I volti della sostenibilità

Business, persone e ambiente: i risultati si “accendono” nel tempo

La rubrica di VITA dedicata ai manager con competenze Esg riparte da Barbara Terenghi di Edison. Dalle risorse umane, il suo percorso è approdato alla sostenibilità, con il fil rouge dell’energia, settore nel quale lavora da più di 25 anni. Così ci aiuta a fare luce anche sulla direttiva europea riguardante la rendicontazione non finanziaria delle aziende

di Nicola Varcasia

Il concetto più vicino a quello di sostenibilità è il tempo. Non c’è attività economica che possa definirsi sostenibile se non è riferita anzitutto alla capacità di crescere e svilupparsi nel medio e lungo termine. Anche per questo, il secondo ciclo dei Volti della sostenibilità, la rubrica di VITA che racconta le storie di chi guida questa funzione sempre più importante per le aziende, parte in dialogo con Barbara Terenghi, executive vice president sustainability di una società, Edison, che ha appena compiuto 140 anni e quindi di tempo e sostenibilità se ne intende.

Terenghi, lei quando ha iniziato ad occuparsi di sostenibilità?

Me lo chiedo spesso anch’io! Direi che è stato un percorso. Nella mia storia professionale, l’interesse per i temi della leadership e della strategia di governance delle organizzazioni, che ho coltivato nel campo delle risorse umane, si è sposato con quello per il mondo dell’energia, nel quale lavoro da più di 25 anni. Un settore che, intrinsecamente, racchiude alcuni elementi legati alla sostenibilità.

C’è stato un crocevia significativo?

Una tappa importante, certamente per me e, in parte, per l’azienda, è stato il progetto Transformation team, che considero l’antesignano del mio occuparmi di sostenibilità.

Di cosa si tratta?

Di un progetto di change management che, dal 2016 al 2019, ha coinvolto ogni anno un gruppo diverso di persone in Edison su temi un po’ distanti dalla loro comfort zone ma, al tempo stesso, in traiettoria con gli obiettivi aziendali: ci siamo occupati, ad esempio, di diversity e inclusion, di nuove soluzioni per i clienti finali e abbiamo messo a punto il primo modello di crowdfunding per finanziare alcuni nostri piccoli impianti idroelettrici e rinnovabili in genere.

Tutti temi che aprono a quello che oggi è il mondo Esg.

Il nostro è un settore da sempre caratterizzato da un importante impatto ambientale, climatico e sui territori. Perciò, le aziende virtuose come Edison hanno lavorato costantemente sia per ottimizzare, efficientare e minimizzare tali impatti nel tempo, sia per valorizzare quelle relazioni che consentivano all’operatore di essere un good citizen sui territori in cui opera e nel tempo di creare valore positivo.

Di fatto, questi sono i punti cardinali della sostenibilità modernamente intesa.

Gli elementi che stiamo citando, e sui quali mi sono felicemente ritrovata, hanno trovato nel tempo anche una vera e propria collocazione nel contesto sociale, economico e politico con la road map del Global compact delle Nazioni unite e l’Agenda 2030. Ma non bisogna dimenticare che il concetto di sostenibilità che guarda non solo al proprio interno ma anche agli effetti sul clima, sull’ambiente e sulle persone nelle comunità è sempre stato al cuore delle strategie industriali più serie e lungimiranti. Concetto che oggi viene applicato strutturalmente in quasi tutti i settori.

Che cosa è cambiato, allora, in questi anni di “riscrittura” delle mission e dei purpose aziendali?

La generazione di valore nel lungo termine resta il paradigma del successo di qualsiasi impresa e dunque del concetto stesso di sostenibilità. Ciò che oggi è molto cambiata è la sensibilità verso le condizioni di contesto in cui questo avviene, siano esse ambientali, sociali, civili o culturali.

Ad esempio?

Oggi la sensibilità verso i temi ambientali o climatici è molto più alta di quella degli Anni 70, dove l’urgenza dello sviluppo industriale o dell’eradicazione di gravi problemi, come la povertà o alcuni tipi di malattie, era ritenuta più importante. Ci troviamo in un contesto più evoluto e, quindi, anche le nostre aspettative e bisogni sono diventate più alte: in linea con lo stesso sviluppo civile di un Paese

Ma è possibile prescrivere le visioni di lungo termine?

Ci sono punti di vista diversi in merito. Il regolatore europeo pensa di sì. Ha costruito un’impalcatura normativa, a partire dal Green Deal e da tutte le regole di compliance e disclosure, che va nella direzione di imbrigliare sempre di più le aziende nella valutazione e conseguente mitigazione dei propri impatti, fino ad arrivare a chiedere loro di definire la strategia industriale per allinearsi a una traiettoria climatica che non ecceda il grado e mezzo di innalzamento delle temperature entro la fine del secolo.

Stiamo parlando della normativa Corporate sustainability reporting directive – Csrd, di prossima entrata in vigore. Come considera questi elementi?

Sono sicuramente di stimolo positivo, perché portano le aziende a prendersi cura anche delle cosiddette esternalità negative intrinseche nel loro modo di operare. Dall’altra parte le strategie industriali non possono essere costruite “per compliance” ed ha molto più senso lavorare  in un sistema, anche normativo,  stabile e coerente per poter costruire ed implementare piani strategici credibili e comunicabili in modo trasparente anche rispetto ai gap climatici.

C’è un punto di equilibrio?

La spinta idealistica deve essere commisurata alla stabilità delle regole che consentano alle aziende di investire: è l’investimento che crea sviluppo economico. Perché senza investimenti e sviluppo economico non avremo neanche i presupposti per valutare se un’azione sia sostenibile o meno. Non possiamo abbandonarci a derive troppo verticali senza dimenticare il quadro d’insieme.

Come, dunque, la nuova direttiva europea Csrd sta impattando nella vostra organizzazione rispetto alla gestione della sostenibilità?

Non è semplice rispondere perché alcuni elementi di merito della direttiva, in particolare i sustainable reporting standard, sono ancora in via di definizione. Tuttavia, l’impalcatura è definita.

Cosa suggerisce?

Le aziende che fino ad oggi hanno realizzato correttamente l’analisi di materialità, svolgendo quindi un buon lavoro di definizione dei beni materiali con i propri stakeholder di riferimento, troveranno una certa continuità. Certo, la Csrd è molto impegnativa sul fronte della numerosità e complessità degli indicatori di rendicontazione. Quanto lo spirito di normare tutto genererà burocrazia e “sovra reporting” per le aziende e quanto darà dei risultati, lo verificheremo.

Quali sono le nuove complessità?

Non si tratta più solo di una consuntivazione ma, come accennavamo sopra, alle aziende è richiesto di spingere lo sguardo in avanti, in una logica di definizione di traiettorie, di piani strategici e industriali coerenti con certi scenari climatici. L’esercizio di proiezione è ancora più complesso dello stesso esercizio di bilancio finanziario. Ci spostiamo in un campo che è piuttosto incognito.

La Csrd aiuterà a includere meglio la S-Social dell’acronimo Esg nei programmi di sostenibilità?

La parte legata all’environment è più univoca in alcuni suoi profili – vedi emissioni climalteranti e impatti ambientali – mentre quella sociale varia da settore a settore e presenta caratteri di maggior soggettività. Su questo pesa anche una storia di rendicontazione ancora giovane. Tuttavia, la normativa individua i target di rendicontazione nelle figure situate nella catena del valore dell’azienda.

Di chi parliamo?

Anzitutto dei fornitori – come indicato nella direttiva sulla Due diligence di sostenibilità – e poi dei clienti e delle comunità.

Che cosa significa per voi?

Lasciando ad altri approfondimenti il tema specifico dell’attenzione alle comunità, che Edison svolge anche attraverso la sua Fondazione dedicata, è giusto che aumenti l’attenzione di offrire al cliente – non solo nel settore dell’energia – prodotti e servizi sempre più accessibili ed economicamente alla portata di tutti e, al tempo stesso, che siano costruiti secondo logiche della sostenibilità, ad esempio in chiave di economia circolare e con modalità più inclusive possibili.

In che senso?

In Edison puntiamo molto sulla prossimità e vicinanza. Per noi il cliente è una persona che può accedere all’azienda attraverso i canali digitali o, se predilige la relazione fisica, attraverso un punto della nostra rete di installatori che forniscono servizi ambientalmente sostenibili, come il fotovoltaico. Tutto va nella direzione di instaurare con il cliente una relazione di qualità e di valore. Anche per questo teniamo molto allo sviluppo delle comunità energetiche.

Con quali obiettivi?

Ad oggi ne abbiamo realizzate una cinquantina di tipo condominiale, ma ci siamo posti l’obiettivo di avviarne oltre 2.000 entro il 2030. Ogni comunità energetica coinvolge in media tra i 16 e i 20 aderenti, parliamo dunque di una notevole quantità di nuclei familiari coinvolti, che potranno risparmiare sulla bolletta, ricevendo degli incentivi per tutta l’energia prodotta con i pannelli fotovoltaici installati e per quella reimmessa in rete.

È questo il futuro dell’energia domestica?

Il decreto del governo sulle comunità energetiche rinnovabili (Cer) prevede un contingente di 5 GW al 2030. È una capacità installata non preponderante ma considerevole. Nel tempo contribuiranno a migliorare il mix energetico del Paese a favore delle rinnovabili.


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