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«Aiuti subito o sarà catastrofe»

Partono in macchina, in camion, sui carretti, i cittadini di Baghdad a centinaia fuggono dalla capitale bombardata. Le Nazioni Unite e la Croce Rossa: un corridoio umanitario per evitare la catastrofe

di Paul Ricard

L?Onu, la Croce Rossa e le altre organizzazioni lanciano l?allarme: in Iraq si rischia la catastrofe, devono arrivare subito aiuti e medicinali. Non sono ancora «aperti», infatti, i canali attraverso cui far transitare il materiale: serve un corridoio umanitario. Finora, dal Kuwait sono passati solo due camion di aiuti della Croce Rossa. Manca anche l?elettricità. «E? una corsa contro il tempo», fanno sapere dalla Croce Rossa. I medici dicono che non si riescono più a contare i morti e i feriti. I medici hanno smesso di contare vittime e feriti negli ospedali dell?Iraq. «E? impossibile tenere statistiche, il flusso di feriti è ininterrotto – conferma la Croce Rossa internazionale (Cicr) -. Le ambulanze continuano a raccoglierne e altri arrivano a piedi. Non si riesce a riconoscere civili e militari». Del resto, nelle corsie d?ospedale, il distinguo avrebbe poco senso. A maggior ragione ora: perché prendersi cura di qualunque vittima di questa guerra diventa ogni giorno più difficile. E? un problema di uomini: «I chirurghi lavorano senza sosta da giorni, sono stremati», dice Osama Saleh al-Dulai, vice direttore dell?ospedale Al-Kindi di Bagdad. Ed è un problema di mezzi: nei 33 ospedali della Capitale, secondo il Cicr, cominciano a mancare anestetici, plasma, analgesici, scarseggia l?acqua potabile e l?energia elettrica proviene dai generatori. Se è possibile va peggio nei centri più piccoli, da Bassora a Karbala o Nassiriya. «Laggiù i feriti sono troppi e manca materiale necessario in sala operatoria – dice da Amman Muin Kassis, della Croce Rossa. Poi i collegamenti sono saltati e non si possono trasferire persone a Bagdad». E ancora non basta, secondo l?Organizzazione mondiale della sanità sono sempre più alti i rischi di epidemie, in particolare fra i soggetti più deboli, come i 12 milioni di bambini iracheni. Ieri l?Onu ha lanciato l?allarme: «La situazione è critica e potrebbe peggiorare». Con il passare dei giorni aumenta il pericolo che la guerra apra le porte ad una durissima crisi umanitaria, dicono le Nazioni Unite. Ma ancora non ci sono canali attraverso cui far viaggiare aiuti per le vittime. Finora dal Kuwait sono passati 2 camion della Croce Rossa e 22 dell?Unicef, che è riuscita a fare arrivare (via Turchia) altri 2 Tir pieni d?acqua e kit medici. Poco. L?emergenza si fa più grave. «E? una corsa contro il tempo», dice Kassis. La Croce Rossa internazionale può contare su circa 120 persone tra Bagdad, Bassora e il Nord del Paese e continua a distribuire decine di migliaia di litri d?acqua potabile, a visitare i prigionieri di guerra e a tentare di ricongiungere membri della stessa famiglia separati dalla guerra. Ma in Iraq, sotto le bombe, sono all?opera varie organizzazioni. Fino a pochi giorni fa 6 volontari di Medici senza frontiere lavoravano a fianco dei chirurghi dell?Al-Kindi. «Turni di 24 ore in sala operatoria ogni 2 giorni», dicono i portavoce di Msf. Che però ha interrotto le attività dopo che due componenti del team sono scomparsi a metà della settimana scorsa. Anche la Caritas fatica a mantenere i contatti con i suoi uomini a Bagdad distribuiti in 14 Centri e appoggiati alle 87 Chiese cattoliche. Le ultime notizie diffuse da Amman parlano di civili ospitati, nutriti e curati da religiosi e volontari Caritas in chiese caldee della capitale. Sempre a Bagdad, sotto le insegne di Première Assistance, un gruppo di 15 ingegneri tenta di mantenere in funzione le sezioni d?emergenza di 11 ospedali. «Riparano finestre e impianti idrici e, per aumentarne la ricettività, in ogni ospedale hanno costruito 2 tende da 20 posti – dice dalla Giordania Andrea Bodea -. Ma ormai fanno fatica anche solo a spostarsi dentro la città». Nel Kurdistan iracheno, infine, sono aperti (da dicembre 2002) 2 centri chirurgici di Emergency, che ha allestito anche altri 2 centri per protesi e riabilitazione. «Ci lavorano circa 650 persone, quasi tutte curde. Dall?inizio della guerra hanno assistito decine di feriti senza fare differenza fra soldati iracheni e peshmerga curdi», dicono dall?associazione. Che attende di far entrare nel Paese 2 Tir di medicine e materiale ospedaliero «parcheggiati» in Giordania. Da Amman, se si troverà una via sicura per entrare in Iraq, dovrebbero passare anche gli aiuti raccolti dal Sermig di Ernesto Olivero. «I belligeranti sono responsabili della sopravvivenza delle popolazioni civili e di garantire la sicurezza dei corridoi umanitari», ricorda Laura Boldrini, portavoce dell?Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Che sottolinea: «Gli aiuti, però, devono essere distribuiti in maniera indipendente. La gestione spetta all?Onu e ad agenzie terze, perché solo così l?azione umanitaria sarà imparziale e corretta. Con i militari si può collaborare, ma è l?ultima risorsa. E la divisione dei ruoli dev?essere chiara». L?Unhcr ha allestito campi per rifugiati tra Giordania, Siria ed Iran e ha stoccato aiuti per 350 mila persone: ma per ora i campi sono vuoti. L?assenza di corridoi umanitari, infatti, impedisce l?ingresso di aiuti e anche l?uscita di profughi. «Fino a quando dureranno le scorte alimentari del programma Oil for food, e noi calcoliamo la fine di aprile, i cittadini resisteranno – chiude Boldrini -. Ma poi, sarà davvero la catastrofe». Che cosa stabilisce Ginevra Dagli articoli 23, 55 e 59 della 4ª Convenzione «Ciascuna parte accordi libero passaggio per qualsiasi invio di medicamenti e materiale sanitario» e dei «viveri indispensabili». «La potenza occupante ha il dovere di assicurare il vettovagliamento della popolazione con viveri e medicinali». In caso di necessità «la potenza occupante accetterà le azioni di soccorso e le faciliterà». Tali azioni «potranno essere intraprese sia da Stati, sia da un ente umanitario imparziale come la Croce Rossa»


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