Legge di bilancio

La giovane premier che dimentica gli anziani

Il testo della manovra blindata dal Governo di Giorgia Meloni non prevede alcuna dotazione finanziaria per la riforma sulla non autosufficienza. Una norma che potenzialmente potrebbe migliorare le condizioni di vita di 3,8 milioni di over 65 e dei loro familiari e caregiver. Ma evidente questa non è una priorità della maggioranza. Peccato che lo sia di tantissime famiglie

di Stefano Arduini

In Italia vivono 3,8 milioni di anziani non autosufficienti (su 14,5 milioni di over 65). Entro il 2030 i non autosufficienti saranno 5 milioni (in questo approfondimento trovate tutti i dati). 

Provvedimenti specifici sulla non autosufficienza sono stati presi in Austria nel 1993, in Germania nel 1995, in Francia nel 2002 e in Spagna nel 2006. In Italia siamo arrivato tardi, con la legge 33 del 23 marzo 2023. Peccato che questa norma non contenga alcuna dotazione finanziaria. Il budget sarebbe dovuto essere indicato nella legge di Bilancio 2024. Quello in discussione in questi giorni.  Nel documento presentato dal governo la dotazione è però pari a zero. Zero euro per quasi 4 milioni di anziani, che con i familiari, operatori e caregiver che li assistono a vario titolo si arriva a una platea di 10 milioni persone, piùdi un italiano su sei. L’Italia non dimentichiamolo è il secondo Paese più vecchio al mondo. Anche se Governo fa finta di non saperlo. 

Nel 2008 la spesa pubblica per  la sanità era il 7% del Pil e poi ha cominciato un percorso di progressiva riduzione che la porterà – in assenza di interventi – al 6,2% nel 2025. Le spese straordinarie degli anni del Covid sono state, appunto, eccezionali e non hanno modificato la tendenza. Pure rilevanti sono le necessarie modifiche al modello delle risposte: sotto questo profilo, il rafforzamento del territorio – tanto evocato in tempi di pandemia – pare di là da venire.

Provvedimenti specifici sulla non autosufficienza sono stati presi in Austria nel 1993, in Germania nel 1995, in Francia nel 2002 e in Spagna nel 2006. In Italia siamo arrivato tardi, con la legge 33 del 23 marzo 2023

Da una parte, un’ampia fetta dei servizi ricevuti dagli anziani sono finanziati dal Servizio Sanitario Nazionale (servizi socio-sanitari). La necessità di potenziarli è evidente, si pensi alla scarsa presenza di servizi domiciliari. Dall’altra parte, l’inadeguatezza dei complessivi interventi rivolti agli anziani produce spesa inappropriata per la sanità ospedaliera, l’esempio più evidente sono gli intasamenti al pronto soccorso come esito della debolezza dell’assistenza territoriale.


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Ora, il Governo, a partire dalla sua giovane presidente del consiglio dovrebbe rispondere a una semplice domanda: la riforma rimarrà una lista di buone intenzioni, come troppe volte avvenuto in passato? La sensazione è che nemmeno la presidente del consiglio Giorgia Meloni e la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali Marina Elvira Calderone sappiano rispondere. Non ne hanno quasi mai parlato. Come se fosse questione di secondo, se non terzo piano. 

Il Governo, a partire dalla sua giovane presidente del consiglio dovrebbe rispondere a una semplice domanda: la riforma rimarrà una lista di buone intenzioni, come troppe volte avvenuto in passato?

Ma a cosa serve nel concreto questa riforma che secondo i calcoli del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza necessita, a regime, di una dotazione finanziaria di 5-7 miliardi l’anno (cifra considerevole, ma raggiungibile a patto che diventi una priorità della politica)? 

L’obiettivo è agire già dal 2024 in ciascuno dei principali ambiti del settore: assistenza domiciliare, servizi residenziali e trasferimenti monetari. 

Vediamoli nel concreto.

Si vuole attivare l’assistenza domiciliare specificamente progettata per la non autosufficienza, sinora assente in Italia. Oggi l’Adi (Assistenza domiciliare integrata, di titolarità delle Asl), il servizio domiciliare più diffuso, eroga in prevalenza singole prestazioni sanitarie per brevi periodi di tempo. L’Adi, infatti, copre gli anziani perlopiù per 2-3 mesi e si traduce in prevalenza in singole prestazioni (in maggioranza infermieristiche). L’obiettivo è passare, invece, a una nuova domiciliarità fondata su una durata degli interventi adeguata ai bisogni dell’anziano, la cui condizione di non autosufficienza può persistere per anni, portandolo non di rado ad avere necessità di assistenza con continuità. Inoltre, la complessità della non autosufficienza richiede sovente interventi multiprofessionali, con l’erogazione contemporanea di diverse prestazioni, sociali e sanitarie. 

Rispetto alle strutture residenziali, si punta ad aumentare la qualità dell’assistenza attraverso l’incremento del tempo di cura dedicato ad ogni persona, cioè l’intensità assistenziale. L’intensità assistenziale si misura dal tempo che, ogni giorno, gli operatori dedicano al singolo individuo ed è in relazione alla dotazione di personale. Quest’ultimo rappresenta il fattore principale per la qualità della vita degli anziani nelle strutture. Essi, d’altra parte, risultano in condizioni sempre più critiche (per problemi di movimento, demenza, fattori clinici o altro) e hanno un bisogno sempre maggiore cura. Oggi l’intensità assistenziale è, in gran parte del Paese, inadeguata.

Rispetto ai contributi economici, la riforma avvia il passaggio dall’indennità di accompagnamento alla nuova prestazione universale per la non autosufficienza. Due le novità: l’indennità ha lo stesso importo per tutti (527 euro mensili) mentre quello della prestazione è graduato in base al fabbisogno assistenziale dell’anziano affinché chi sta peggio riceva di più; la prestazione, infine, prevede un importo maggiorato per chi impiega regolarmente una badante, per sostenere questa spesa quando compiuta in modo regolare. 

Foto: sito governo.it

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