Cultura

Iraq: Vescovo di Tripoli, le guerre vinte non fanno la pace

Mons.Martinelli rivaluta Gheddafi, "un vero beduino, tollerante"

di Redazione

”La violenza e la guerra non costruiscono la pace. Neppure le guerre apparentemente vinte. Può farlo solo il dialogo”. Mons. Giovanni Martinelli non lo sostiene soltanto per convinzione. Ma per esperienza di vita. E’ vescovo di Tripoli, in Libia, dal 1985, terra di frontiera verso il mondo arabo, da una parte, e quello africano, dall’altra. Francescano, nato in Libia da genitori italiani, recatisi in quel paese dall’Abruzzo nel periodo della colonizzazione, Martinelli ha studiato nel seminario dei francescani in provincia di Salerno. Una volta prete, ha studiato arabo e islamologia, si e’ fatto la licenza in teologia e nel 1971 e’ ritornato in Libia. Martinelli è stato in visita nel Trevigiano, dove l’Asca l’ha intervistato, raccogliendo giudizi favorevoli a Gheddafi e alle posizioni del papa e della S.Sede sul conflitto iracheno che, secondo Martinelli, e’ lungimirante per il dialogo con l’Islam. D – Qual e’ la situazione di una diocesi di frontiera come la sua? R – Non so quanti cristiani abbiamo, perche’ in Libia ne arrivano tantissimi, da ogni parte del mondo, e non si dichiarano, anche perche’ la Libia non chiede loro permessi particolari. Di parrocchie, comunque, ne abbiamo solo due: una a Tripoli, l’altra a Bengasi. Una quindicina i sacerdoti, un centinaio le religiose. Contiamo, pero’, su numerose parrocchie linguistiche: inglese, francese, polacca, coreana, filippina, spagnola, araba, solo per citarne alcune. I nostri ”parroci etnici” vanno a celebrare anche in pieno deserto, dove ci sono i lavoratori dei cantieri. D – Avete il mondo africano alle spalle. E’ una presenza che vi crea preoccupazione? R – No, questa semmai e’ una opportunita’, perche’ gli africani rappresentano una ricchezza. E non solo per la convinta partecipazione al lavoro, ma anche per la testimonianza (di una vivacita’ unica) che danno sul piano religioso. Non si dimentichi che gli africani sono i benvenuti perche’ da parte della Libia e’ in atto il tentativo di creare l’unita’ africana. D – Arabi cristiani ne avete? R – ”Si’, numerosi, sono emigrati dall’Iraq, dall’Egitto e dal Libano. I rapporti con i musulmani non comportano problemi. I libici sono molto accoglienti. Gheddafi e’ un tollerante. E’, d’altra parte, un vero beduino. Ma la liberta’ che come Chiesa ci siamo conquistati e’ appesa ad un filo, perche’ venivamo identificati con i grandi poteri dell’Occidente. In particolare degli Stati Uniti e dell’Europa. Ecco perche’ siamo entrati in fibrillazione quanto gli USA ed alcuni paesi europei hanno deciso d’entrare in guerra contro l’Iraq”. D – Che cosa vi ha ”salvato”? R – ”Se devo essere sincero, avevamo molta paura prima che scoppiasse la guerra. Temevamo una presa di posizione che non fosse chiara. Nel 1991, infatti, avevamo incontrato qualche problema, nonostante che anche allora il Papa e la Chiesa avessero detto che la guerra non era contro i musulmani. In questa circostanza, pero’, il Papa e la Santa Sede hanno sostenuto una posizione di esemplare chiarezza, evitando in questo modo anche i rischi di uno scontro fra le religioni. Non va dimenticato, poi, che il Vaticano e’ stato contro l’embargo a cui e’ stata sottoposta la Libia, senza che vi fosse alcuna ragione. E’ stato un provvedimento imposto ingiustamente dagli USA. E con Tripoli ha continuato a mantenere, anche in quel periodo, relazioni diplomatiche. Ci ha ”salvato”, poi, la ”cattolicita”’ della Chiesa”. D – Ovvero? R – ”Dicevo prima delle grandi diversita’ linguistiche che arricchiscono la comunita’ cristiana. Testimoniano la cattolicita’ della Chiesa. I musulmani ci dicono: non possiamo piu’ identificarvi con un solo paese. E infatti rappresentiamo davvero il mondo afro-asiatico. E il compito della Chiesa – molto apprezzato anche dai seguaci dell’Islam – e’ appunto quello di creare comunione”. D – Di che cosa, specificatamente, avete ringraziato il Papa durante la recente visita ”ad limina” dei vescovi del Nord Africa? R – Abbiamo ringraziato il Santo Padre perche’ con la sua testimonianza ha evitato che venisse compromessa la nostra presenza nel mondo arabo. Adesso, dopo le parole del Papa, la Chiesa puo’ effettivamente sostenere che non appartiene a nessun potere politico, ma alla liberta’ e alla verita’. Non e’ piu’ considerata ”la voce del padrone”. Adesso, in conclusione, non abbiamo paura di dire quello che e’ giusto dire”. Di tutto questo ho ringraziato il Santo Padre. Giovanni Paolo II ci ha accolti con tanto desiderio di ascolto e ci ha incoraggiati a continuare il nostro cammino di dialogo. La Chiesa vi e’ vicina, ci ha detto. La nostra chiesa e’ un segno. Ci ha sollecitato ad essere momento di accoglienza e di speranza”. D – La contrapposizione alla guerra, specie a quella preventiva, e’ dunque netta? R – ”La pace e la giustizia non possono essere imposte con la forza. E, in ogni caso, la forza non appartiene al messaggio cristiano. L’unica forza consentita e’ quella del dialogo. Questa si’ dovrebbe essere imposta anche in Medio Oriente. In Israele e Palestina, invece, si e’ usata una forza che ha distrutto case ed economie, ma soprattutto le relazioni. Ci vorranno generazioni per ricostruirle. Ma bisogna cominciare subito, anzi siamo gia’ in ritardo. E finche’ non si risolve questo problema, i rapporti tra Oriente ed Occidente resteranno in fibrillazione”. D – Da Tripoli come vedete l’Europa? Ancora lontana? R – ”L’impressione, talvolta, e’ che l’Europa sia effettivamente lontana, ancora troppo legata agli interessi USA. Gli europei dicono di voler costruire nel Mediterraneo una politica di relazione e cooperazione, ma nei fatti inseguono, ad occhi chiusi, l’America che non vuol rafforzare l’area mediterranea. Eppure, il mondo arabo avrebbe tanto bisogno di un’Europa autonoma. Si pensi che cosa potrebbe fare per la soluzione del problema palestinese”.


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