Non profit

Le oscenità della guerra e della politica

Cosa sta succedendo veramente nel conflitto in Iraq secondo l'opinione di Riccardo Bonacina.

di Riccardo Bonacina

Da ormai 20 giorni, e più, tutti noi, chi più chi meno, cerchiamo di capire cosa davvero stia succedendo in Iraq. Non tanto per sapere chi avrà la meglio e quando la guerra finirà. Domande le cui risposte erano chiare a tutti ben prima che l?attacco all?Iraq iniziasse. Risposte che fino ad ora la guerra si è solo incaricata di certificare: la seconda guerra del Golfo è stata lanciata senza nessun nobile motivo, la stessa pericolosità del regime di Saddam, del suo arsenale e delle sue armate, appare oggi una tragica barzelletta. Insomma, neppure la paura dell?America e della sua amministrazione potrà più essere chiamata a giustificare un atto tanto preventivo quanto scellerato, motivato solo dall?obiettivo di ridisegnare un?intera regione del pianeta. Come del resto il gabinetto Bush non si è mai sognato di nascondere. Ciò che noi abbiamo cercato, sotto l?ondata di notizie di queste settimane, sono le effettive dimensioni e la sostanza dell?inferno scatenato sulla terra irachena.
Per questo abbiamo imparato a fregarcene delle roboanti dichiarazioni di Tommy Franks o di quelle ridicole di Mohammed Said Sahaf . Abbiamo imparato invece a fidarci, oltre che dei racconti degli inviati sul terreno, delle fonti indipendenti, dalla Croce Rossa ai cooperanti delle poche ong presenti in Iraq, al personale delle agenzie Onu in loco. E la sostanza del conflitto ci si è disegnata davanti in tutta la sua atrocità, fisicità, dolore.
Il sangue e il dolore di soldati ma ancor di più, come più e più volte abbiamo ripetuto, di migliaia e migliaia di civili. Ammalati senza cure, mutilati senza soccorso, morti senza pietà. Le cluster bomb a Hilla, i missili sui mercati di Bagdad, il tiro ai civili fatto da giovani marines impauriti. Sono ciò che oggi sappiamo di un disastro che necessiterà di molti più giorni di quelli passati in guerra, per averne una esatta contabilità. Il numero di giornalisti uccisi è in genere direttamente proporzionale alla quantità di vittime tra la popolazione civile: al momento in cui scriviamo, in 20 giorni sono stati uccisi 11 giornalisti. Una strage senza precedenti.
Di fronte a questa che è pur l?unica sostanza vera del conflitto, il resto ci pare davvero osceno.
Oscena la dichiarazione congiunta di Blair e Bush a Belfast che assicurano che l?Onu sarà «interpellata» e che «avrà voce nel dibattito sul futuro dell?Iraq». Oscene le mozioni di maggioranza e opposizione votate lo scorso 3 aprile in Parlamento, che discettano sulle misure per i profughi che neppure ci sono. Oscena la dichiarazione di Berlusconi che sì, seppur in un secondo momento, anche l?Italia potrà mettere le mani sulla ricostruzione in Iraq. Oscene le divisioni a sinistra, e l?impeto missionario pro guerra della maggioranza e dei suoi giornalisti.
E non obiettateci della necessità della politica. Ma che politica è quella che non si preoccupa che in Iraq dal 19 marzo a oggi sono entrati solo 24 (!) camion di aiuti, che politica è quella che non chiede a voce alta che venga rispettata la IV Convenzione di Ginevra che ?impone?, alla potenza occupante, l?adozione di corridoi umanitari per il soccorso medico e alimentare, che ancora non ci sono.
Ma che politica è quella dei nostri piccoli politicanti? Scusate, ma, al confronto mi paiono persino un atto di alta politica gli slogan scelti dal ?Comitato Fermiamo la guerra? per la manifestazione di sabato 12.
Eccoli: «Cessate il fuoco»; «L?Onu imponga il rispetto del diritto internazionale e della sua Carta», «Fermare le stragi e la tragedia umanitaria»; «In Iraq come nel resto del mondo la guerra non porta democrazia»; «La guerra uccide le persone, la natura, la civiltà, i diritti e la democrazia»; «L?Europa ripudi la guerra e agisca per la pace».

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