Welfare

La “lista” di Simeone

La straziante testimonianza di una madre ributtata ingiustamente in carcere e la conseguenza di ciò su suo figlio Antonio

di Cristina Giudici

La chiameremo per comodità la ?lista Simeone?. Si tratta delle centinaia di persone che in ogni carcere d?Italia potrebbero fare istanza al magistrato di sorveglianza per chiedere la sospensione della pena grazie alla legge entrata in vigore il 15 giugno. Quella che segue è la lacerante testimonianza di una di queste persone, oggi in ?lista di attesa?. Le sue parole sono una riposta eloquente a chi ha accusato la legge Simeone di svuotare le carceri e riempire le strade di delinquenti. A voi il giudizio Mi chiamo Michelangela Zocco. Sono una ragazza madre, o meglio ero, perché i miei primi due figli non sono più miei. Il giudice del Tribunale dei minori ha deciso della loro vita e della mia. Avevano allora, uno quasi tre anni e l?altro due anni. Non ho potuto vederli crescere. Anzi non so nulla della vita che hanno vissuto e dico vissuto perché uno è morto a sei anni per una malattia, lontano da me, senza che potessi curarlo, accarezzarlo, confortarlo come solo una mamma può fare. L?altro Alessandro, ora ha 17 anni e ne sono passati quindici dal giorno i cui mi fu strappato. Preciso che non l?ho mai dimenticato e ho sempre cercato di stabilire dei contatti affettivi con lui, ma mi è stato negato perché il Tribunale mi ha proibito qualsiasi contatto. Il mio terzo bambino, Antonio, è un bambino meraviglioso e ha quattro anni e mezzo. L?ho voluto non per sostituire i figli persi, ma per avere la possibilità di crescere un figlio con la saggezza dell?esperienza acquisita nella sofferenza, certa di potergli donare un mondo d?amore e tutta la tenerezza che porto dentro di me. Per un po? ci sono riuscita ed è stati bellissimo finché è durato poi la giustizia che ha la memoria lunga si è ricordata di me. Così sono rientrata in carcere per pagare un nuovo debito: cinque anni di carcere. Mi ero ricostruita, con tanti sforzi, una vita umile e serena; avevo un lavoro e soprattutto in questi anni avevo avuto la voglia di essere ancora mamma, di crescere il mio bambino, di vederlo sorridere. Prima della detenzione ho dovuto spiegargli che dovevo allontanarmi da lui, lasciarlo. ma fino a oggi non sono ancora riuscita a trovare le parole giuste per rispondere ai suoi perché. «Perché mamma non torni a casa? Perché la sera non mi racconti una fiaba? Sei ammalata? Sono stato cattivo?», mi chiede. Perché sono infiniti, senza una risposta logica. Ora il mio bimbo vive con la nonna, in Calabria. La prima volta che è venuto a colloquio si è irrigidito e ha cominciato a urlare. In quel momento mi è crollato il mondo addosso. Si era rifugiato fra le braccia di mia madre e con i suoi occhioni ha continuato un pianto silenzioso pieno di dolore. Lo vedo ogni tre mesi e lo ogni volta lo stillicidio continua: «Mamma, quando torni da me?». Lontano da me Antonio non ride, non gioca. Mia madre mi racconta che spesso lo trova dietro le porte a piangere e quando gli chiede cos?ha, lui risponde: «Mamma!». É diventato un bambino chiuso, pauroso e insicuro. Questa mia testimonianza vorrebbe farvi capire quanto soffrono i nostri figli innocenti. Noi abbiamo sbagliato e commesso tanti errori,non dico che non voglio pagare il mio debito con a giustizia, ma se ci fosse una diversa possibilità, un altro modo per farlo, pagherei senza che Antonio debba patire per delle colpe che certamente non ha.

Michelangela Zocco, Milano-San Vittore


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