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Se la Sinistra ascoltasse i poeti

L'editoriale di Giuseppe Frangi sugli atteggiamenti della sinistra italiana nei confronti dei temi legati alla pace.

di Giuseppe Frangi

Perdonate il paragone un po? banale: la sinistra italiana sembra assomigliare a ciò che è l?Inter nel calcio. Ha le carte in regola per vincere, arriva anzi a un soffio dalla vittoria, ma non vince mai. In tanti ci sperano, perché un Paese come questo ha davvero bisogno di una buona e grande sinistra. E invece? Proviamo a ripercorrere quel che è accaduto in questi mesi recenti. L?Italia è stata percorsa da una domanda di pace di dimensioni e forza impreviste. Una domanda trasversale, perché attraversava tante aree sociali diverse tra loro, e divise su tante cose. Una domanda che, come i sondaggi sottovoce hanno ripetutamente evidenziato, sta provocando un?emorragia di voti da un centrodestra che pagava così la sua sordità, più o meno truce, alle ragioni della pace. A Firenze, a gennaio, avevamo assistito anche a un fatto simbolicamente inedito: la sinistra un po? snob e giacobina di Nanni Moretti che si faceva da parte per lasciare il timone a un leader dalla grande presa popolare, Sergio Cofferati. Un leader abituato a parlare e a stare con la gente e non con le élite. E, sempre a Firenze, avevamo sentito Cofferati, presunto estremista, raccomandare a tutti di costruire una sinistra che non «escludesse nessuno». Poi, il 15 febbraio, a Roma, in occasione della più grande manifestazione per la pace del mondo, avevamo visto i simboli arcobaleno eclissare quelli rossi. E l?arcobaleno sembrava davvero l?emblema di un nuovo soggetto plurale, in grado di prendere per mano la politica e portarla fuori dal teatrino che ne impediva qualsiasi dinamismo. Quello per la pace, quello del 15 febbraio non era un movimento, come tanti altri, sorti sull?onda emotiva della storia. Sentite come lo hanno descritto alcuni osservatori di sensibilità non di parte, e non comune. Claudio Magris: «è confortante che siano tanti, che siano una forza, una reale potenza politica. Non sono astratti utopisti, ma politici realisti». Giuliano Zincone: «Non sono scesi in piazza dopo le bombe ma prima delle bombe». Persino il più grande poeta italiano di oggi, Mario Luzi, ha illuminato con i suoi versi questo fenomeno: «Ma bel oltre/ l?ottuso anacronismo, pervade l?uomo ormai una ripugnanza,/ ormai concettualmente/ la mente umana espelle/ da sé la guerra, la sua oltranza». Se si scomodano anche i poeti, davvero vuol dire che quello che è in atto non è cosa da tutti i giorni. Ebbene, davanti a tutto questo, cosa fa la sinistra? Si richiude nel pollaio delle sue solite risse, con i corsivi di Catilina, i doppi cortei per la pace, le permalosità di D?Alema, la ripetitività incolore, inodore, insapore di Rutelli. Abbiamo persino assistito a un macabro dibattito se sia meglio una guerra lunga o una guerra corta, come se tutto quello che spinge attorno non gridasse che davanti alla guerra c?è una sola soluzione cui attaccarsi con tutte le forze: la pace. Credendo e sapendo che la pace non è uno slogan, ma è una posizione capace di generare una visione del mondo diversa. E di dare un orizzonte a una politica, patetica prigioniera dell?autoreferenzialità. Chissà se la forza del popolo e dei poeti saprà stanare la sinistra italiana? Ps. A proposito di poeti, a partire da questo numero, per tutto il tempo della guerra, Erri De Luca, dalla prima pagina di Vita, ci aiuterà a sgranare, settimana per settimana, un rosario laico della pace.


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