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Iraq Journal: “Come sono entrato in Iraq”

"La visita all'ospedale psichiatrico è stato un colpo al cuore, ma quando ho trovato Sajeda in un cassonetto...", da Bagdad parla il cooperante di Intersos

di Lucio Melandri

BAGDAD (Iraq) – … avevamo provato a portare i primi soccorsi sanitari dalla Siria. Insieme a Pierluigi Pugliaro eravamo arrivati con il convoglio carico di medicinali d?urgenza per l?Ospedale Pediatrico Al Mansur di Baghdad fino ad Abu Kamal (il posto di frontiera) viaggiando tutta la notte insieme alla Mezza Luna Rossa. Usciti dal territorio Siriano ci troviamo nella ?terra di nessuno?, L?immagine di Saddam troneggia ancora sulle casupole della frontiera Irakena. Pochi i militari Irakeni ancora a guardia del passaggio. ?STOP !?. I militari non ci permettono l?accesso. Ci dicono che a pochi chilometri ci sono violenti scontri tra forze americane ed esercito irakeno. La strada che porta a Baghdad è battuta dai bombardamenti della coalizione per chiudere un ?asse? ritenuto pericoloso. No way: non c?è modo di procedere, di entrare in Iraq, di arrivare a Baghdad. Di portare soccorso. Le bandiere bianche sui nostri mezzi non bastano: già altri mezzi della Mezzaluna Rossa sono stati oggetto di bombardamenti indiscriminati. Torniamo nella terra di nessuno, in Siria, e depositiamo momentaneamente i medicinali nei magazzini della Mezzaluna rossa alla frontiera. Il Corridoio buono parte dalla Giordania Decidiamo di provare a passare dalla Giordania: arriviamo in auto ad Amman e subito ci incontriamo con i colleghi di ICS e Terres des Hommes Italia, che fanno parte del Tavolo di Solidarietà per il Popolo Irakeno. Stanno organizzando un altro convoglio di aiuti sanitari per raggiungere Baghdad in collaborazione con ?Un ponte per??. Nel giro di poco riusciamo a preparare tutto per il viaggio a Baghdad insieme ai colleghi. All?ultimo momento però gli amici di ICS e THD vengono bloccati da lungaggini burocratiche doganali. Decidiamo quindi con Sebastian, collega di INTERSOS che ci ha raggiunto ad Amman, di procedere soli verso la capitale Irakena, un po? come apri strada. I colleghi partiranno più tardi e si muoveranno più lentamente, accompagnando un camion carico di aiuti. Pierluigi rimane ad Amman e rientrerà in Italia per seguire insieme a Nino Sergi l?evolversi della situazione dalla sede centrale di INTERSOS. Martedì 15 aprile: Obiettivo Bagdad, un benzinaio? Miracolo Si parte da Amman alle 4 di mattina. E? buio: carichiamo le cose più necessarie sul fuoristrada e ci si mette per strada. Con noi gli ?strumenti del mestiere? (computer, telefono satellitare, riserva di acqua e gasolio, etc.) ed alcuni generi di prima necessità. Non sappiamo infatti esattamente cosa ci aspetterà lungo la strada. Alle 8.30 giungiamo alla frontiera e sbrighiamo in pochi minuti le pratiche doganali. Un’altra volta ci inoltriamo nella di terra di nessuno. Dall?altra parte però questa volta non ci sono militari Irakeni: riconosciamo l?inconfondibile uniforme americana. I marines ci controllano, vogliono sapere chi siamo, cosa andiamo a fare, perché, percome??ed entriamo finalmente in Irak. Non so perché, ma mi sembra improvvisamente che cambi il clima, l?aria, gli odori. Tutto mi sembra più acre, più duro, più pesante. Davanti a noi il deserto ed una autostrada altrettanto deserta. Occupata solo da rottami di camion e corriere bruciate, colpite, violentate, abbandonate. La strada è lunga e la tensione alta. Le ore di viaggio vengono contraddistinte solo da staffette tra rottami ed elicotteri da combattimento che volano bassi. Raramente una figura umana all?orizzonte o una macchina che viaggia in senso contrario. Sono le due quando arriviamo in prossimità di un centro abitato e miracolosamente troviamo un distributore di benzina aperto. Ci avviciniamo e ci viene subito rivolta una domanda diretta: ?Americani ?? Procediamo verso la capitale e man mano i fumi e gli spari si fanno più frequenti. Baghdad è in preda all?anarchia più totale. Cielo rosso cupo, irreale e colonne di fumo dai palazzi di un potere ormai collassato. Il nostro autista, vedendo le macchine ed i camion carichi di beni depredati, esclama: ?Alì Babà, Alì Babà?. Gran parte della popolazione sta saccheggiando la capitale e le sue istituzioni, i musei e le scuole ogni dove. Incontriamo Simona di ?Un ponte per?? che ci accoglie. E? stanca e gentile: è qui dall?inizio dei bombardamenti e conosce l?Irak e la sua gente, condividendone la storia degli ultimi anni di embargo. Con lei anche Marinella che si coordina con i movimenti per la pace presenti in loco. Ci sistemiamo in una stanzetta dell?hotel Al-Fanar a fianco dell?albergo Palestina, circondati dai carri armati americani. Si dorme per terra perché non ci sono abbastanza letti. Né elettricità ed il cibo scarseggia anche in questi alberghi frequentati da ?internazionali?. La stanchezza del viaggio e la tensione sono comunque tante. Ci si addormenta sotto il rumore degli ultimi spari di Baghdad. Mercoledì 16 aprile: primo giorno nella capitale, l’ospedale degli orrori Mattina di sole offuscato dai fumi residui sopra la capitale. Poca gente in giro: timorosi gli abitanti che si aggirano per le vie abbandonate di Baghdad. I negozi sono tutti chiusi e solo qualche coraggioso venditore offre poca mercanzia disposta su stracci per terra. Con Simona andiamo subito alla sede della Mezzaluna Rossa Irakena percorrendo un tragitto interrotto ancora da spari, esplosioni, incendi e saccheggi. Immediatamente dopo ci rechiamo all?Ospedale Pediatrico Al Mansur. Non vi troviamo solo bambini affetti da malattie croniche, ma feriti di ogni età, colpiti da proiettili, dilaniati da esplosioni, tormentati dalle ferite provocate da bombe a grappolo e a frammentazione. L?ospedale ha dovuto riconvertirsi in un grande pronto soccorso, cercando di far fronte a tutte le emergenze in una situazione di grande precarietà: a Baghdad non vi sono più elettricità ed acqua ed i medici faticano anche ad avere il minimo per le operazioni più urgenti. Non esiste più una struttura organizzata di riferimento: tutti i direttori ed i riferimenti che occupavano un ruolo di responsabilità seppur minimo sono spariti temendo di essere considerati ?amici? del regime di Saddam. Anche qui l?anarchia e la confusione regnano. Ma anche tanta umanità ed impegno: giovani medici, infermieri e studenti universitari occupati ventiquattro ore al giorno a soccorrere e curare le vittime di questa guerra. Senza un salario, una garanzia sul loro futuro, una certezza di quello che accadrà. Insieme alle prime ONG presenti a Baghdad decidiamo di installare un comitato di coordinamento per organizzare le operazioni di soccorso: un importante punto di riferimento per procedere organicamente nel disordine più totale. Nel pomeriggio arrivano a Baghdad gli amici di ICS e TDH che accompagnavano il convoglio proveniente dalla Giordania. Insieme a loro facciamo il punto della situazione e programmiamo le prime azioni di emergenza. Il tramonto segna la fine della nostra giornata: è stato imposto il coprifuoco e nessuno si può muovere dopo l?ultimo canto dei Muezzin, la preghiera della sera. Giovedì 17 aprile: incontro (in un cassonetto) con una Sajeda Sajeda è nata poche settimane fa. Tiene gli occhi sempre chiusi: forse per la paura di vedere quello che l?aspetta in questo mondo. L?hanno trovata vicino ad un cassonetto per l?immondizia durante i bombardamenti e l?hanno portata all?orfanotrofio Dar Al Daola. Ci sono altri 150 bambini. Tutti orfani da prima della guerra: è ancora presto per capire quanti sono quelli ?nuovi?, creati da questo ultimo conflitto. Abbiamo iniziato l?analisi dei bisogni e delle necessità prioritarie dividendoci in tre squadre per capire da dove iniziare con gli aiuti in una città immensa, di cinque milioni di abitanti. Ospedali, strutture sociali, popolazione vulnerabile, zone bombardate. L?ospedale psichiatrico ospitava oltre mille malati mentali. Ci dicono che quando gli americani sono entrati in città hanno aperto i cancelli ed hanno fatto uscire tutti i pazienti, forse pensando che tra loro vi potessero essere prigionieri politici, rinchiusi per farli tacere. Dopodiché il centro è stato saccheggiato fino all?ultimo interruttore, mobile o finestra. Oggi sono circa trecento i pazienti che, dopo avere vagato per la città, sono tornati. Si cerca di riorganizzare, di rispondere almeno alle esigenze più fondamentali. La Croce Rossa Internazionale ha portato alcuni serbatoi di acqua potabile e gli operatori del centro rispondono come possono ai bisogni dei degenti. Si avviano anche le prime distribuzioni di medicinali portati con il convoglio giunto da Amman, negli ospedali che faticano a rispondere alle emergenze che costantemente si presentano presso le loro porte. La popolazione irakena è smarrita: da una parte il sentimento di liberazione da un regime dittatoriale che per anni ha soppresso, dall?altra il risentimento di essere stati bombardati, assediati, occupati. Di fronte ai carri americani che si aggirano per le vie di Baghdad mani alzate in segno di vittoria, o grida di scherno e derisione. Venerdì 18 aprile: Le perquisizione del venerdì santo Ogni volta che dobbiamo passare i check point veniamo perquisiti dai soldati americani. La paura di attentati è alta. Inutile dire che siamo Organizzazioni Umanitarie. ?Organizzazioni di che ?? ci chiedono. Un signore anziano si avvicina ad un posto di blocco cercando di passare inosservato. Forse è ubriaco, forse disturbato mentalmente. Forse ne ha viste troppe. I militari lo bloccano: lui prova a spiegarsi, ma parla solo in arabo. Fermamente i marines lo respingono e lo obbligano a tornare indietro. Ci pensa un po? su, accenna ad andarsene. Ma poi improvvisamente si ricorda il suo inglese: ?Yankee: I hate you all !!!? (americani: vi odio tutti !!). Urla e sbraita verso i soldati. Loro non però ci pensano su: un cenno, uno scatto rapido, fulmineo: in pochi secondi è a terra, legato ed immobilizzato. Siamo andati al Centro per gli Anziani di Baghdad, in un quartiere periferico dove la confusione della guerra si è aggiunta alla dimenticanza delle autorità che erano al potere. Una zona degradata dove i cumuli di immondizia non si sono creati solo in questi ultimi giorni di combattimento. Ci sono 160 ospiti dai 60 ad oltre 100 anni d?età. Il centro è completamente privo di acqua e servizi. La struttura è vecchia e comincia a cedere. Le attrezzature ormai consunte dal tempo, come le persone che vi abitano. Anche qui i bisogni sono grandi e la guerra non ha risparmiato questi testimoni degli ultimi decenni dell?Iraq di Saddam. I bombardamenti hanno rotto tutti i vetri, rotto le tubature che portavano l?acqua, creato rughe sempre più profonde nei volti spersi di questi anziani. Si aggirano smarriti tra le quattro mura del centro e si avvicinano chiedendoci perché di questa guerra. Un altro venerdì santo. Un altro calvario.

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