Welfare

La regina di cuori si chiama Emanuelle

Due anni fa tra gli immigrati che occupavano una chiesa di Parigi.

di Paul Ricard

«Mi chiamo Emmanuelle Béart, sono un?attrice francese e, da due anni, ambasciatrice dell?Unicef». Nel suo viaggio in Vietnam la Béart ha ripetuto questa spiccia presentazione centinaia di volte, di fronte alle autorità, entrando nei villaggi di paglia, incontrando i bimbi orfani e quelli denutriti. Più volontaria che attrice, capelli alla Giovanna d?Arco, occhi sempre spalancati e attenti, capace di andare al sodo senza mancare di rispetto, con la sola voglia di tuffarsi nella realtà vietnamita. Trentadue anni, figlia di un noto cantautore francese, Guy Béart, la famosa attrice dimostrò al mondo la sua passione civile nell?agosto ?96 quando decine di immigrati occuparono la chiesa di Saint-Bernard a Parigi per protesta contro la legge sull?immigrazione. Emmanuelle andò a stare con loro, insieme ad altri artisti e intellettuali. Poi con una retata la portarono al commissariato dove un poliziotto le chiese se non si vergognasse, con i suoi figli, di comportarsi così: «No, signore, sono fieri di me». Il giorno dopo Emmanuelle portò con sé la figlia in Saint-Bernard. Spiccia ma educata: eppure per la sua battaglia in difesa dei ?sans papier?, per l?apparire in tv decisamente poco truccata, la casa Christian Dior la rimproverò minacciando la rottura del contratto. Infaticabile, la Béart ha percorso con noi il Vietnam dalle montagne del nord alle pianure del sud. Dalle nebbie del delta del Fiume Rosso all?umidità altrettanto spessa del Mékong. Un viaggio dal ritmo sfrenato, dove ha potuto osservare la debolezza causata dalla malnutrizione e i problemi causati dall?acqua potabile, responsabile almeno al 50 per cento della mortalità infantile. Il viaggio si conclude nelle bidonville della capitale Ho Chi Minh, pudicamente definite ?le città di paglia?, dove recentemente sono stati aperti centri d?accoglienza per i 50 mila bambini di strada. Entriamo in uno: seduti a terra, i ragazzi incontrano la Béart. Liam in un eccellente francese le dice: «Non dimenticarci». Il viaggio alterna sofferenze e speranze. Un anziano invita Emmanuelle a prendere il thè nella sua capanna, sulla strada per Yen Bai, a un lancio di sasso dalla Cina: nessuno s?immaginava un impatto così duro con la realtà delle regioni montagnose. In un angolo della poverissima stanza, una donna seduta sui suoi talloni allatta un bebé di sei mesi. Non è la madre, che è morta per emorragia durante il parto. Il bebé è rimasto orfano con cinque fratelli. «La donna più anziana, dal viso bellissimo, mi parla nella sua lingua», nota Emmanuelle nel diario, «e noi capiamo». Tra sofferenze e speranze, dunque. Ci si meraviglia il giorno dopo davanti alla gaiezza di dozzine di bambini, foulard rosso intorno al collo, uniforme blu e bianca i maschi, rosa le femmine, durante una visita senza preavviso in una scuola. «Dietro il sorriso di questi bambini, c?è tanta sofferenza, tristezza, spesso malattie infettive, carenze alimentari», scrive Emmanuelle. «Ma non sono qui per impietosirmi, sono qui per la vita. E proprio la forza della vita mi stupisce, questi ragazzi crescono, malgrado un nutrimento appena più ricco dell?amido contenuto in una ciotola di riso. Riesco a percepire la forza grazie a cui non solo sperano, ma credono che all?indomani ci si possa alzare per cantare». Fuori dalla scuola le biciclette la incuriosiscono. Un ragazzo la sfida: «Non sei capace di andare sulla mia bici», Emmanuelle gli prende la bicicletta blu e gli dice: «Guarda». Poi, non capisco se per davvero o da consumata attrice, alla seconda pedalata effettivamente cade. L?importante è che l?improvvisata assemblea di ragazzi rida a crepapelle. Fare la ?regina di cuori? come la definiscono all?Unicef-Francia, comporta anche qualche formalità, ed è l?aspetto più oneroso per un tipo spiccio come la Béart. Annota: «Questo Vietnam è Paese di troppi discorsi, decreti, soluzioni di inchiostro e di carta. Sopravvivo a questi incontri con le gerarchie provinciali, inventandomi portavoce di chi incontro nelle strade, parlo a nome dell?Unione delle donne del tale distretto o del vicepresidente del Comitato popolare di quell?altro…». Ma Emmanuelle ha il magico potere di mandare all?aria ogni formalità senza maleducazione ma con lo stupore di una bambina. Alla fine di un banchetto dagli infiniti cerimoniali in un hotel illuminato da improbabili neon, un piccola donna tonda, amministratrice di una provincia, intona un canto tradizionale. Alla fine, tra lo stupore di tutti, interrompendo l?inizio dell?ennesimo discorso, Emmanuelle, si alza e canta una canzone di suo padre, Guy Béart. Una vera comunicazione si stabilisce, il miracolo ha luogo, persino i neon non danno più fastidio. Strada, sempre sulla strada, malgrado la fatica degli incontri, la ?regina di cuori?, osserva, ascolta, annota. E poi s?arrabbia a pensare a un Paese in cui la metà dei bambini con meno di cinque anni è malnutrito e che pure è il secondo esportatore di riso al mondo. In un piccolo ospedale del sud, Thuy, 18 anni, presenta a Emmanuelle suo figlio di nove mesi. Capelli senza più colore, occhi infossati nelle orbite, pelle a squamosa, gesti lentissimi. Soffre della ?malattia delle scimmie? dice Thuy. Emmanuelle sa che quel bimbo potrebbe tornare a vivere con pochissimo, altro che ?malattia delle scimmie?: basterebbe un minimo di sana alimentazione. Donne, sempre donne e bambini. Scrive la Béart: «A tenere in piedi questo Paese sono le donne e i bambini. Le donne sono coraggiose e capaci di solidarietà. Già a 12-13 anni sanno dirmi frasi come ?Spero che un giorno nessuno dormirà più per strada?». Ed è alle donne che Emmanuelle parla, spiega, convinta che lo sviluppo passi dall?educazione, dall?insegnamento dei gesti più semplici per curare la salute. Solo una volta Emmanuelle, dopo tre ore di strada, chiede di fare una gita sul delta del Mekong: «Un momento di recupero è necessario. Non si può passare da una sofferenza all?altra. Prendersi del tempo fa parte del rispetto che dobbiamo agli altri». È l?ora della partenza, sono le 5 del mattino. Emmanuelle scrive: «È il momento in cui uno si chiede se i suoi sforzi saranno serviti a qualche cosa. Se questo aiuto che sono venuta a portare aiuterà a riempire il vaso enorme dei bisogni. Rispondo sì, perché qui ogni goccia di speranza è vera sorgente di vita, di speranza».


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