Mondo

Ubriaco d’amore, la vita a passo di corsa

Recensione del film "Ubriaco d'amore" di P.T. Anderson.

di Giuseppe Frangi

Un?alba tersa di un?estate californiana. Tanta luce e tanta polvere e silenzio, tutt?attorno. Dalla porta del suo garage-officina, Barry Egan sbircia in fondo alla stradina per verificare se ciò a cui aveva appena assistito era realtà o allucinazione: nel silenzio dell?alba, un camion aveva frenato bruscamente lasciando sull?asfalto un vecchio armonium. Inizia così, con questa metafora surreale e tesa, Ubriaco d?amore, il nuovo straordinario film di P.T. Anderson, il regista che ci aveva incantati con uno dei pochi capolavori del cinema di questi ultimi anni: Magnolia. Barry Egan, interpretato da un eccezionale Adam Sandler, è in pratica un disadattato sociale. Non ha moglie, nonostante uno stuolo di zelanti sorelle lo spingano a scegliersi il partito. Ha una piccola impresa, che stenta a decollare. Ma, insieme all?armonium, quella stessa mattina nella vita di Barry s?affaccia anche una donna: matura, dolce, dal look anni 50. Barry ci mette un po? ad accorgersi che quello è l?appuntamento della sua vita. Così, prima di rendersene conto, riesce a infilarsi in un pasticcio, a base di ricatti, con una telefonista di una linea erotica. La storia è a lieto fine. Anche se per acchiappare questa felicità Barry deve impegnarsi in corse a perdifiato per rimettere insieme la sua vita. E forse, quest?istinto alla corsa è la cifra del cinema potente, visionario e felice di P.T. Anderson.

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