Politica

Io non ho paura, Salvatores, neo mistico

Recensione del film "Io non ho paura" di Gabriele Salvatores.

di Giuseppe Frangi

Lampi di luce accecante accendono lo schermo: è il sipario abbagliante che Gabriele Salvatores cala su ogni svolta cruciale del suo nuovo film, Io non ho paura, tratto dal romanzo di Nicolò Ammanniti. Sono tante cesure emblematiche, come se il regista volesse portarci in una sfera che sta al di là del reale, in quella zona dove la coscienza degli uomini, bambini o adulti che siano, trapassa in un indistinto misterioso. Salvatores racconta una storia di rapimento, l?ambienta in una Basilicata che sembra una terra fuori dalla terra, e propone un?alleanza tra bambini (il rapito e il figlio del rapitore) che alla fine sconfigge la prepotenza cinica dei grandi. Ma c?è un che di neo mistico in tutto questo. Un?idea che il buono della realtà sia ciò che sta fuori o ai margini della realtà. Che il bene appartenga a creature angelicate, vestite di bianco coi lunghi capelli biondi, come il bambino rapito. Ed è tale l?invasamento del regista per questo ?bene? che gli sfugge la capacità di rappresentare il male: come accade al goffo Abatantuono, costretto a incarnare la parte dell?eroe cattivo, senza averne le caratteristiche psicologiche. Insomma Salvatores continua ad annaspare in quella zona grigia in cui da anni si è smarrito. Che grigia resta, per quanti bagliori il regista tenti di accendere.

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