Incontri
Tre porte sulla notte e sul male
Anche quest’anno il Teatro Oscar Desidera propone tre dense serate (3,4 e 5 novembre) per affrontare il tema del Male, proponendo riflessioni e racconti che ci vengono in soccorso in questo tempo lacerato dal dolore della guerra. Protagonisti, Franco Bonisoli, Gabriele Del Grande, Andrea Simoncini e Angela Dematté
L’appuntaento è presso la Sala degli Angeli (via Pietro Colletta 21 a Milano), un nuovo spazio preso in gestione dal Teatro Oscar-Desidera a partire dallo scorso anno. In prima serata, alle 18 30, ascolteremo testimoni a vario titolo della violenza, e della sofferenza che ne consegue; saranno presenti per la prima sera il criminologo Adolfo Ceretti e l’ex-brigatista Franco Bonisoli (che a 23 anni prese parte all’agguato di via Fani in cui venne rapito e poi ucciso l’onorevole Moro), per la seconda Gabriele Del Grande, giornalista, che ha recentemente pubblicato il volume Il secolo mobile. Storia dell’immigrazione clandestina in Europa, e a chiudere il ciclo Andrea Simoncini, professore ordinario di Diritto Costituzionale che interverrà sul tema della “cancel Culture”. In seconda serata invece, per tutte e tre le sere, alle ore 20 30 la sala ospiterà uno spettacolo tratto dal testo “Avevo un bel pallone rosso” della regista e attrice Angela Dematté, che lo interpreterà in prima persona. Lo spettacolo mette in scena un dialogo tra Mara Cagol, membro delle BR e moglie del fondatore Renato Curcio, e suo padre, anziano trentino che vive e crede in un mondo che per Mara è ormai troppo stretto.
La violenza attrae
La violenza attrae, non c’è che dire, soprattutto se si presenta come via possibile per dare una svolta decisiva a una situazione critica, personale, sociale o politica che sia. E Franco Bonisoli ne dà un tragico esempio raccontando di quando aderì alla lotta armata. A seguito di ciò fu prezioso il dialogo nato tra lui e Agnese Moro, figlia di Aldo Moro, grazie anche alla mediazione del criminologo Adolfo Ceretti, nel tentativo di interrompere l’infernale turbine di violenza che si era scatenato e proponendo, come lui stesso dice, non una soluzione o una medicina al dolore, ma quantomeno uno spazio di dialogo in cui tentare una riconciliazione con sé e con la persona che si ha davanti.
Lo stesso fa la Demattè nel drammatico dialogo tra padre e figlia, in cui la distanza tra i due, nonostante il tentativo di avvicinarsi, viene espressa dall’utilizzo del dialetto trentino a cui risponde una lingua ormai sradicata dal territorio natale. Infatti, il padre appartiene a una cultura religiosa e montanara in cui Mara, dopo l’incontro con Curcio e altri, non si riconosce più. Nello spettacolo emerge con forza la pericolosità del linguaggio, politico, religioso o d’altro genere quando si fa astrazione, quando esso diventa un metro assoluto con cui guardare il mondo, poiché tale radicalizzazione del punto di vista, porta inevitabilmente allo scontro con chi la pensa diversamente, all’eliminazione di colui che quindi diventa nemico, nonché ad evitare di guardare anche dentro sé stessi, respingendo ciò che può metterci in crisi. E con ciò emerge tutta la paradossale tragedia che, sempre dal racconto di Bonisoli, porta a cercare la pace facendo la guerra, la fraternità spersonalizzando chi è un ostacolo alla realizzazione della tua idea, della tua astrazione, chiamandolo appunto nemico, “obiettivo bellico”. Afferma sempre la Demattè: “Il male arriva quando l’altro viene fatto fuori”.
Altre testimonianze del medesimo baco sono quelle proposte nelle serate di sabato e domenica. Il 4 ottobre Del Grande proporrà una panoramica sulla storia dell’immigrazione, e sul problema che questa diventa quando la si concepisce un fatto esterno a noi e non interno, ovvero che ci riguarda in prima persona in quanto ne va della nostra capacità di fraternità umana. Domenica invece, Simoncini tenterà di gettare una luce sull’urgente tematica della cancel culture, che ha in sè il rischio di tale polarizzazione ed eliminazione dell’altro; tutto ciò senza ignorare che anche una critica moralistica e supponente ad essa, non fa che perpetuare una cultura e una società violenta e non collaborativa.
Un altra via
Allora ciò che bisogna provare a fare è appunto scegliere un altro modo di agire e di reagire, senza rispondere all’odio con altro odio ma tentando la via della comunicazione (cum munus, compito reciproco e dono allo stesso tempo). In questo senso è l’iniziativa Gruppo dell’Incontro, a cui Ceretti e Bonisoli, assieme ad Agnese Moro, hanno dato vita, portando un piccolo ma assai fertile germoglio di speranza in un mondo oggi ferito dai conflitti e dalle incomprensioni. Di questa esperienza di riavvicinamento delle parti è importante la presenza di estranei alle storie che si incontrano, i cosiddetti “primi terzi”. Bonisoli racconta: “Questi giovani erano un pezzettino di società civile, e ascoltavano i nostri incontri”, non senza la fatica di ascoltare storie molto dolorose”, e Agnese Moro disse loro: “Voi per noi siete fondamentali perché siete una piccola ma significativa rappresentanza della società civile, di quello che noi avremmo voluto che la società fosse nei nostri confronti. Voi siete testimoni”.
Questo può anche essere il ruolo del pubblico delle tre serate, lasciare che venga sfondata l’indifferenza di ciascuno ed essere innanzitutto investiti dalla violenza e dal dolore che vengono raccontati, per potersi fare testimoni di una diversa via. Questo infatti è il passo necessario per percepirsi fratelli con chi compie o subisce il male, e per interrogarsi su quello che si compie a propria volta anche nelle più minime vicende quotidiane.
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