Non profit

Un tempo che cambia

Un’esperienza “anglosassone” con un valore formativo altissimo. Che si ripercuote anche nei rapporti tra colleghi.

di Ida Cappiello

Donare il tempo dei propri collaboratori, invece del denaro, è forse la frontiera più evoluta della responsabilità sociale d?impresa, un territorio ancora quasi inesplorato in Italia (non così nel mondo anglosassone), ma ricco di fascino per l?influenza culturale che esercita sulle organizzazioni coinvolte, infinitamente superiore rispetto al dono monetario. è una sorta di simbolo concreto del tanto auspicato passaggio, nel rapporto tra profit e non profit, dalla logica della beneficenza a quella dello scambio.
I casi aziendali che Vita ha raccolto (Novartis, Bnl, Computer Associates) esprimono approcci organizzativi molto diversi. C?è chi decide di valorizzare al massimo le esperienze di volontariato individuale dei collaboratori, chi preferisce guidare le persone in un percorso collettivo di dialogo con le associazioni, chi ancora parte dalla divulgazione culturale per creare consapevolezza sul mondo del non profit. C?è però un filo rosso che attraversa tutte le esperienze, ed è il valore formativo altissimo riconosciuto al volontariato aziendale da tutti coloro che abbiamo incontrato. A cominciare dai lavoratori protagonisti. Arché, uno dei partner di Novartis per il Community Day 2003 ha raccolto alcune testimonianze anonime dei partecipanti. Ne citiamo una: «Ho trovato nei volontari un livello di creatività e insieme di efficienza organizzativa che ha molto da insegnare a noi. Ho imparato anche a non ingigantire le mie responsabilità di lavoro, pensando che fuori esistono altri problemi».
Racconta un dipendente di CA, Mario Cerri: «Ho scoperto in tanti colleghi una sensibilità sociale insospettata, insomma li ho visti sotto una luce diversa. E poi lavorare insieme per una buona causa favorisce un dialogo trasversale al di là delle differenze di grado, che spesso bloccano la comunicazione».
Per il mondo del volontariato, il beneficio atteso è evidentemente l?acquisizione di nuove risorse, ma anche la costruzione di partnership stabili con le aziende operanti sul territorio, che tra l?altro rinforzano il legame con la comunità. «Ho notato che la partecipazione a iniziative sociali dei dipendenti di un?azienda conosciuta e affidabile», racconta un?altra dipendente di Computer Associates, Antonella Beriatti, «è una garanzia di credibilità, anche perché l?azienda è disponibile a informare sulla destinazione dei fondi raccolti».
è ancora presto, dato che tutte le iniziative sono in fase pionieristica, valutare fino a che punto si verifichi un ?effetto reclutamento?, molto difficile, in ogni caso, da monitorare. Dice in proposito Silvano Basilli, direttore del Villaggio Sos di Morosolo, partner del Community Day:«Finora non mi risultano casi di coinvolgimento stabile di dipendenti Novartis nella nostra struttura. Bisogna considerare, però, che la maggior parte di loro vive in zone lontane dall?azienda. Il seme che abbiamo gettato può essere germogliato in altre realtà. Quello che c?interessa, per ora, è che le persone riflettano, si mettano in discussione, confrontandosi sui temi sociali anche sul posto di lavoro».
Una questione dibattuta riguarda il senso di un volontariato almeno parzialmente retribuito dall?azienda ?sponsor?. Potrebbe trasformarsi in una delle tante forme di pubbliche relazioni che già affollano l?universo della csr? Il rischio non va negato, soprattutto nel caso di iniziative nate dall?alto che non vanno ad affiancare un?attività individuale autonoma.
«Il volontario è per definizione qualcuno che presta la propria opera gratuitamente», chiarisce Renato Frisano, responsabile del settore studi e ricerche della Fivol, la fondazione per il volontariato. «Incentivare il dipendente con alcune ore retribuite può essere positivo, ma limitatamente a una piccola parte del suo impegno. Secondo me, comunque, la forma di volontariato aziendale più efficace è il dono di competenze professionali: sono risorse che altri non possono dare, e tra l?altro servirebbero a limitare il ricorso a figure retribuite all?interno delle onlus che, se eccessivo, rischia di snaturare la loro identità».
Secondo Sodalitas, che per prima ha lanciato l?idea di mettere a disposizione del non profit le competenze manageriali, il dono di know-how è il principale veicolo di sviluppo del volontariato aziendale.
«Il patrimonio che abbiamo a disposizione nelle aziende italiane è enorme», dice Ruggero Bodo, consulente di Sodalitas, «ma c?è bisogno di adeguati stimoli perché le imprese lo mettano a frutto. La legge quadro sul volontariato prevedeva forme di flessibilità dell?orario di lavoro per favorire lo svolgimento di attività sociali, ma non è bastato: l?auspicio è che il ministero del Welfare, che si dichiara fortemente coinvolto su questi temi, elabori una proposta concreta per promuovere questa innovativa forma di responsabilità sociale d?impresa».

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