Famiglia
Bomprezzi: I cento fiori di Civitas
Riflessioni a caldo, dall'interno. Un mondo che si trasforma rimanendo fedele alla propria anima, ma scoprendo il gusto della valorizzazione dei propri gioielli.
Crocevia di storie, di progetti, di destini individuali e di gruppo. Civitas è difficile da raccontare, è più semplice viverla, come un fiume da attraversare in mezzo a una corrente a tratti tumultuosa, a volte più lenta e dolce. E’ difficile che una mostra, all’interno di una fiera, ti prenda emotivamente. Civitas ti stupisce per i contrasti. Riescono a diventare improvvisamente visibili e dignitosamente riconoscibili le tante anime di un terzo settore che, a volte, quando cerca troppo di razionalizzare la propria identità, perde quella capacità fondante di provocare un impatto autentico, spesso gioioso.
Civitas è una festa, e guai se dovesse perdere questa connotazione a tratti un po’ naif, accentuata dai piccoli stand pieni di mercanzie provenienti da mondi lontani, per quella idea di commercio solidale che ormai è abitudine consolidata per molti. E non c’è da vergognarsi se si passa qualche minuto a passeggiare fra i piccoli oggetti come in un suk, prima di decidersi a raggiungere la sala di un convegno importante, e serio.
C’è poi il mondo delle associazioni che si disvelano e si propongono sempre diverse, perché a Civitas arrivano con l’ultimo progetto appena nato, la creatura alla quale si affida la continuità di un disegno, di una speranza, di una idealità. Abbondano i computer, gli schermi, la multimedialità, in un curioso incrocio fra realtà e virtualità, un gioco di specchi che dalle home page dei siti delle associazioni e delle imprese dell’economia sociale rimanda direttamente ai ripiani dei desk, e alle pareti degli stand, zeppe di poster e di simboli, attraverso la mediazione di persone che non sono mai hostess, quelle classiche di una fiera commerciale, ma sono i protagonisti stessi dei progetti, delle speranze, delle idee.
Civitas è Vita, verrebbe da dire. Ed è importante, per me, constatare anno dopo anno una crescita professionale e, spesso manageriale, che non toglie ancora il fascino dello slancio iniziale. E’ interessante notare come l’economia della società civile, stimolata probabilmente dalla necessità di reperire risorse reali e durature, e quindi sottoposta al vaglio critico o dei cittadini donatori o dei finanziatori, pubblici e privati, sia stata in grado, attraverso gli anni, di assumere dimensioni e completezza tali da rappresentare, anche visivamente, una risorsa forte per il nostro Paese.
Civitas è anche il luogo della parola, dei convegni, dei mille incontri. Troppi? Forse sì, ma è dibattito antico e probabilmente inutile. Bello sarebbe, secondo me, avere un filo conduttore tematico nelle singole giornate, per prepararsi di più, per scegliere con cura, per non sentirsi sempre nel posto sbagliato (alzi la mano a Civitas chi non lo ha pensato almeno una volta). D’altra parte i cento fiori del pensiero solidale si meritano anche questo, un incrocio di culture che sarebbe bello ascoltare contemporaneamente, come una sinfonia babelica di una società a misura d’uomo.
Poi, fuori dai cancelli della fiera di Padova, si torna al traffico, ai volti tesi dei passanti, incupiti dai problemi di tutti i giorni, al paesaggio urbano e antropologico delle nostre città, piene di contraddizioni e, spesso, di dolore.
Ma si torna a respirare l’aria di sempre dopo aver fatto il pieno di ossigeno. E per me, che ne ho sempre poco a disposizione, è un’operazione davvero benefica. Lunga Vita a Civitas, dunque. E’ un augurio a noi stessi.
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