. Nel nostro caso, parliamo di un Gruppo di oltre 20mila dipendenti, presente in tutta Italia, con una serie crescente di impegni e risultati da valutare costantemente. Dall’altro lato, a maggior ragione, dobbiamo gestire gli impatti dei nostri finanziamenti e dei nostri investimenti poiché, in quanto società che offre un servizio delicato ed essenziale quale è quello finanziario, il ruolo sociale della banca diventa la chiave di volta anche per incidere in maniera positiva sui territori che ci circondano.

Ci può fare qualche esempio?

La serie di prodotti e iniziative realizzati con una precisa finalità di inclusione sociale e avvicinamento al mondo della finanza. In particolare, i finanziamenti di microcredito rivolti a persone, realizzati in collaborazione con Permicro, ma anche quelli rivolti a realtà imprenditoriali e sociali che normalmente non avrebbero accesso al credito perché non possono dare le garanzie minime richieste. Altri strumenti per determinate fasce di aziende o persone sono riservati all’imprenditoria femminile, ai giovani e per l’innovazione.

Come funziona lo strumento dedicato al sociale?

Oggi il nostro fiore all’occhiello è il servizio Bper bene comune, attivo da qualche mese e dedicato agli enti del Terzo settore. Lavoriamo per aprire nuove relazioni e strutturare percorsi volti a supportare quelle realtà che, nei nostri territori, in un’ottica di sussidiarietà, svolgono gran parte del lavoro di sostegno a chi ha più bisogno, ma faticano a trovare negli enti pubblici le risposte ricevute in passato.

Qual è la caratteristica di queste iniziative?

Questi prodotti si distinguono dalla lista tipica delle proposte bancarie perché richiedono una diversa capacità di lettura dei bilanci e delle situazioni organizzative. Per questo formiamo i nostri colleghi a leggere un ente del Terzo settore con la specificità che lo caratterizza. In questo, ci aiuta il fatto di essere un Gruppo retail nato da una ex banca cooperativa che vede la sua ragion d’essere proprio nello stretto contatto coi territori di riferimento. Il portafoglio del nostro Gruppo è composto per oltre il 90% da piccole medie imprese o piccoli operatori economici.

Con quale criterio svilupperete le vostre iniziative in campo sociale?

L’ottica è quella di dare vita a collaborazioni con importanti associazioni e realtà sociali in modo continuativo e condiviso. Un esempio è quanto realizzato con l’associazione Dire, contro la violenza sulle donne, che verrà rilanciato anche in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre prossimo. Inoltre, abbiamo tre progetti, di cui due inseriti nel nostro piano industriale, per i quali siamo impegnati in un percorso di misurazione di impatto assieme a Open Impact.

Su cosa vertono tali progetti?

Riguardano i giovani e rientrano entrambi tra quelli per i quali monitoriamo l’impatto sociale. Uno abbraccia il tema dell’educazione finanziaria ed è stato realizzato con circa 35 università italiane coinvolgendo quasi 1.500 ragazzi. L’altro, chiamato Present4future, è un progetto triennale sull’inclusione dei ragazzi dai 14 ai 24 anni ed è realizzato con il Gruppo Abele in alcune grandi città e ha come obiettivo il  riavvicinare i giovani alla vita sociale.

Voi vi siete fatti parte attiva anche nella lotta alla ludopatia.

Lo riteniamo un punto significativo per il supporto alla crescita di una società sana: il progetto contro il gioco patologico è attivo fin dal 2012. Abbiamo operato delle scelte di business precise: nel nostro Gruppo possono essere utilizzate per il gioco solo le carte prepagate, le altre non sono utilizzabili per giocare. Inoltre, la policy Esg per il credito limita il finanziamento di attività imprenditoriali volte ad avviare impianti e sale slot. Ma, quel che più conta, formiamo i nostri colleghi di rete a riconoscere chi potrebbe avere questo tipo di problemi per supportarlo nel percorso di recupero.

Come avviene il monitoraggio dei casi sospetti?

Trimestralmente mappiamo chi gioca con le nostre carte prepagate e, se figurano dei minori, vengono bloccate e subito avvisati i genitori. Inoltre, quando i colleghi si accorgono che qualcuno gioca oltre le sue possibilità e dunque potrebbe essere scattata una dipendenza, attiviamo un processo di moral suasion, chiamando la persona e informandola sulle possibilità che ha per uscirne. Inoltre, in caso di conti cointestati, possiamo contattare le altre persone di riferimento di quel conto.

Non dev’essere semplice gestire queste situazioni.

Ce ne rendiamo conto ogni giorno, anche per questo abbiamo creato un vademecum con l’associazione Papa Giovanni XXIII per spiegare ai familiari come gestire queste situazioni e abbiamo attivato un percorso di sensibilizzazione chiamato La trappola dell’azzardo in sei città italiane in collaborazione con Avviso pubblico.

Com’è cambiato in questi anni l’approccio alle tematiche Esg?

Un aspetto che ho visto cambiare in maniera drastica, probabilmente perché è cambiato il contesto sociale ed economico, è che negli anni scorsi il commitment verso le tematiche Esg era sì forte, ma “confinato” in un’ottica di responsabilità sociale d’impresa. Oggi invece, tutte le tematiche di sostenibilità, da quella ambientale a quella sociale, senza trascurare la governance, che è il volante, sono considerate strategiche perché vengono affrontate da tutti i punti di vista: l’impatto della banca viene considerato assieme al business, o meglio, il business stesso della banca deve impattare positivamente su queste tematiche.

Dal suo punto di vista, le tematiche ambientali non sono ancora troppo preponderanti rispetto a quelle sociali?

Il nostro piano industriale è composto da oltre 140 progetti Esg. Buona parte di essi è impostata sulla E di environment. La ragione è che la Commissione europea sta utilizzando le banche come traino per la transizione ecologica dell’economia reale. Ma sarebbe scorretto dire che questa impostazione lasci fuori la Esse, cioè gli aspetti sociali. Chi chiede un finanziamento green deve anche dimostrar di essere compliance a tutte le normative sui diritti umani e sul rispetto dei lavoratori. La “Esse” c’è sempre. Mancano, è vero, i regolamenti per la gestione della tassonomia sociale, per questo ci vorrà ancora del tempo. Ma le banche, così come tante aziende, non sono rimaste ferme.

Qual è il problema più grande che vede per i temi della sostenibilità?

Il discorso è ovviamente vastissimo. Il punto sul quale penso non si possa più lavorare in maniera settorializzata sono le fortissime disuguaglianze che si stanno creando nelle società evolute, in un quadro dove le nuove tensioni internazionali non aiutano neanche a livello locale. Restando ai fattori economici, quando l’Europa afferma che la transizione ecologica dev’essere giusta non lo fa per una sorta di moralismo, ma perché la direzione della sostenibilità è l’unica che potrà mantenere e migliorare l’equilibrio della nostra società. Questo è anche il senso dei vari piani come Repower eu e Fit for 55, impostati su tematiche ambientali ma connessi direttamente al benessere sociale.

Cosa può unire i vari interessi?

Tutti devono capire che la sostenibilità è un driver veramente strategico in un’ottica di resilienza e di competitività dell’impresa. Però dobbiamo stare attenti a non lasciare indietro nessuno, questa è la sfida. Dal punto di vista del nostro lavoro, significa dare linfa a quei progetti che fanno bene sia a livello finanziario che ambientale e sociale per la creazione di valore condiviso.


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