Volontariato

Siamo noi quelli della cascina san Bernardo

Così si scopre che dietro il caso che ha scosso la giunta milanese, c'è una cooperativa modello che da anni fa assistenza diurna a malati psichici

di Redazione

La loro storia assomiglia a tante altre. Otto amici, tutti intorno ai trent’anni, legati da lunga conoscenza. Uno di loro fa l’educatore in un centro per handicappati, un altro ha una bimba down. Prima l’idea, poi i contatti col Comune di Milano e la Regione Lombardia, e alla fine ristrutturano un’ala di un edificio in zona Niguarda facendone un centro diurno per disabili fisici e psichici. Il tutto dall’89 al ‘94. Oggi la storia della cooperativa sociale “Cura e riabilitazione” non è più uguale alle altre. Ha incrociato la bufera del caso Cascina San Bernardo, quella che ha agitato il Consiglio comunale milanese e coinvolto la Compagnia delle Opere, di cui la cooperativa è federata.
Antonello Bolis è il direttore di “Cura e riabilitazione”. Non ha troppa voglia di salire sul ring, anche se è nero di rabbia, si sente. Così anche noi snobbiamo i guantoni e cerchiamo solo di capire chi sono queste persone che qualcuno ha additato come abili faccendieri.
Vita: Dove nasce l’idea di un centro diurno?
Bolis: Ci siamo guardati intorno e abbiamo notato che era uno dei bisogni prevalenti. E dopo aver intrapreso il dialogo con le istituzioni, la Regione ci ha finanziati – come prevede la legge – con 350 milioni, gli altri 650 li abbiamo trovati noi con un massiccio fund raising. Così abbiamo ristrutturato quello che oggi è il centro socio-educativo “Cardinal Colombo”. E non è come gli altri.
Vita: Perché? È la filosofia che cambia o semplicemente le attività?
Bolis: Siamo convinti che il centro diurno non dev’essere un parcheggio per i disabili, perché altrimenti si snatura il senso del servizio. I centri socio-educativi sono stati pensati per instaurare profondi legami col territorio e le famiglie. Senza esagerare, io credo che a Milano siamo stati i primi a impegnarci per dare un servizio diverso, ed è stata una sfida.
Vita: Sì, ma in concreto, cos’ha il vostro centro di diverso dagli altri?
Bolis: Che invece di accogliere quindici disabili per tutto il giorno, ne assistiamo trenta per mezza giornata. Che invece di avere un educatore ogni tre pazienti, come prevede il regolamento, ne abbiamo due. Che invece di offrire un servizio, per così dire, “di massa”, noi guardiamo in faccia il singolo e non lo coinvolgiamo nelle solite attività stereotipate come i laboratori artistici, i lavoretti fatti a mano… Preferiamo portarlo in giro per musei o in piscina.
Vita: Ma se li tenete solo mezza giornata, il resto delle ore pesano sulla famiglia.
Bolis: Abbiamo trovato famiglie cui sta bene così, che c’è di strano? Perché sono convinte, come noi, che l’handicappato sia come gli altri, solo che usa male la sua libertà. È lì che nasce la malattia.
Vita: Quanti siete a tenere in vita il centro?
Bolis: Quindici educatori più una cinquantina di volontari in pianta praticamente stabile. Sono loro che preparano da mangiare tutti i giorni, che apparecchiano in mensa, che fanno la raccolta fondi quando serve.
Vita: Ma voi siete convenzionati col Comune, che quindi vi paga delle rette…
Bolis: Sì, ma solo per quindici utenti, e noi ne abbiamo trenta. La raccolta fondi serve – come in tutte le organizzazioni non profit – a dare un servizio migliore. Di qualità.
Vita: C’è stata una vittoria importante, grande o piccola, della sua cooperativa?
Bolis: I quattro disabili che non vengono più da noi perché siamo riusciti a inserirli nel mondo del lavoro. Una delle nostre attività è promuovere – naturalmente con chi è possibile farlo – degli stage in aziende. E qualcuno ce la fa davvero.
Vita: Mi tolga una curiosità: la Cascina San Bernardo doveva davvero diventare una clinica privata?
Bolis: No, il nostro progetto è per un Centro residenziale terapeutico per malati psichici. Che significa un ente non profit convenzionato col Comune o con le Asl. Un servizio per la società.
Vita: Come si metteranno le cose?
Bolis: Basterà far luce sui fatti e lasciar perdere le ideologie, e finalmente potremo procedere coi lavori.

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