Non profit

L’ associazionismo ha fatto euroboom

In Europa un posto di lavoro su cinque è creato dal Terzo settore, i volontari sono decine di milioni. Ma la sfida si giocherà sulla professionalità e sulla trasparenza.

di Paul Ricard

Il 16 e 17 giugno scorso i premier europei nel vertice di Cardiff hanno esaminato i piani per la lotta alla disoccupazione, ma l?impressione è che sia stato dimenticato uno dei tre principali pilastri per la creazione di impiego. L?impresa? Nooo, ci sono gli inglesi che fanno di tutto per celebrarla. Lo Stato, le sue leggi e i suoi decreti? Nooo, è la specialità dei francesi che puntano tutto sulla legge delle 35 ore. Il grande assente a Cardiff e nella testa dei premier europei è il settore associativo, tutto quel territorio che si estende tra il settore pubblico e il mercato. L?associazionismo inteso in senso lato: in quella sorta di esperanto che va di moda a Bruxelles viene definito il Cmaf (cooperative, mutue, associazioni e fondazioni); nel gergo degli esperti si chiama settore non profit o senza scopo di lucro; o ancora Terzo settore nel dialetto sociologico. Si tratta di una nebulosa? È vero, ma una nebulosa che da quindici anni è senpre in espansione. Negli Stati Uniti ha raggiunto il 10% dell?occupazione e l?Europa segue. E segue senza affanni se è vero quanto detto il 3 giugno scorso a Birmingham dal commissario europeo Christos Papoutis: «Questo settore rappresenta oggi in nell?Unione europea il 6,5/7% del lavoro dipendente. Si tratta della maggior risorsa oggi per l?occupazione, una risorsa capace di rispondere ai nuovi bisogni della società e del mercato, ma anche alle esigenze della flessibilità. Un posto di lavoro su cinque oggi viene creato dall?ambito associativo». Una galassia, quella del non profit, che oggi garantisce una dozzina di milioni di buste paga in un panorama che nell?Unione europea annovera quasi 20 milioni di disoccupati. Un settore sempre più necessario e la cui utilità è già parzialmente riconosciuta dal trattato di Amsterdam, anche se la lobby del Terzo settore pretenderebbe un riconoscimento maggiore.
La pressione dell?associazionismo monta sempre più sia livello europeo che a livello nazionale, malgrado la diversità d?approccio nei vari paesi, dal finanziamento molto pubblico in Francia e Germania, o piuttosto dipendente dalle donazioni private come in Gran Bretagna, o ancora situazioni mediane come in Italia. Così in Francia assistiamo all?esplosione delle ?imprese d?inserimento?, in Belgio c?è il boom degli ?atélier sociali?, in Italia delle ?cooperative sociali?, in Germania delle Bqg (società di impiego e formazione), in Gran Bretagna delle ?cooperative di lavoratori o dei servizi comunitari? e ancora delle ?imprese a finalità sociale?.
Che sia più o meno liberale nessuno Stato può ignorare l?avanzata dell?associazionismo. Un movimento che si sviluppa in tutte le direzioni e non tutte condivisibili: certe associazioni flirtano con il business, altre sono una sorta di società commerciali sui generis giacché ultra-sovvenzionate con denaro pubblico. Altre ancora nascono per rispondere a urgenze sociali e a emergenze improvvise con l?intento di essere poi smontate. Certo ciò che ha Bruxelles hanno deciso di definire ?dinamica associativa? deve molto alle restrizioni budgetarie che obbligano gli Stati a delimitare il perimetro della loro funzione pubblica trasferendo alcuni compiti amministrativi verso filiali associative meno costose e presso cui spostare masse di lavoratori precari. In Francia, per esempio, il 36% dei contratti di solidarietà si trova distaccato presso enti associativi! Ma non tutte le direzioni di sviluppo sono confuse e contradditorie, basti pensare a come le associazioni di malati di Aids hanno saputo coniugare e cogestire trattamento medico e ricerca medica. Due sociologi, il francese Jean-Louis Laville e il belga Jacques Defourny, vedono in questa specie di patchwork un abbozzo di «economia intermedia» che avrà presto un suo posto a fianco del mercato. Per Roger Sue, più radicale e critico, occorrerebbe che l?economia sociale abbandoni in fretta il suo ruolo da infermeria della società per conto della Amministrazione pubblica per attrezzarsi a guidare questa economia dell?immateriale dove l?informazione e il capitale umano hanno il primo posto. In breve, suggerisce al movimento associativo di passare da una funzione di distribuzione di cerotti sociali a un?offensiva moderna e imprenditoriale.
Come? Accettando la sfida della formazione professionale per attrezzarsi a gestire tecnologie che si rinnovano in maniera sempre più rapida. Una sfida alla quale le imprese, troppo assorbite nel breve termine a realizzare il massimo profitto, e lo Stato irrigidito da un organizzazione ottocentesca, non sapranno e non potranno raccogliere. Accettare questa sfida comporterà chiarificazioni e revisioni dolorose. Cosa hanno, infatti, in comune le associazioni di volontariato, 9 milioni di persone in Francia e Germania, 5 milioni in Italia, con le 3.000 società di Mutualité francesi o le 3.800 cooperative sociali italiane? «La finalità non lucrativa», rispondono. Ma non è questo l?avviso della Corte di giustizia europea che interpellata dal Consiglio di Stato francese ha costretto una mutua a piegarsi alle comuni regole della concorrenza, rinunciando ai privilegi del suo status di non profit. Altro nodo delicato è quello della trasparenza. Lo scorso anno Bruxelles ha sottolineato fortemente la necessità di «un quadro giuridico e fiscale che permetta di operare in un ambito chiaro e stabile». Un eufemismo se si considera che in Gran Bretagna il settore delle charities è controllato direttamente dalla Charity Commision, dove siedono due magistrati che hanno il compito di verificare la liceità del trattamento fiscale agevolato, e indirettamente dal National Audit Office (l?equivalente della Corte dei Conti) che rende conto annualmente a una Commissione parlamentare il cui presidente è scelto tra le forze politiche di opposizione.
Forse affinché l?associazionismo faccia in Europa il definitivo boom è il caso che paesi come Francia, Italia, Germania guardino proprio oltremanica.

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