Non profit

Finalmente, a occhi aperti

Anche Pirelli e Benetton nel mirino dei fondi

di Francesco Maggio

Il cane da guardia che non ha abbaiato»: sentenziava così, poco più di un anno fa, il New York Times a proposito di Calpers. Cosa (non) aveva fatto il gigantesco fondo pensione dei dipendenti pubblici della California (150 miliardi di dollari di asset gestiti) per meritarsi una simile strigliata dall?autorevole quotidiano americano? Pur avendo investito diverse centinaia di milioni di dollari in Enron, non aveva vigilato a dovere sulla gestione dell?ex colosso texano dell?energia (e sappiamo tutti come poi è andata a finire). Non furono in pochi gli osservatori che interpretarono l?uscita di Calpers da alcuni Paesi asiatici per via del mancato rispetto dei diritti umani (questa, la motivazione ufficiale) come un escamotage per distogliere l?attenzione dell?opinione pubblica da questa vistosa e imperdonabile ?omissione?. Ne seguì un dibattito pubblico molto acceso, l?azionariato attivo dei fondi (pensione e di investimento) conquistò le prime pagine dei giornali (comprese, naturalmente, quelle di E&F, Vita n. 14/2002) e uno dei protagonisti assoluti ne divenne Robert Monks, fondatore sia dell?Institutional Shareholders Service, la più grande società di consulenza internazionale sui temi della corporate governance per gli investitori istituzionali, che del fondo di investimento Lens (che dalla nascita, nel 1992, ha sistematicamente battuto l?indice Standard & Poor?s), un fondo che entra nelle aziende in cattive acque e le rimette in sesto stando dalla parte dei diritti degli azionisti. Da qualche settimana, anche al di qua dell?Atlantico assistiamo a un inedito ?risveglio? dei fondi (pensione e di investimento. Per esempio, grossi calibri come il fondo Liverpool, Fidelity, il fondo pensione Hermes e altri ancora, hanno deciso di farsi rappresentare da Deminor (società di consulenza per la tutela dei diritti delle minoranze) per far sentire la propria voce alla prossima assemblea di Telecom Italia di cui detengono, complessivamente, circa il 10% e di cui non condividono il valore di concambio stabilito per la fusione con Olivetti. Il fondo K Capital ha già manifestato perplessità a proposito del riassetto della Ifil, la finanziaria degli Agnelli. Mentre sono stati grossi fondi stranieri a opporsi alla fusione Marzotto-Zignago perché ritenuta poco conveniente per gli azionisti di quest?ultima società. E, ancora loro, a indurre la famiglia Benetton ad alzare il prezzo dell?offerta pubblica di acquisto su Autostrade. Insomma, così come i fondi socially responsible che lo fanno da sempre, anche i fondi ?tradizionali? hanno cominciato a voler vederci chiaro nella gestione delle aziende in cui investono. Che dire se non «meglio tardi che mai»?


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