Diritti violati
Un documentario per denunciare le deportazioni dei migranti
“The Years We Have Been Nowhere” è un film di denuncia realizzato dal regista pugliese Lucio Cascavilla insieme a Mauro Piacentini. È un documentario che racconta le deportazioni di oggi ed ha l’obiettivo di dare voce a tutte le famiglie che vengono separate e rispedite nei paesi di origine. Storie che raccontano un doppio rifiuto: quello dal Paese in cui sono arrivati i migranti e quello del Paese in cui sono stati deportati
Quelle di Sulemain, Fatima e Patrick sono storie che raccontano un doppio rifiuto. Quello dal Paese in cui sono arrivati con in tasca il sogno di un futuro migliore, e quello del Paese in cui sono stati rispediti, venendo emarginati da famigliari, amici, parenti che in quel viaggio migratorio avevano investito speranze, soldi, bestiame. Sogni. Gli stessi sogni strappati in modo brutale a tutti i deportati nel mondo, a coloro che giunti dopo tanta fatica in Europa o negli Stati Uniti d’America all’improvviso a causa di problemi burocratici o di piccole infrazioni vengono strappati dalla nuova vita che si sono costruiti, dai nuovi affetti che hanno generato e riaccompagnati in modo forzato a “casa”, nel luogo che avevano lasciato qualche anno prima.
“The Years We Have Been Nowhere” è un documentario di denuncia, un film sulle deportazioni di oggi che ha «l’obiettivo di dare voce a tutte le famiglie che vengono separate e rispedite nei paesi di origine, che vuole sensibilizzare su questo dramma che vivono migliaia di persone, migliaia di storie che ci sono dietro ai numeri». Lucio Cascavilla è un’attivista, scrittore e regista di Manfredonia (Foggia), che insieme al regista e produttore Mauro Piacentini sta portando in giro il suo lavoro per «far conoscere quello che succede e di cui non si parla, perché opporsi alle deportazioni è impossibile; ma opporsi alla brutalità, permettendo agli uomini e alle donne deportati di mantenere la propria dignità, è una questione di civiltà».
L’obiettivo è dare voce a tutte le famiglie che vengono separate e rispedite nei paesi di origine, e sensibilizzare su questo dramma che vivono migliaia di persone
– Lucio Cascavilla
A fare da filo conduttore al film sono le storie di Sulemain, Fatima e Patrick, che hanno lasciato la Sierra Leone in cerca di un futuro migliore. Dopo esser giunti in Europa, i tre protagonisti ricominciano le loro vite da zero: trovano lavoro, si sposano e hanno dei figli. Ma come recita il titolo del film tradotto in italiano, quelli vissuti per i migranti sono gli anni che non siamo stati da nessuna parte. Come nel caso di uno dei protagonisti che arriva a Pittsburgh, in America, «dove prende il diploma di sterilizzatore di strumenti per sale operatorie» spiega Cascavilla. «Nel nuovo Paese in cui è arrivato per vivere un futuro migliore si sposa, prende casa e aspetta che la commissione esamini il suo status di rifugiato. Ma la domanda viene rifiutata ed un giorno la polizia si presenta a casa sua per prenderlo e portarlo in un centro di detenzione per un crimine amministrativo. Ma i centri di detenzione, che siano in America, in Italia o in Europa, non sono come le prigioni che teoricamente tendono alla riabilitazione dei condannati. I centri di detenzione sono luoghi che ti fanno capire che non sei il benvenuto in quel Paese».
Eppure, dietro a quei viaggi migratori ci sono motivazioni come guerra, violenza, persecuzioni, miseria. Senza contare, «i viaggi per arrivare in Europa, con tappe obbligate come la Libia, dove subiscono torture e violenze. Poi, una volta che il Paese in cui hanno ricominciato a vivere ed hanno costruito nuovi progetti di vita decide di rispedirli indietro, entrano in gioco gli accordi diplomatici fra i vari Stati. E se questi accordi mancano, si resta chiusi nei centri di detenzione anche 9 o 12 mesi». Ed una volta rientrati a casa, nella loro terra, inizia il secondo rifiuto: «I genitori, i fratelli, le sorelle e tutti i congiunti, che avevano investito i propri averi per permettere ad almeno uno di loro di costruirsi un futuro migliore, altrove, non possono accettare il loro ritorno a mani vuote. E così, vengono emarginati, allontanati, isolati. Sulemain, Fatima e Patrick diventano paria. Abbandonati e scacciati due volte: dall’occidente e dai propri compatrioti». Per questo, c’è bisogno di sensibilizzare, di raccontare, di far conoscere queste storie che Lucio Cascavilla ha incrociato quando era in Sierra Leone, dove è stato girato il documentario.
Sulemain, Fatima e Patrick diventano paria. Abbandonati e scacciati due volte: dall’occidente e dai propri compatrioti
– Lucio Cascavilla
A spingere Cascavilla e Piacentini a realizzare questo lavoro sono state dunque «la necessità di dare voce agli invisibili che vengono deportati e che nel processo si trasformano da uomini in numeri e statistiche; rappresentare in forma tangibile e fisica l’idea dell’esclusione dalla società. Quando sono arrivato in Sierra Leone ho conosciuto dei deportati» ricorda il regista «che avevano formato un’associazione di ex-deportati che aiutavano i nuovi deportati. Mi sono subito posto il problema di chi fossero, scoprendo così che erano dei rimpatri forzati. Il tema dei migranti è sempre sul tavolo della politica, mentre quello dei rimpatri è invisibile, viene nascosto. Dietro ai numeri statistici dei rimpatri ci sono degli esseri umani. Abbiamo ascoltato le loro storie e cercato di raccontarle».
Conoscere queste storie è essenziale per tenere uniti tutti i pezzi del puzzle che ruota intorno al mondo dell’immigrazione, a partire dalla difficoltà di viaggiare in legalità per la mancanza dei rilasci dei visti, per i limiti della legge Bossi-Fini sugli ingressi in Italia, dalla lunghezza dei tempi con cui le commissioni esaminano le domande dei richiedenti asilo. Ed il film “The Years We Have Been Nowhere” viaggia proprio in questa direzione, diventa uno strumento utile per sensibilizzare le comunità ed «aiutare la politica, affinché le deportazioni possano avvenire in maniera differente, perché in tante circostanze si registrano violazioni dei diritti umani che abbiamo testimoniato ed ascoltato» conclude Cascavilla, che sta presentando e portando in giro il suo lavoro partendo proprio dalla sua città di Manfredonia grazie ad un evento organizzato dalla compagnia Bottega degli Apocrifi.
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