Cultura

La prima guerra privatizzata

Al Senato l’ex presidente del Consiglio ha tenuto una lezione di storia. Per dimostrare l’improponibilità di questo conflitto (di Giulio Andreotti).

di Redazione

Signor presidente, insieme a colleghi del nostro piccolo gruppo, ?Per le autonomie?, ho presentato una proposta di risoluzione nella quale, richiamando il valore programmatico dell?articolo 11 della nostra Costituzione, ricordato or ora dal senatore Colombo, e dell?articolo 1 del Patto Atlantico, si esclude qualunque partecipazione o collaborazione dell?Italia alla guerra contro l?Iraq. L?ultimo dibattito sulla crisi irachena fu svolto in questa sede il 19 febbraio, in un contesto in cui sembrava recuperata l?unità di azione all?interno dell?Unione Europea. Purtroppo gli sviluppi successivi hanno vanificato questa convergenza e mentre nella Convenzione si sta lavorando per elevare a obbligo costituzionale la politica estera e di sicurezza comune sancita a Maastricht, stiamo vivendo una lacerante disgregazione, anche tra i Paesi candidati. Canaglia, da quando? Ma purtroppo nel bilancio negativo dobbiamo comprendere la lesione dell?immagine e del prestigio dell?Onu, sottolineata con composta tristezza dal segretario generale Kofi Annan, quando erano ancora percorribili tentativi di soluzione negoziata. Molti di noi hanno passato una vita nella costruzione di una politica di attiva solidarietà con gli Stati Uniti, che ha avuto, nel Patto atlantico, lo strumento decisivo per salvaguardare la pace in Europa e creare le premesse per un?integrazione continentale, rimossa l?ipoteca sovietica. Respingiamo quindi con forza l?idea rude di un censimento tra amici e non amici degli americani. Non così si comportò il presidente Bush senior quando, con intelligente pazienza, guidò la grande coalizione che sconfisse Saddam Hussein in Kuwait. Se fosse stata ora dimostrata la connessione tra il regime iracheno e la nefasta attività di Bin Laden e della sua setta, sarebbe stato automatico o quasi il proseguimento della campagna dell?Afghanistan, anche se in materia sconcerta la ripresa della produzione e del commercio di narcotici nel Paese liberato dai talebani. Ma non è questa la piattaforma sulla quale si è impostata la guerra. L?operazione Iraq è motivata col proposito di punire uno Stato canaglia. Ma con quale decorrenza Saddam Hussein è tra le canaglie? Fino alla sua provocatoria operazione nel Kuwait, il personaggio, che era sempre lo stesso, ha stoltamente ricevuto l?appoggio e il sostegno di molti Paesi oggi schierati in battaglia. C?è di più: tra le canaglie vediamo elencato anche l?Iran, del quale viene sottovalutato, e anzi irriso, un processo di modernizzazione che tutti dovremmo, invece, e l?Italia lo fa, incoraggiare e sostenere. Così parlò la Nato Abbiamo il dovere di sapere quali sono gli obiettivi che il presidente Bush junior vuole raggiungere. Accendere un fuoco nell?epicentro delle risorse petrolifere può essere, a parte ogni altra considerazione, un suicidio collettivo. Si badi, dare alla crisi in corso una lettura esclusivamente petrolifera è sbagliato, ma è anche impossibile non tener conto che sullo sfondo i problemi energetici esistono eccome. Né può ignorarsi l?interesse per cui forse l?America si vuol premunire di altri grandi Paesi nell?area asiatica del petrolio. Onorevole ministro degli Esteri, occorre che sia detta in questo momento una parola chiara circa un coinvolgimento diretto o indiretto dell?Alleanza atlantica. Se, sbagliando, essa si lasciò coinvolgere nelle operazioni del Kosovo, che è fuori dall?area Nato, questo non crea certo una giustificazione per altri coinvolgimenti. Sia chiaro che forse anche la piattaforma della cosiddetta nuova strategia elaborata a Washington, a giustificazione postuma dell?operazione Jugoslavia, ma certamente la decisione del vertice di Praga del novembre 2002 costituiscono modifiche sostanziali del Trattato, che non sono valide se non vengono sottoposte alla ratifica del Parlamento. Nessuno dimentichi l?articolo 1 del Trattato, che suona così: “Le parti si impegnano, come stabilito nello Statuto delle Nazioni Unite, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale in cui potrebbero essere coinvolte, in modo che la pace, la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano messe in pericolo e ad astenersi, nei loro rapporti internazionali, dal ricorrere alla minaccia o all?uso della forza, assolutamente incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite”. Questo è l?articolo 1 del Trattato della Nato. Vorrei ricordare che già nel 1949, al momento della ratifica, il Senato americano tenne a dichiarare: “Nel caso in cui si verificasse un attacco armato contro uno dei Paesi partecipanti, noi potremo decidere legalmente, moralmente e costituzionalmente quale debba essere il nostro comportamento. Questa decisione è riservata a noi, cioè al Congresso”. Il nostro ministro degli Esteri Carlo Sforza ribadì, nel presentare il Trattato al voto delle Camere, l?esclusione dell?automatismo e la necessità di rispettare sempre le prerogative dei Parlamenti. Dopo l?attacco dell?11 settembre 2001, il Parlamento italiano ha con immediatezza dichiarato la nostra solidarietà attiva verso il Paese amico, aggredito così duramente. La situazione odierna non è affatto la stessa. Io, che sono orfano di guerra Siamo dinanzi a una sorta di privatizzazione dei conflitti. Escluso ogni riferimento alla Nato come tale, può porsi il problema dell?utilizzabilità di uomini e mezzi americani qui dislocati, richiamandoli temporaneamente dalla missione comune. Questo è l?unico aspetto su cui può, a mio avviso, approfondirsi il discorso. Onorevoli colleghi, credo che nessuno di noi, se ha visto e ascoltato il Papa all?Angelus di domenica 16 marzo, non abbia non avvertito una profonda emozione. Tornava alla mente il richiamo di Pio XII, che era andato personalmente al Quirinale per scongiurare che rimanessimo non belligeranti, quando disse: “Nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra”. Giovanni Paolo II ha ricordato, in più, la sua esperienza personale lungo il drammatico periodo di quella che è stata, e vogliamo che almeno per l?Italia sia, l?ultima guerra. Mi sia consentito di dire, a me che sono orfano della prima guerra mondiale, che non ho mai avuto difficoltà a credere nella pace. di Giulio Andreotti


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