Famiglia
Quella insaziabile fame di cioccolato
Si chiama craving e colpisce una donna su tre.
Quando ti prende la voglia, non sai resistere, apri il frigorifero, la dispensa e ?gnam? un bel morso alla tavoletta di cioccolato. Non serve mangiarne in quantità industriale, una tavoletta ogni tanto e spesso ci si sente ?meglio?. Questa è la cosiddetta ?sindrome del cioccolato? o ?craving?, come la chiamano gli americani che per primi hanno descritto questo disturbo del comportamento alimentare nel 1987. Craving significa letteralmente un bisogno fisiologico e morboso che si caratterizza per la voglia o il bisogno urgente di mangiare non importa quale alimento o un tipo preciso di alimento. Ma a differenza della bulimia la persona soggetta al craving non si ingozza e non si procura il vomito.
Solo da pochi anni questo sintomo inizia a essere osservato attentamente dalla classe medica internazionale, dopo gli studi statunitensi di particolare interesse sono quelli compiuti in Francia, anche perché alcuni di questi soggetti hanno sviluppato successivamente dei disturbi del comportamento alimentare più grave e in modo particolare la bulimia. «Non è detto che sia una patologia, anche se potrebbe trattarsi di una forma strisciante di bulimia», spiega il professor Emilio Franzoni, responsabile del centro Fanep Anoressia di Bologna. «Potrebbe essere una porta di accesso alla bulimia oppure rimanere latente avendo come unico sintomo questo impulso, questo desiderio che può essere paragonato a una dipendenza, come quella da fumo, posso desiderare di fumare una sigaretta, ma non è detto che arrivi a fumarne dieci».
In Italia questa ?sindrome del cioccolato? non è stata ancora classificata e studiata attentamente, «non gli abbiamo ancora dato un nome», conferma il professor Franzoni, «man mano che si approfondiscono gli studi su anoressia e bulimia ci si rende conto però che vi sono tutta una serie di sottoclassificazioni, di tipi diversi di disturbi del comportamento alimentare. Ci rendiamo anche conto che molto spesso questi disturbi sono sottostimati: a volte gli studi sono difficili perché la stragrande maggioranza delle persone non si rivolge al medico se non quando sviluppa la patologia più grave, sia essa anoressia o bulimia».
Il craving per molto tempo è stato studiato soprattutto tra la popolazione obesa, ma Oltralpe un?équipe di medici dietologi ha passato al setaccio gli abitanti di quattro cittadine del nord della Francia dal 1992 al 1997. A tutti veniva chiesto se nel corso dei sei mesi precedenti avevano provato la voglia o il desiderio urgente di mangiare un alimento, o un particolare tipo di alimento almeno una volta alla settimana. Ebbene, una donna su tre, in modo particolare le casalinghe, ma solo il 10 per cento degli uomini si sono dimostrati dei, come li chiamano in Francia, ?craveur?, cioè affetti dal craving. L?alimento preferito è manco a dirlo il cioccolato anche se negli uomini si registra una forte presenza di alimenti salati. Per tutti si tratta di una ?voglia? più che di un bisogno urgente di ingerire del cibo. Anche se poco studiato in Italia, tuttavia dall?esperienza e dal contatto con le persone affette da disturbi alimentari i dati francesi potrebbero essere accolti anche in Italia. «Le ragazze che abbiamo in cura al Centro mangiano soprattutto nel momento in cui non sanno cosa fare, i sintomi regrediscono quando sono costrette a essere impegnate», spiega il professor Franzoni. «Certo questo non dimostra che non pensino al cibo». Una delle tecniche studiate al Centro di Bologna è infatti la terapia occupazionale.
La maggior parte delle donne che sono affette dalla sindrome del cioccolato inoltre hanno seguito dei regimi alimentari, subendo delle fluttuazione del peso corporeo e contemporaneamente hanno cercato di controllare la loro alimentazione per non ingrassare. «Questi sintomi» dice il professor Franzoni «sono inquadrabili comunque in un disordine, in un disturbo del comportamento alimentare, una persona potrebbe tenerseli per tutta la vita sottovalutandone il significato, cercando comunque di regolarsi, ma c?è anche il rischio di sviluppare una patologia più grave». ?
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