Cooperazione
Mozambico, Paese polveriera dopo elezioni farsa
L'ex-colonia portoghese rischia di essere il prossimo paese africano ad esplodere se la comunità internazionale non presta il minimo dovuto di attenzione, anche per la presenza di un gruppo jihadista nel nord del paese. Per fare il punto sul paese, dopo il voto contestato dell'11 ottobre scorso, VITA ha intervistato la responsabile paese di Lvia, Giulia Natali
di Paolo Manzo
Lvia è un’associazione di solidarietà fondata nel 1966 in Italia dal sacerdote partigiano Aldo Benevelli. Da allora si è sviluppata in Italia e in dieci paesi africani tra cui il Mozambico, dove l’11 ottobre ci sono state le amministrative.
Un voto contestato da opposizione e dalla popolazione che, soprattutto nelle grandi città, voleva un cambiamento dopo 48 anni con lo stesso partito al potere. Per fare il punto su un paese tra i più poveri dell’Africa VITA ha intervistato Giulia Natali, capoprogetto di Lvia in Mozambico.
Quale è la situazione attualmente e quali sono i rischi?
L’11 ottobre ci sono state le elezioni « autarchiche » (ovvero municipali, ndr) per eleggere gli amministratori dei 65 comuni delle 10 province del Mozambico. Poi, il 15 sono stati divulgati i risultati provvisori che hanno creato molto scontento tra popolazione e partiti di opposizione.
Perché?
Perché risultava avesse vinto il Frelimo, il fronte di liberazione mozambicano a capo del governo dal 1975 in 64 comuni. L’unico in cui non ha vinto è a Beira, la seconda città del paese, sulla costa. Qui ha vinto il Movimento Democratico del Mozambico (Mdm). La popolazione è scontenta perché gli organi per la supervisione del conteggio dei voti hanno riportato molte prove di brogli e non poteva far finta di niente.
Si parla di presidenti di commissione che hanno deciso di non firmare il report in cui risultava la vittoria di Renamo (partito affiliato all’internazionale democratica centrista, di opposizione, ndr). Sono stati visti membri delle commissioni che prelevavano casse di schede elettorali e le trasportavano altrove. Stranamente nelle sale adibite a questo lavoro è venuta a mancare la corrente e le persone dovevano contare i voti con delle torce. Insomma, tutti aspetti che hanno reso davvero critica la situazione.
Ci sono stati ricorsi?
Sì, in tre comuni ai tribunali locali. Ma nonostante questi avessero deciso per il riconteggio, le loro sentenze sono state ribaltate dai gradi più alti della giustizia e questo ha anche creato ancora più malcontento. Con accuse dei massimi tribunali di collusione con il Frelimo e, il 17 ottobre scorso, si è tenuta un prima marcia a livello nazionale, in tutti i comuni. A Maputo si è protestato contro la morte della democrazia, così la hanno chiamata gli organizzatori della Renamo.
Come è andata?
Noi per sicurezza abbiamo deciso di rimanere a casa e detto ai nostri dipendenti locali di fare lo stesso visto che i pulmini del trasporto pubblico, che qui chiamano “chapas”, non funzionavano quel giorno. Però devo dire che a Maputo non è finita in violenza ed è stata una marcia pacifica che si è svolta all’interno di tutta la capitale. Sono circolati video in cui si vedeva che in certe zone la polizia ha lanciato un po’ di lacrimogeni per disperdere la folla però, fortunatamente, nessun ferito. A Beira, invece, gli scontri sono stati un po’ più violenti e anche nel nord del paese, nella provincia di Cabo Delgado, è arrivata voce che fossero morti due ragazzi. Però non è un’informazione certa ma è girata tra noi espatriati e tra le persone che lavorano nelle Ong.
Il 26 ottobre scorso è poi arrivata la dichiarazione ufficiale che ha confermato i dati provvisori, ovvero 64 «autarchie» su 65 al Frelimo. Che è successo dopo?
Che la Renamo ha indetto un’altra manifestazione, venerdì 27 ottobre. Dal mio punto di vista la situazione più o meno è stata comei il 17, ovvero una manifestazione con più gruppi di persone che si sono distribuiti all’interno della città nelle vie principali. Ho visto però una reazione un po’ più rigida della polizia. Nello specifico, proprio sotto casa mia, io abito in centro Maputo dove c’è una una grande via principale, la 24 di luglio, dove stava passando il corteo. In quel momento era molto pacifica, un gruppo di persone con della musica.
Dopo è arrivata la polizia in antisommossa con le camionette a bloccare la strada, a mettersi di fronte ai manifestanti e prima che loro potessero avere qualsiasi tipo di reazione si è messa immediatamente a sparare i fumogeni e lacrimogeni. Questo ovviamente ha portato la folla a disperdersi e a correre preoccupata. Sono stati sparati anche dei colpi, non si sa se a salve o veri, ma la polizia ha avuto subito un atteggiamento abbastanza violento nei confronti dei manifestanti. E questo so che è successo anche in altre aree di Maputo dove fortunatamente non ci sono feriti gravi o morti. Però è stato confermato che al nord sono invece morti due ragazzi.
Ora com’è la situazione nella capitale?
A Maputo la reazione fino ad ora è stata molto pacifica, quindi questa settimana siamo andati al lavoro normalmente. Nel nord del paese, invece, dove già comunque in generale la situazione è più critica da tempo, ci sono state reazioni un po’ più violente. Dai video che ho visto hanno spaccato vetrine ma vedremo solo nelle prossime settimane se ci saranno altre reazioni. Anche perché, da come ha annunciato, la Renamo non sembra che voglia fermarsi visto che i brogli, da quello che dicono, sono palesi e sotto gli occhi di tutti. E ci sarebbero prove lampanti. Magari invece che agire con manifestazioni violente, lo faranno in una forma più istituzionale per fare in modo che davvero poi non gli si possa dare colpe di altro. Quindi portando alla luce queste prove che loro dicono avere in loro possesso.
In tutto questo, la popolazione come vive dopo quasi cinquant’anni di uno stesso partito al potere?
Io sono qui in Mozambico da marzo e la mia conoscenza del paese è degli ultimi 8 mesi, quindi non posso avere una visione così profonda dalla percezione, anche se penso che davvero la popolazione avesse voglia di un cambiamento. Principalmente nelle città mentre nelle aree rurali c’è sempre una visione più legata al passato, alla storia del paese. Là, soprattutto le persone di una certa età, è più facile che rimangano legate al loro partito, il Frelimo.
Nelle città, invece, dove c’è uno sviluppo diverso e una popolazione più giovane, non così legata a quello che il partito ha rappresentato quando era necessario liberarsi dal colonialismo portoghese, c’era la volontà di cambiare. Secondo la Renamo i dati dimostrerebbero che hanno vinto sia a Maputo, la capitale che ha un’importanza fondamentale, sia in altri comuni. Io penso che la popolazione voglia un cambio anche perché il Mozambico da un punto di vista economico è un paese ancora molto in difficoltà. Nonostante abbia avuto un tasso di crescita molto alto, è comunque considerato uno dei paesi tra i più poveri del continente africano.
Quali sono le attività della vostra ONG e di che cosa avete più bisogno?
Siamo qui dal 2004, quando la Caritas mozambicana aveva chiesto una consulenza a Lvia per un progetto su una discarica pubblica in uno dei municipi di Maputo. Abbiamo sempre avuto un grande focus su riciclo e sostenibilità ambientale. Nel 2005 abbiamo fondato ReCicla, la prima azienda di riciclo della plastica mozambicana ed un centro di rifugio per i bambini che vivevano nella «lixera», come chiamano qui la discarica.
Nel 2007 è stata fondata la cooperativa Fertiliza, focalizzata sul compost ottenuto dai rifiuti organici. Poi, nel 2011, Cosmo, che raccoglie e rivende rifiuti riciclabili. Tutte e tre sono attive e portate avanti da cooperative locali. Dal 2004 Lvia si è sempre occupata in generale di sviluppo agro-pastorale, acqua e igiene, ambiente, energia, inclusione sociale e lotta alla malnutrizione.
Che progetti attivi avete attualmente in Mozambico?
In questo momento sono attivi tre progetti. Inoltre abbiamo due sedi, la principale a Maputo, e altri due uffici nella provincia di Nampula, che invece è al nord. Uno sulla costa, a Nacala Porto, l’altro a Namialo. Il primo progetto attivo è “E‐registo, E‐xisto », di cui è leader la Comunità di Sant’Egidio e che si propone di rafforzare e modernizzare il registro civile dei bambini.
Per questo abbiamo aperto nuovi posti di registrazione nei centri sanitari. Abbiamo svolto diversi tipi di formazione e stiamo lavorando per integrare i vari dati, quelli della salute e quelli civili. Il tutto grazie al dialogo tra la comunità Sant’Egidio e il ministero della Giustizia e del Lavoro, che è il riferimento per questo progetto.
Gli altri due progetti?
Sono al nord e vengono gestiti dal nostro staff a Nacala Porto e a Namialo. Il primo si chiama Jovem, siamo i capofila ed è finanziato dalla cooperazione belga in partenariato con l’Istituto Oikos. Mira ad affrontare le sfide della promozione dello sviluppo locale sostenibile, inclusivo e partecipativo, migliorando la condizione dei giovani (sfollati interni e comunità ospitanti) in termini di disponibilità di opportunità di sviluppo economico e di partecipazione alla governance delle risorse naturali.
Il secondo progetto si chiama «Partecipa ao desenvolvimento», finanziato dall’Unione europea. È iniziato a novembre 2020 e finirà a marzo dell’anno prossimo. L’azione propone il lavoro congiunto tra la popolazione di Nacala Porto e le istituzioni pubbliche nella definizione dei fattori di vulnerabilità e nella esecuzione di interventi nella componente di gestione sostenibile della risorse naturali. È necessario promuovere il dialogo strutturato e la partecipazione attiva delle comunità. Sia nell’individuazione delle aree che nell’attuazione di una corretta conservazione, controllo e preservazione dell’ambiente. Anche in ottica di creazione di opportunità occupazionali
I mozambicani sono sfollati da dove?
Nel 2017 è iniziata una guerra nella provincia nell’estremo nord del Mozambico, a Cabo Delgado, una guerra a sfondo jihadista. Ma anche una guerra sicuramente influenzata dalla situazione economica di quella particolare provincia.
Perché?
Perché lì ci sono dei sedimenti di petrolio e gas che ovviamente hanno richiamato grossi investimenti, ma anche questa instabilità. Adesso viene considerata guerriglia ma per qualche anno è stata proprio una guerra che ha provocato molti sfollati, più di un milione. Tutti si sono rifugiati nelle province vicine e molti sono giovani.
La foto in apertura è di AP Photo/Marc Hoogsteyns/LaPresse, quella nel testo è fornita dalla ong.
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