Mondo

Intervista a Bradford Smith. Cara America, guarda ai tuoi poveri

Il numero uno della Fondazione Ford lancia un’idea al non profit Usa. "La giustizia sociale è la grande emergenza nel nostro Paese".

di Carlotta Jesi

“Volontariato e solidarietà sono valori iscritti nel dna dell?America, ma pretendere di esportarli in Iraq è un errore”. Secondo Bradford Smith, vicepresidente del Programma pace e giustizia sociale della Fondazione Ford, meglio sarebbe cercare questi stessi valori nella società irachena. Perché ci sono: “La solidarietà non è un?esclusiva americana ed europea: in ogni civiltà esistono meccanismi di ridistribuzione delle risorse e di aiuto ai più deboli. Islam compreso”. Smith lo sa per esperienza personale, sul suo curriculum vitae figurano oltre 10 anni di sostegno e studio della società civile in Sudamerica, e per motivi di lavoro. Lo studio della società civile islamica, e delle strategie con cui opera, è l?ultima tendenza delle grandi istituzioni filantropiche americane. è finita dunque l?era dei prestiti alle ong che studiano meteoriti in rotta verso la terra e di simili investimenti ad alto rischio tanto cari ai paperoni della new economy? Smith, in Italia per inaugurare il master in International Studies in Philanthropy dell?Università di Bologna, risponde così: “Gli attentati hanno cambiato il mondo della filantropia Usa: dal crollo delle torri, sono aumentati i fondi destinati allo studio dell?Islam e a progetti di solidarietà e mediazione interculturale. Ma si è anche capito quanto sia importante destinare risorse a un nuovo tipo di solidarietà: la social justice philanthropy. Vita: Filantropia della giustizia sociale? Bradford Smith: Sì. Alla Fondazione Ford la definiamo così: lo sforzo di garantire diritti universali a tutte le fasce sociali combattendo le cause che impediscono un uguale accesso alla salute, al credito, a una casa e alle opportunità di lavoro. Oggi solo l?11% di tutto il denaro speso in solidarietà negli Usa è diretto a promuovere la giustizia sociale. Una battaglia che sono soprattutto le fondazioni a dover giocare. Vita: Perché? Smith: Per battere le cause strutturali dell?ingiustizia sociale, prima fra tutte la povertà, ci vogliono investimenti a lungo termine, che richiedono una disponibilità di denaro costante. E quali sono gli enti che hanno questo denaro? Quelli più indipendenti da fondi governativi soggetti a cambi elettorali e scelte politiche: cioè noi. Le fondazioni. Se c?è un errore che non dobbiamo fare, è cercare di sostituirci ai governi. Il loro ruolo è risolvere problemi macro di grandi fasce della popolazione. Il nostro, puntare a target più specifici e risolvere problemi più specifici. Vita: La Fondazione Ford stanzia 200 milioni di dollari l?anno in programmi di giustizia sociale. Come vengono spesi? Smith: Abbiamo investito 52 milioni su un progetto di accesso alla casa per persone molto povere nel North Carolina. Vanno a un ente non profit che ha stretto una partnership con la maggior agenzia americana di concessione di mutui per la casa: parte dei nostri fondi servono come garanzia sulle case che concede a chi altrimenti non ne avrebbe accesso. Vita: Le fondazioni italiane sembrano più interessate a finanziare eventi artistici ad alto ritorno d?immagine che progetti di giustizia sociale. Cosa consiglierebbe loro? Smith: Si può promuovere la giustizia sociale anche attraverso mostre. L?importante è avere un approccio di giustizia sociale. Approccio che possono averlo anche i normali cittadini: nel modo in cui si relazionano con gli amici, nel mondo in cui fanno volontariato e promuovono la giustizia nella loro comunità. Il vero suggerimento che darei alle fondazioni italiane, però, è un altro: non dire mai “il mio budget” o “il nostro budget” parlando del patrimonio che gestiscono. Vita: E di chi, allora? Smith: Della società, del pubblico. I soldi che gestiamo sono un bene per gli altri di cui dobbiamo prenderci cura. Bisogna prendere l?esempio dal modo in cui molte popolazioni indigene concepiscono il loro rapporto con la natura: la considerano una risorsa di tutti che bisogna gestire bene nel presente perché possa essere utile alle generazioni del futuro. L?approccio giusto anche per vincere la sfida che oggi dobbiamo affrontare: quella dell?accountability. Il Terzo settore non deve sentirsi immune dalla crisi di credibilità che ha investito governi e aziende come la Enron. Vita: A proposito di governi: crede che quello americano sia stato sufficientemente trasparente verso i cittadini durante la guerra in Iraq e nella ricostruzione? Smith: Leggi i sondaggi sugli americani favorevoli alla guerra e scopri che il 70% sta con Bush. Ma poi ci sono altri sondaggi su chi debba incaricarsi di portare aiuti nel Paese e scopri che oltre il 50% degli americani li vuole gestire in maniera multilaterale. Però di questi secondi sondaggi nessuno parla. C?è una richiesta corale per un intervento dell?Onu ma nessuno lo sa. Non c?è trasparenza. Program officer a Bologna Avete mai sentito parlare dei program officer? Sono coloro che, nelle fondazioni, selezionano e valutano i progetti sociali da finanziare. Professionisti con grandi capacità strategiche e organizzative che, fino all’anno scorso, si formavano solo nelle più prestigiose università anglosassoni. Ma ora le cose sono cambiate: program officer si può diventare anche in Italia, seguendo il master in International Studies in Philantropy lanciato dall’Università di Bologna in collaborazione con il Center on Philantropy dell’Indiana University, con la London School of Economics e con altri prestigiosi atenei. Il piano di studi? Un anno di lezioni che spaziano dal welfare alla sociologia, all’economia con intership presso grandi fondazioni italiane e la possibilità, per i quattro studenti più meritevoli, di trascorrere tutto il secondo semestre presso l’Indiana University. Per ulteriori informazioni su costi, iscrizioni e procedure di selezione potete consultare il sito internet: www.misp.it


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