Incontri
Hayden: «Sulle migrazioni Europa e Onu colpevoli»
Sally Hyden è 34enne irlandese che lavora e ha lavorato fra Dublino e l’Africa per le testate internazionali più importanti: dalla Cnn a Vice, da Irish Times, New York Times al Washington Post. La Hayden è stata la prima, a cominciare dal 2018, a scoprire che cosa stava accadendo davvero nelle prigioni libiche. Ora esce in Italia il suo libro “È la quarta volta che siamo annegati”
Roberto Saviano ha scritto su 7, il settimanale del Corriere, che Sally Hayden è “una delle più importanti reporter del mondo in tema di immigrazione”. E non è un’esagerazione per questa 34enne irlandese che lavora e ha lavorato fra Dublino e l’Africa per le testate internazionali più importanti: dalla Cnn a Vice, da Irish Times, New York Times al Washington Post. La Hayden è stata la prima, a cominciare dal 2018, a scoprire che cosa stava accadendo davvero nelle prigioni libiche e in che modo i soldi europei finanziavano la Guardia costiera e i campi di concentramento allestiti in quel Paese per fermare i profughi. Ora il suo libro che ha vinto numerosi premi giornalistici, E la quarta volta siamo annegati, edizioni Bollati Boringhieri, esce finalmente anche in Italia. È un racconto scritto in modo oggettivo, rigoroso, pieno di fatti, nomi e circostanze. Ma è un viaggio nell’inferno perché le storie di questi uomini e donne assomigliano davvero tanto alle storie degli untermensch di Auschwitz. Eritrei, somali, sudanesi ridotti all’abbrutimento, alla morte per fame, al suicidio. Oggetto di violenze, torture, soprusi. Nel libro della Hayden le migrazioni non sono un fenomeno astratto. Sono i volti e le storie di Birhan, di Essey, di Abdulaziz. Trascrivo qui per Vita parte del dialogo avuto con Sally Hayden a Milano in occasione della Conferenza internazionale organizzata dalla Fondazione Oasis nell’Università Cattolica, dal titolo Cambiare rotta. I migranti e l’Europa.
Vita: Tutto comincia il 26 agosto del 2018 con un messaggio di Facebook. Poi seguito da una fitta chiacchierata via Whatsapp. A scriverti è un eritreo e il messaggio è terribile: “Siamo in prigione in Libia”. Mi hai raccontato che in realtà non eri stata tu la prima persona a ricevere questo appello disperato…
Sally Hayden: Sì, ma l’ho scoperto parecchio tempo dopo. Quel giorno ha cambiato la mia vita perché ho cominciato a raccontare le storie di quella prima prigione clandestina, vicino a Tripoli, Ain Zara. Dopo aver trovato diversi modi per avere riscontri di qualcosa che era volutamente stato tenuto segreto fino a quel momento. Ho cominciato ad accumulare testimonianze e prove di centinaia di rifugiati e migranti rimasti bloccati in Libia.
Vita: Ti si è scoperchiata davanti l’evidenza della detenzione illegale in Libia dei profughi che arrivavano lì dal resto dell’Africa… L’Europa faceva finta di non sapere.
Hayden: Come cittadina europea ho cominciato ad indignarmi per quello che stavano facendo le istituzioni che mi rappresentavano. Perché mettendo assieme le informazioni, diventava sempre più evidente che la strategia europea era spietata: non potendo impedire direttamente la partenza dei profughi, venivano pesantemente finanziati Stati, o anche capi fazione come in Libia, perché bloccassero le partenze. Non solo, la detenzione di chi aveva tutti i diritti di ottenere asilo in Europa era di fatto delegata a regimi polizieschi e dittatoriali.
Vita: Tu scrivi senza giri di parole: “Molti fra di loro chiaramente hanno diritto alla protezione internazionale, al diritto d’asilo, ma i profughi sono costretti a raggiungere illegalmente un Paese europeo perché il diritto d’asilo gli venga riconosciuto…”. L’ipocrisia sta anche nel fatto che il diritto d’asilo viene riconosciuto dall’Europa solo quando metti piede in un Paese del continente e puoi arrivarci solo “illegalmente”.
Hayden: Ad esempio l’Onu sa benissimo nel 2018 che mezzo milione di eritrei sta scappando dal proprio Paese. Che i sudanesi stanno scappando dalla pulizia etnica del Darfur e così via… Ma le organizzazioni internazionali lasciano i profughi tentare la sorte. Avranno l’asilo se dopo aver attraversato il deserto a piedi, e impegnato i soldi con i trafficanti ed evitato la prigione in Libia, riescono ad arrivare a Lampedusa…
Vita: Papa Francesco ha definito i luoghi di detenzione in Libia “lager”. In effetti tu racconti in modo dettagliato l’inferno, come l’ha definito l’Osservatore Romano. I meccanismi della violenza, dell’annientamento dell’umano, ricordano davvero le pagine di Primo Levi su Auschwitz.
Hayden: Le violenze alle donne e ai bambini, le torture, la mancanza di cibo ricordano da vicino quei meccanismi. Moltissimi, in migliaia, si sono lasciati morire o si sono suicidati. Quando ero ancora studentessa, avevo visitato Auschwitz e in quell’occasione chiesi ad una guida come si poteva paragonarsi sempre a quella tragedia. Ma la sua risposta mi colpì: semmai è difficile non diventare indifferenti. Per tornare a quello che dicevamo all’inizio, avevo scoperto che molti sapevano e avevano voltato la faccia dall’altra parte.
Vita: Racconti anche della violenza anti-cristiana contro gli eritrei da parte degli aguzzini libici, di fede musulmana…
Hayden: C’è stato anche questo nei Lager libici, ma è una pagina che resta nascosta. La storia scritta dai poveri e dagli ultimi è spesso diversa da quella raccontata dai nostri media. Ogni tanto mi chiedo: perché agli europei importa così poco quando i bambini neri muoiono nel Mediterraneo? Quante sofferenze deve patire un essere umano per essere considerato uguale agli altri?
Vita: L’Italia è stata in prima fila negli accordi con la Libia… Altro che italiani brava gente…
Hayden: Nel libro documento che il ministro degli Interni Marco Minniti firma il 2 febbraio del 2017 il Memorandum che conferma il sostegno alla Guardia Costiera libica per la “gestione delle migrazioni”, quando la Ue sa già che circa 7 mila rifugiati e migranti sono in quel momento detenuti in 24 centri del governo e ad un numero imprecisato di centri illegali. No, ho sempre raccolto molti commenti negativi sugli italiani e sul loro comportamento. Negli ultimi anni la percezione dell’Italia nel nord Africa è cambiata molto…
Vita: Non sembri avere molta fiducia nelle organizzazioni internazionali… eppure almeno sui giornali il salto di qualità su questa faccenda è avvenuto due anni fa con il rapporto del 4 ottobre 2021 del Consiglio per i diritti umani dell’Onu.
Hayden: Ho raccolto molte testimonianze diverse. Nel libro racconto fatti circostanziati e faccio nomi. Purtroppo, non sono rari i casi di corruzione di istituzioni o di Ong internazionali. Proprio perché il loro ruolo può essere importante e salvare vite umane, è giusto verificare il loro operato.
Vita: Sei stata recentemente anche in Tunisia. Come sai, c’è stato un Memorandum dell’Italia firmato a Cartagine, che per ora non ha avuto effetti. L’impressione per è che davvero si voglia riproporre il “modello Libia”, o come dicono gli studiosi “esternalizzare la frontiera”…
Hayden: Quello che ho visto a Sfax e a Tunisi è che il regime di Kais Saied spinge tutti i migranti che provengono dalla regione sub sahariana o verso il mare, destinazione Lampedusa, oppure verso il deserto della Libia, dove sono già morti molti migranti… Ed è certo che i tiranni cercano di fare pressione sull’Europa sfruttando i profughi. Anche loro si riservano una “gestione delle migrazioni”.
Vita: Sono stato direttore di Tg e autore di trasmissioni, e ti confesso che nella tv italiana d’informazione, nelle scalette dei telegiornali, i migranti, i clandestini, i profughi fanno, come si dice, “scappare gli ascolti”. Hanno questa maledetta fama. Del resto, si può dire lo stesso dei poveri, dei clochard o anche dei disabili… in genere dei “soggetti deboli”. Ma la domanda è: come possiamo non diventare indifferenti? Saremo sempre sordi alle grida d’aiuto di chi è “scartato”?
Hayden: Ti ringrazio della domanda e me lo chiedo anch’io ogni giorno, perché l’indifferenza è una violenza che non dà tregua. Mi colpisce che papa Francesco debba ricordare che ogni singola vita umana ha valore. Così come ogni vittima annegata nel Mediterraneo è una sconfitta per ognuno di noi. Per questo ho scelto questo titolo, E la quarta volta siamo annegati, per il mio libro. So che è un pugno nello stomaco, ma forse ci mantiene umani.
(qui il convegno in cui è intervenuta la Hyde, dal h 4′ 6” il suo intervento)
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