Profit e non profit

Extraprofitti? Questa banca è una fondazione

Intesa Sanpaolo progetta l'azione sociale dei prossimi anni. In una delle città in cui è nata la sua storia, la banca annuncia investimenti per 1,5 miliardi entro il 2027. E il consigliere delegato e ceo, Carlo Messina, citando anche gli enti azionisti, dice: «Siamo la fondazione più grande d'Italia»

di Giampaolo Cerri

Finisce con un Giovanni Bazoli commosso l’iniziativa “Nessuno escluso. Crescere insieme in un Paese più equo. L’impegno di Intesa Sanpaolo” che il gruppo bancario guidato da Carlo Messina ha deciso di tenere stamane a Brescia. La città sarà la sede della nuova «unità organizzativa dedicata con funzioni di indirizzo e di governo delle attività sociali svolte dal Gruppo, denominata “Intesa Sanpaolo per il Sociale”».

Il presidente emerito, 91 anni a dicembre, si commuove e lo dice, perché Intesa Sanpaolo «è rimasta coerente, fedele vorrei dire, a quell’idea di banca in cui era stata concepita fin dall’inizio». Lui, bresciano della Leonessa, grande stratega di questo processo di fusioni e incorporazioni che parte dall’ormai lontano 1998, per creare il più grande gruppo bancario del Paese, il settimo in Europa, lui, Bazoli, dicevamo, vede compiersi il disegno cui ha dedicato qualche decennio e vede la sua città, Brescia la cattolica, toviniana nelle radici solidaristiche, già popolare e democristiana in quelle politiche, gratificata dalla scelta di insediarvi quello che appare come il “motore sociale” della banca stessa.

Extraprofitti a riserva e 1,5 miliardi andranno a ridurre le diseguaglianze

Un’altra novità nel giorno in cui Messina ne ha già annunciata una e piuttosto importante: Intesa Sanpaolo «destinerà 1,5 miliardi di euro a iniziative e progetti finalizzati alla riduzione delle disuguaglianze entro il 2027 per contribuire al bene della collettività, considerando gli importi destinati alle iniziative e quelli relativi ai costi delle strutture a supporto delle iniziative stesse». Notizia che accompagna quella che il gruppo non pagherà la tassa sugli extraprofitti, il discusso provvedimento varato dal Governo Meloni, ma accantonerà quegli utili, 2,01 miliardi, a riserva, come la legge consente.

Sì perché ormai Intesa Sanpaolo, che capitalizza quasi 43 miliardi al Ftse-Mibtel di Milano, «primo datore di lavoro italiano con le sue 100mila persone» come ricorda, non senza orgoglio lo stesso Messina, è la più grande realtà privata italiana per impegno nel sociale: «Noi siamo un’istituzione per questo Paese, non solo una banca», scandisce il consigliere delegato dal palco dell’auditorium ex-Ubi Banca, nel cuore cioè dell’ultima fusione per incorporazione che ha allargato il perimetro del gruppo nel 2021.

Coprogrammazione e coprogettazione. Per davvero

Potrebbe suonare pretenziosa, se non rivendicativa verso il Governo per il balzello progettato dal ministro Giancarlo Giorgetti, invece quella di Messina è un’affermazione inserita in un ragionamento ampio che, partendo dai dipendenti, «in una situazione di forte redditività mi vergogno di guardare alle mie persone se non posso adeguare gli stipendi», arriva alle tante progettualità sociali, che vedono la banca impegnata, non solo come finanziatrice – 200 milioni all’anno cui si sommano 100milioni di costi di struttura per le mille persone che vi si dedicano – ma sempre più come co-progettatrice e co-gestrice, in un modo che la Pubblica amministrazione, che pure dovrebbe adottarlo, ancora si sogna. Non è lui a ricordarlo ma i molti rappresentanti del sociale che si succedono sul palco: da Letizia Moratti, che parla di San Patrignano e di E4Impact, la fondazione che forma i giovani imprenditori africani, a Serena Porcari, la ceo di Fondazione Dynamo Camp, che ricorda il contributo degli stessi volontari aziendali di Intesa Sanpaolo al lavoro sugli 8mila bambini e ragazzi ammalati seguiti ogni anno; da Giovanni Bruno, presidente di Fondazione Banco Alimentare, che parla dei progetti per il recupero del pescato illegale, a don Marco Pagnaniello, direttore Caritas, che racconta come la collaborazione col gruppo bancario, nata per distribuire bene di prima necessità ai fragili, si sia evoluta in percorsi di inserimento lavorativo. O fino a Roberto Saini, che con l’impresa sociale Fenix opera all’interno del carcere di Bollate (Mi), ricondizionando vecchi pc dismessi dalle aziende: «Quelli di Intesa risposero subito», racconta, e furono d’accordo quando chiesi loro di venderci le attrezzature anziché donarcele, perché questo dava stabilità al nostro lavoro».  E lo dice anche, con grande passione, anche Andrea Morniroli, co-coordinatore Forum disuguaglianza e diversità, raccontando il supporto di Intesa Sanpaolo al “Progetto Futura”, che lavora sulla povertà educativa femminile: 13-24enni, anche mamme sole.

La genetica degli azionisti

Dialoghi che danno corpo a quello che Messina ha già detto, ricordando che non poteva essere diversamente per una banca con le vecchie casse di risparmio nel Dna e quindi, 30 anni dopo la Legge Amato, le fondazioni di origine bancaria come azioniste.

Anzi, citando le due più importanti, Fondazione Cariplo e Compagnia di San Paolo, e gli importanti livelli di contribuzione al mondo sociale – 150 milioni la lombarda, 180 la piemontese – Messina ricorda che coincidono esattamente con i dividendi che l’ente guidato da Giovanni Azzone e quello di Francesco Profumo hanno potuto staccare da azionisti di Intesa Sanpaolo.


Il che fa dire al consigliere delegato, sommando appunto l’impegno diretto della banca per il sociale: «Siamo la più grande fondazione d’Italia». Affermazione che, vent’anni fa, avrebbe fatto sobbalzare sulle loro sedie i presidenti-azionisti, ma che oggi suona del tutto naturale ai 300 dell’uditorio.

D’altra parte Messina ricorda più volte Giuseppe Guzzetti, co-autore con Bazoli del progetto complessivo, e cita Enrico Salza, papà della fusione con l’Istituto San Paolo, a testimonianza che, da queste parti, gli azionisti non sono algide presenze nei cda ma storia che si è innestata in altre storie.

La fierezza e la benedizione

Come naturali paiono le fiere sottolineature di Messina: «Senza Intesa Sanpaolo e senza la volontà delle fondazioni non si alimenterebbe il sociale in questo Paese: garantiamo linfa vitale a enti che generano bontà e interventi positivi nel territorio». O anche il perentorio «senza di noi, in questo quadro di risorse ridotte, molti interventi sul sociale non ci sarebbero».

Del resto, il lavoro sociale di Intesa Sanpaolo ha potuto godere della benedizione personale di Francesco, con missiva da Santa Marta indirizzata a Messina, che comincia per “Caro fratello”. Un messaggio affettuoso, anche aldilà della formula di rito, in cui si può leggere: «(…) vi esorto a proseguire nei vostri obiettivi per rafforzare il processo di inclusione economico-sociale rivolto con particolare attenzione ai più fragili ed in primis ai migranti, a realizzare progetti di “demografia per la sostenibilità” che devono trovare protagonisti giovani ed anziani, e porsi come antidoto alla cultura dello scarto».

Parole che, nell’auditorium bresciano, si incarica di leggere suor Alessandra Smerilli, segretario del dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo umano integrale.

La banca parla inclusione: impensabile 20 anni fa

Parole – e non solo quelle del Papa -, accenti e testimonianze che, 20 anni fa, nessuno avrebbe pensato di ascoltare a un evento nazionale della prima banca italiana.

E non è solo questione di linguaggio, in sala si potevano incontrare il presidente Arci, Walter Massa, o Giusy Biaggi, la presidente del grande consorzio di cooperazione sociale Cgm, Claudia Fiaschi, presidente di Confcooperative Toscana e già portavoce del Forum per il Terzo settore o, ancora, Felice Scalvini, presidente di Fondazione Asm e direttore di Fondazione Garzanti. Solo per citare alcuni.

Il Terzo Settore infatti ascolta, dialoga, costruisce e il ruolo sociale di una banca, quello che Gian Maria Gros-Pietro ha ricordato all’inizio – «non si fa solo facendo credito ma avviando progetti per risolvere problemi collettivi, dalla transizione ecologica all’housing, e socialmente rilevanti» – il ruolo sociale di una banca, dicevamo, si misura sul piano della concretezza. E quella non pare far difetto alla gestione Messina, a cominciare dal numero, importante, di persone del gruppo che lavorano su questi temi, ricordato sopra, ma che fa un certo effetto se riportato in percentuale: una su cento.

A questo evento è dedicato l’episodio n. 60 di VitaPodcast, con gli interventi di Messina, Pagnaniello, Porcari e Morniroli. Ascolta.

Nella foto di apertura, dell’autore, ressa di fotoreporter intorno a Messina alla fine dell’evento. Sopra, Carlo Messina in un ritratto di Maria Laura Antonelli.

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