«Sono un assistente sociale, sono iscritto all’albo»: inizia così a raccontarsi Simone Schinocca, 46 anni. «Ho lavorato in psichiatria e in carcere e poi sul territorio con un contratto a tempo indeterminato in un consorzio della provincia di Torino. Per un po’ di anni ho fatto questo». Poi però aggiunge un “ma”, che poi non è esattamente un “ma” avversativo: piuttosto una congiunzione che cerca di recuperare pezzi di vita dal passato. «Da quando ho 16 anni faccio teatro». Grazie ad un professore, Simone finisce per iscriversi in accademia. «In pratica è successo che negli anni successivi ho affiancato alla mia formazione universitaria una formazione teatrale».
Questi due mondi per un certo periodo, in qualche modo, hanno viaggiato in parallelo. «Prendevo il teatro molto seriamente, ma era un hobby e non immaginavo che potesse diventare il mio lavoro». E invece è successo.
Gli occhi sul mondo
Simone cede all’abbraccio del palco, molla il lavoro a tempo indeterminato nel welfare pubblico e insieme ad altre compagne di viaggio nel 2005 fonda l’associazione Tedacà, una compagnia teatrale di cui diventa direttore artistico. All’inizio tiene un po’ nascosta la sua formazione sociale. Finché ha tornato a bussare «il mio essere assistente sociale, un po’ sentinella dell’ingiustizia e avere attenzione sul mondo che ci circonda». In che modo? Nella scelta dei temi da portare in scena. «Abbiamo fatto lavori sulla migrazione, la povertà, la discriminazione di genere, i diritti, il carcere, la scuola». Una scelta che è diventata un elemento distintivo della compagnia. «A Torino abbiamo anche aperto un teatro nel quartiere Parella, una zona periferica e siamo diventati un punto di riferimento nel territorio». Oggi Simone si definisce così: assistente sociale teatrante.
Sento una grande responsabilità e un grande privilegio: poter raccontare le ingiustizie del nostro tempo e portare l’attenzione su storie, dinamiche e situazioni che non hanno una luce di attenzione
Simone Schinocca – assistente sociale, direttore artistico di Tedacà
Un carcere diverso è possibile
Un esempio è Fine pena ora, l’ultima produzione di Tedacà: «Si occupa di carcere e racconta dell’incontro tra un magistrato e un ergastolano». Il Consiglio Regionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia-Croas, il Consiglio dell’Ordine nazionale-Cnoas e la Fondazione Nazionale degli Assistenti Sociali, che a fine settembre 2023 hanno organizzato a Brescia un convegno dedicato al welfare culturale, dal titolo “Welfare è cultura”, hanno voluto che a chiudere la giornata ci fosse proprio questo spettacolo: la prova provata che i due mondi, artistico e sociale, hanno davvero in comune e la possibilità di toccare con mano potenza dell’arte per entrare in empatia, per immedesimarsi in una storia che non è la tua. Dal punto di vista narrativo, lo spettacolo, di cui Simone ha curato l’adattamento, è una pièce teatrale: la storia eccezionale di un ergastolano e di un magistrato, «che dopo 28 anni di scrittura di lettere diventano uno il riferimento dell’altro». Da un punto di vista sociale, «è uno spettacolo che si porta dentro il tema del “senso del carcere”, delle sue condizioni e si pone anche delle domande», dice Simone. La più grande è questa: «Il carcere lavora veramente al cambiamento delle persone?».
Ma oltre alla scelta del tema, c’è la visione, «raccontare un’ingiustizia, come anche la possibilità di superamento della stessa», quindi «una dimensione di speranza, un andare oltre». In Fine pena ora, «ci chiediamo se dopo 42 anni di carcere si può pensare a una soluzione diversa che possa aiutare a credere nel cambiamento delle persone. Forse Salvatore, nello specifico, potrebbe tornare ad avere un ruolo attivo nella società».
Oltre il palco
Un spettacolo sociale però ha anche la possibilità, il compito, quasi l’obbligo, di uscire dai luoghi della fruizione tradizionale. «Abbiamo portato Fine pena ora nei contesti della giustizia riparativa e nei prossimi mesi, tra marzo e maggio 2024, saremo anche nel carcere di Asti. Molte cooperative», precisa Simone, «stanno già utilizzando il video dello spettacolo come spunto di lavoro con i carcerati».
«Lavoriamo molto sull’accessibilità». Oltre a realizzare percorsi tattili a fine spettacolo e audiodescrizioni delle scenografie, che vengono diffuse con la collaborazione dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti Torino tramite i canali social e in cloud, la squadra ha appena chiuso un lavoro con due performer non udenti che hanno portato in scena Urla silenziose. «Uno spettacolo in cui mettiamo in luce tutta la fatica dell’essere sordi oggi e in cui ci siamo chiesti come riuscire a intercettare un pubblico differente: non vedenti, persone non udenti» o anche persone in una situazione di fragilità economica, «che mai penserebbero di mettere piede a teatro».
Ecco, racconta Simone, «una pratica ormai consolidata tra i nostri spettatori è quella di donare un ingresso a teatro a chi non può permetterselo. In cinque anni abbiamo raccolto oltre 500 biglietti sospesi, che sono stati donati a realtà che lavorano con minori in difficoltà, anziani, disabili, migranti richiedenti asilo, bambini e famiglie in condizione di malattia».
Impattare localmente
In un’ottica di inclusione e con l’obiettivo di valorizzare artisti locali e progetti socio-culturali del territorio e sensibilizzare la cittadinanza su temi di rilevanza collettiva, Tedacà a Torino organizza ogni estate Evergreen, un festival di 52 giorni di spettacoli di teatro, danza e musica, laboratori artistici e creativi, tour guidati, interviste, presentazioni di libri, a ingresso gratuito. Il festival mira a favorire la socialità, il benessere e la partecipazione più ampia possibile, includendo tutte le fasce di età e abbattendo barriere economiche di accesso. In questo modo e con questa declinazione, il teatro si riappropria della vita. «Un luogo in cui le persone si incontrano, riflettono e provano a cambiare le cose», che poi è la magia della rappresentazione e della sua capacità di arrivare al cuore della gente.
In apertura foto di Emanuele Basile, dallo spettacolo “Urla silenziose”. Nel testo, immagini da Tedacà. Questo articolo fa parte di una serie di racconti che VITA dedica alle esperienze di welfare culturale in Italia, per contribuire a far sì che questi strumenti nuovi entrino sempre di più nella “cassetta degli attrezzi” degli operatori sociali.
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