Antonella Ferrari

Maternità negata, quel dolore che brucia più della sclerosi multipla

di Veronica Rossi

Nel suo nuovo libro, l'attrice e scrittrice racconta della ferita ancora aperta che le ha comportato il fatto di non poter diventare mamma. Secondo lei, andrebbero riviste le linee guida per l'adozione, che non permettono alle donne malate di crescere un figlio

Antonella Ferrari, attrice, autrice e attivista nel mondo della disabilità, ha sempre desiderato essere mamma. Eppure non ha potuto diventarlo, né in maniera naturale né ricorrendo alla fecondazione assistita. E nemmeno attraverso l’adozione, negatale perché affetta da sclerosi multipla. L’autrice racconta questo dolore – tuttora bruciante – nel suo nuovo libro, Comunque mamma. Storia di una ferita ancora aperta, edito da HarperCollins.

Ferrari, il sottotitolo del suo libro è Storia di una ferita ancora aperta. Ci può raccontare com’è nata questa ferita?

Da tantissimi anni, com’è noto, ho la sclerosi multipla. Ho sempre avuto il desiderio di diventare madre fin da ragazza. Ricordo che quando avevo 19 anni ed è nata la mia nipotina, io mi divertivo tantissimo a cambiarla, a darle da mangiare, a seguire mia madre nel crescerla. Sentivo un forte spirito materno. I fidanzati che ho avuto in passato, però, non erano le persone giuste. Quando nel 2004 è arrivato nella mia vita Roberto, il mio attuale marito, ho capito che poteva essere veramente il padre dei miei figli. Quindi abbiamo iniziato a chiedere ai medici se potevo provare a rimanere incinta: tanti anni fa la gravidanza con la sclerosi multipla era sconsigliata, mentre oggi la ricerca ha fatto passi da gigante e le persone con questa malattia possono tranquillamente rimanere incinte. Anzi, si è visto che nei nove mesi di gravidanza la patologia si arresta: conosco moltissime donne con la sclerosi multipla che sono diventate mamme. Io all’epoca stavo seguendo una cura molto pesante, mi hanno detto che avrei dovuto sospenderla per poter cercare un figlio: l’ho fatto, ma ho avuto una grave recidiva e ho dovuto concentrarmi sul riprendere l’uso delle gambe e il rimettermi in piedi. Ho passato un paio d’anni veramente difficili, in cui ho dovuto per forza accantonare il pensiero della maternità. Quando sono stata meglio, ho ricominciato a parlare coi medici e a cercare un bambino; purtroppo, per quanto dagli esami io non avessi nessun problema di ovulazione e mio marito avesse solo qualche rallentamento della motilità, il figlio non è arrivato. È accaduto così. Allora ci siamo informati per la fecondazione assistita, abbiamo chiesto l’autorizzazione al neurologo, che ce l’ha negata perché la fecondazione assistita non era consigliata alle persone con sclerosi multipla: oggi è diverso, ma per me ormai è troppo tardi. Quella è stata l’ennesima batosta.

Poi avete pensato di adottare un bambino.

Era l’unica strada rimasta, ma abbiamo scoperto che non figlio a me non l’avrebbero mai dato, perché ho la sclerosi multipla. È stata un’altra battaglia persa. Tutto questo battagliare lo racconto nel libro, perché ce l’ho messa tutta, sono stati anni di forte ricerca di un bambino, che purtroppo non è arrivato né naturalmente né in adozione e questo dolore mi fa ancora male.

La copertina del libro: scritta "Comunque mamma" in bianco al centro, su sfondo arancione due donne che vanno in direzione opposta, una ha un bambino in braccio, l'altra una stampella e un cane al guinzaglio

Qualcuno potrebbe obiettare, quando lei parla della maternità come di un diritto di ogni donna, che si tratti di uno sguardo un po’ “adultocentrico”.

Tutti mi hanno detto che bisognava mettere in primo piano i bisogni del bambino e su questo sono assolutamente d’accordo. Penso però che per un bimbo, piuttosto che restare in una casa famiglia sia meglio crescere con una mamma non perfetta come me. Negando l’adozione a una donna malata – che poi non succede solo a me che ho la sclerosi multipla, ma anche a chi ha avuto un tumore o altre patologie – non solo si fa male a lei, ma anche al bambino, che potrebbe comunque avere dei genitori che lo amano, lo seguono, lo crescono. Avere una malattia neurodegenerativa non significa che per forza la malattia degenererà, significa che ce n’è la possibilità: ma esiste anche la possibilità che una mamma naturale si ammali, ci sono tante possibilità nel mondo. Questo non significa che un figlio non possa essere felice con una madre come me: conosco donne con la sclerosi multipla sedute sulla sedia a rotelle che hanno bambini sereni, risolti, assolutamente tranquilli e per nulla traumatizzati. I benpensanti, invece, dicono che un bambino già traumatizzato dall’abbandono non deve essere sottoposto all’ulteriore trauma di una mamma che potrebbe peggiorare: ma la certezza matematica della perfezione non ce l’hai mai.

Ora la situazione è diversa per chi vive una malattia come la sua e vorrebbe avere figli?

Io purtroppo ho avuto tanti intoppi nel mio percorso e tante cose le ho fatte in ritardo. Quando ho iniziato la terapia immunosoppressiva, che è una forma di chiemioterapia, nessuno mi ha consigliato di congelare gli ovuli, mentre oggi lo fanno: un mio amico è stato da poco operato di tumore ai testicoli e prima gli hanno detto di congelare lo sperma. Io l’ho rinfacciato ai miei medici, ma mi hanno detto che in quel momento mi dovevano salvare la vita: ho avuto la diagnosi vent’anni in ritardo, quando sono arrivata da loro ero conciata davvero male. Mi hanno spiegato che in quel momento non ci hanno minimamente pensato ai figli, perché non ero sposata né fidanzata e all’epoca non era così conosciuta questa pratica. Ci sono molti rimpianti nel mio percorso, perché ho conosciuto Roberto in età adulta, ho cominciato a cercare seriamente un figlio che non ero più una ragazza, ho avuto mille problemi. A volte mi dico che se fosse successo oggi, se avessi dieci anni in meno, probabilmente riuscirei ad avere un figlio, perché la ricerca è molto progredita. Anche oggi, però, non riuscirei ad adottare un bambino, perché le linee guida dicono ancora che una donna come me non può adottare un bambino. Se non vogliamo rivedere la legge sull’adozione per non porre l’accento sulle persone malate, perché altrimenti le ghettizziamo, proviamo a rivedere queste linee guida, perché non è possibile che una donna che ha avuto un tumore e che magari è guarita non possa adottare un bambino. Su questo si lavorando molto grazie al tema dell’oblio oncologico, mentre chi come me è malato di sclerosi multipla non ha nessun supporto.

Antonella Ferrari seduta, con le mani appoggiate a un ginocchio, le gambe accavallate

A proposito dell’oblio oncologico, Carla Garlatti, Garante per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ha di recente espresso preoccupazione per il rischio che questa legge portasse ad applicare automatismi in procedimenti che necessitano di valutazioni caso per caso.

È giusto valutare caso per caso. L’adozione però, diciamocelo, è un percorso lunghissimo e tortuoso, pieno di burocrazia, anche per le persone sane. Io credo che sarebbe utile, nel 2023, snellire questa procedura. Ci si lamenta molto dei bambini che restano nelle case famiglie. E allora diamo una casa a questi bambini!

Lei ha un cane, Grisù, con cui ha un rapporto molto stretto. In Francia ha fatto molto successo un libro, Pourquoi j’ai choisi d’avoir un chien (et pas un enfant), in cui la veterinaria Héléne Gateu parla del suo affetto per Colonel, un border terrier con cui “ha messo su famiglia” nel 2019, dopo un divorzio. L’autrice dichiara che il suo rapporto con cane è simile al legame madre-bambino. È così anche per lei?

La penso esattamente come l’autrice. Le persone che non hanno un cane non possono capirlo, ma le amiche che ne hanno uno e hanno anche bimbi dicono che per loro il cane è come un figlio. Per me Grisù è stato ed è un bambino. So benissimo che non posso paragonare un cane a un bimbo, però un po’ di quella voglia di maternità che avevo fortemente ho potuto realizzarla crescendo Grisù, che ho preso a due mesi e che adesso è un vecchietto di 17 anni. Sentivo la necessità di avere la responsabilità di qualcuno e di crescerlo; in molti momenti mi sono sentita la sua mamma e tuttora mi sento la sua mamma. So che può sembrare assurdo, ma è così.

Le foto di Antonella Ferrari sono di Nicola Allegri

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