Teatro
Amleto e Testori, una bottega per il futuro
Si chiama Bottega amletica testoriana. È un’esperienza innovativa e inedita per il teatro italiano. Otto giovani attrici e attori partecipano ad un percorso di ricerca guidato da un grande regista, Antonio Latella. È un percorso che in alcuni tratti è condiviso con il pubblico, com’è accaduto con tante sorprese in queste settimane a Milano
Otto giovani attrici e attori, uno dei maggiori registi di oggi, un grande scrittore per il teatro nato 100 anni. Sono questi i protagonisti di un progetto assolutamente inedito nel panorama del teatro italiano. Cominciamo a ritroso. Lo scrittore è Giovanni Testori, drammaturgo, nato nel 1923, che ha segnato la scena del secondo ‘900; il regista è Antonio Latella, con storici spettacoli in curriculum e una grande vocazione alla ricerca; gli otto attori, tra i 24 e i 32 anni, sono i vincitori di un bando che aveva visto ben 605 candidature. Sono loro i protagonisti della Bottega amletica testoriana (BAT), un percorso che è uno dei progetti di punta di Pesaro capitale della Cultura 2024. La produzione è infatti di Amat, teatri delle Marche, insieme a Piccolo Teatro di Milano e alla compagnia Stabilemobile. Proprio al Piccolo Teatro, nella storica sede di via Rovello, in queste settimane si stanno svolgendo delle sessioni di prove; per due weekend le prove vengono aperte al pubblico (lo scorso e il prossimo, dal 3 al 5 novembre), per condividere la ricerca che il gruppo sta facendo su un percorso che abbraccia i tre testi di Testori dedicati ad Amleto tra 1970 e 1983: una sceneggiatura per il cinema, l’Ambleto scritto per Franco Parenti e poi Post-Hamlet.
La conclusione del percorso sarà a Pesaro nella seconda metà di febbraio. «È una scuola di alta formazione, dove attori e attrici sono pagati per fare ricerca e dove la materia è molto precisa: la parola di Giovanni Testori, un autore che ha lavorato come pochi sulla parola», spiega Latella.
Gli otto “talenti” protagonisti della Bottega amletica sono: Noemi Apuzzo, Alessandro Bandini, Andrea Dante Benazzo, Matilde Bernardi, Flavio Capuzzo Dolcetta, Chiara Ferrara, Sebastian Luque Herrera, Beatrice Verzotti.
Latella, perché Testori?
L’ho scelto perché era fondamentale, per me, individuare un autore che mi avesse trasmesso qualcosa di importante per il mio percorso e la mia ricerca. Penso sia uno degli autori più importanti del nostro paese, amato e odiato nello stesso tempo, alcune volte piegato a un’idea preconcetta di regia. Questa sua potenza credo possa essere invece molto interessante per la nuova generazione, che non conosce il Novecento e può scardinare l’estetica di Testori. Credo che la sua parola sia molto più forte di qualsiasi estetica perché è la sua parola a decidere l’estetica, non il regista. Per questo preferisco aprire a delle lezioni, senza l’obbligo di una formalizzazione in uno spettacolo, lasciando che il “testo-Testori” scenda e sia, in questo caso, uso una parola cara all’autore, comunione, comunione del testo e comunione del verbo. Sinceramente, leggendolo oggi, appare chiaro che alcune cose siano datate, ma come lo sono certe opere di Pasolini: la questione è come noi ci rapportiamo al fatto che sono autori che, in qualche modo, hanno cercato di contestualizzare e raccontare l’Italia di allora, l’Italia politica.
Lei parla di “comunione”. Parola affascinante e impegnativa. Quali sono le declinazioni pratiche?
Penso ad esempio al tema del rapporto con il pubblico. Abbiamo voluto aprire le prove per due weekend proprio per affrontare un questione che a Testori era molto cara quella del rapporto con il pubblico. Lui lo scuoteva, a volte in un maniera anche potentissima. Il pubblico lo voleva là nel cuore del teatro (Latella indica lo schermo dietro il palco del Piccolo, dove viene proiettata la sala durante tutte le prove, ndr); voleva un pubblico attivo e non passivo, che potesse reagire e far sentire la sua voce. Quando scuoti il pubblico non vuol dire non amarlo, vuol dire amarlo di più. Così quando bestemmi Dio, come in Testori spesso accade, non vuol dire non amarlo, ma amarlo di più perché ne hai ancora più bisogno. Questo rapporto pubblico-attore è una delle domande che mi sto facendo in questo periodo del mio percorso e che abbiamo voluto mettere al centro della Bottega.
Avete fatto anche un bando per selezionare un gruppo di spettatori. Ce lo spiega?
Da subito, accanto all’attore, si è avvertita l’esigenza di sperimentare un rapporto nuovo, diverso, più familiare con lo spettatore, dedicando anche ad esso tutto
il tempo di cura necessario. In una società sempre più vocata al facile consumo di prodotti anche culturali, questa esperienza vuole sperimentare una relazione inedita che non metta lo spettatore di fronte a un prodotto finito ma che lo interpelli e lo stimoli durante il processo di creazione. Di qui la ricerca di otto giovani spettatrici e spettatori “in avamposto” destinati a legarsi agli otto attrici e attori in una relazione quotidiana. Sono stati adottati da ciascun attore e che stanno seguendo in diretta il processo creativo. Gli attori raccontano al loro “spettatore” quello che è stato fatto, stilando un diario quotidiano.
Una delle sorprese per chi ha partecipato al primo ciclo di prove aperte è di assistere ad una prova di “Post-Hamlet” proposto a ritmo rap…
Non è un gioco quello di proporlo a ritmo rap, perché è incredibile come Testori avesse dentro nei suoi versi questo tempo ritmo proprio del XXI secolo. Forse è per questo che non è stato capito nel XX secolo… perché non ne rispettava il tempo. Spesso veniva recitato dilatando il tempo, là dove non c’era bisogno di dilatarlo. Quindi rischiava di essere noioso. Invece ha un tempo pazzesco. Mi sono chiesto che cos’è oggi Testori? E non “che cos’era Testori”? Cos’è Testori per questo ragazzi del XXI secolo? Ne sta emergendo che la sua parola è linguaggio nuovo che risuona come un tamburo, un tamburo che parla al pubblico del nostro tempo. Gli attori sono come gli indiani che suonano le parole di Testori al pubblico…
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