Comunicazione medico paziente
L’empatia del medico migliora la prognosi
Di empatia e capacità comunicative si parla al 124esimo congresso nazionale della Società italiana di medicina interna Simi. Nonostante siano alle prese con grandi criticità organizzative, carenza di personale e posti letto, gli internisti italiani rivendicano l'importanza del guardare (e visitare) alla persona nel suo complesso
Oltre alle competenze specifiche della propria disciplina e alla capacità di adattarle alla situazione, i medici devono essere provvisti di forti capacità empatiche e comunicative, perché «la relazione è un momento di cura e lo è ancora di più quando il tempo per parlare con il paziente è poco, come nei contesti acuti e di emergenza/urgenza. Il paziente non è un individuo qualsiasi: noi ci relazioniamo con una persona in stato di bisogno e sapere come farlo è fondamentale. Le cosiddette soft skills possono essere insegnate, esistono metodiche ormai basate sulle evidenze e non ci si può affidare all’eventuale capacità innata del singolo individuo». A parlare è Nicola Montano, presidente eletto della Società italiana di medicina interna Simi, riunita nel 124esimo congresso nazionale a Rimini dal 20 al 22 ottobre. L’efficacia di una buona comunicazione, di uno sguardo diretto e una stretta di mano è osservabile a livello biologico, in termini di ricadute sul sistema immunitario, sulle variazioni ormonali e dei neurotrasmettitori, ma anche sull’aderenza del paziente, e quindi sulla prognosi in generale.
L’empatia e la relazione medico-paziente nella cura
Ricoveri inappropriati e il reparto diventa una lungodegenza per cronici
La Simi una società scientifica è in forte crescita numerica, i suoi iscritti sono passati da 3.288 nel 2021, agli attuali 4.884, e oltre il 72% ha meno di 45 anni. Eppure, gli internisti, che durante la pandemia hanno giocato un ruolo fondamentale, assistendo oltre il 70% dei pazienti Covid in Italia, devono affrontare crescenti difficoltà organizzative, dalla carenza di organico alla riduzione dei posti letto, nonostante gestiscano 30mila dei 200mila ricoveri l’anno con punte del 30% durante l’estate. La carenza di posti letto e l’organizzazione del sistema sono tra le cause principali del fatto che la medicina interna si deve far carico anche di pazienti subacuti che non trovano spazi in strutture a bassa intensità, di riabilitazione e nei reparti di post-acuzie. Spesso sono pazienti anziani, non auto-sufficienti e senza assistenza da parte dei familiari. I cosiddetti Bed Blockers sono il 22% in medicina interna. Ciò impedisce le dimissioni dai reparti di medicina interna, che si trasformano in lungodegenze. Oltre alla mancata uscita, c’è la criticità in entrata, ovvero il pronto soccorso, denuncia Giorgio Sesti, presidente della Simi: «Il territorio è il collo di bottiglia per cui noi non riusciamo a rispondere a tutte le necessità del pronto soccorso, perché abbiamo tanti letti bloccati da ricoveri spesso per motivi sociali. E questo si ripercuote a monte, con l’intasamento del pronto soccorso. Anche questo inverno ci aspettiamo l’ennesima crisi dei pronto soccorso».
Un sistema inadeguato
In altre parole, «gli internisti hanno le competenze per occuparsi di pazienti difficili con patologie avanzate e complesse, spesso pluripatologie, ma si trovano a gestire i cronici perché il sistema, quello previsto dal servizio sanitario, è stato disegnato 45 anni fa guardando agli acuti, quando oggi il vero problema è la gestione della cronicità. Le scelte attuali dovrebbero essere lungimiranti e pensare ai bisogni di domani» conclude Nicola Montano. Questa enorme criticità si traduce in burn out degli operatori che non riguarda solo la medicina interna ma tutte le specialità soprattutto quelle “ospedaliere”, come l’anatomia patologica, medicina d’urgenza, l’anestesiologia, la pediatria e la ginecologia, dalle quali si assiste un fuggi fuggi generale che diventerà ben presto carenza di figure specializzate.
L’empatia nel setting acuto e dell’emergenza/urgenza
L’insostituibilità del medico
L’empatia e la comunicazione medico paziente si ricollega a un altro grande tema che gli internisti discuteranno al congresso, quello delle più recenti metodiche di intelligenza artificiale che consentono e consentiranno potenti avanzamenti, spiega Sesti, «nelle diagnosi precoci in ambito di screening, in ambito radiologico e di imaging, nello sviluppo di nuovi farmaci, come l’antibiotico (Halicin) efficace contro l’antibiotico-resistenza generato da un’intelligenza artificiale nel 2019. Interessanti anche le applicazioni sperimentali nell’arruolamento di pazienti negli studi clinici». Ma, conclude Montano, già presidente della federazione europea di medicina interna che riunisce le società scientifiche nazionali: «Un grande internista statunitense, Abraham Verghese, disse che “it is not only tech, it is also touch“, l’abilità del clinico e l’esame obiettivo non potranno mai essere sostituiti, ma solo affiancati, dall’intelligenza artificiale».
Foto del National Cancer Institute americano pubblicata su Unsplash
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