Cultura

Imparare a far meglio, sfida per il non profit

Dopo molti anni il Terzo settore concepisce le sue attività da un punto di vista aziendale

di Redazione

Gli ultimi dieci anni, in Italia, sono stati decisivi per lo sviluppo e il riconoscimento del ruolo del sistema delle aziende ?not for profit?, a fianco del mercato e dello stato nel quadro del sistema misto per il welfare. Il fatto stesso di indicarle come ?aziende?, e, date delle condizioni definitorie e delle caratteristiche, anche ?imprese? (?imprese sociali?), dà la misura di quanto sia cambiata la concezione istituzionale e gestionale delle organizzazioni senza fini di lucro. A tale cambiamento hanno concorso vari fattori: prima di tutto fattori ?di ambiente?, ovvero, un po? in tutti i paesi evoluti, la crisi del welfare ?di Stato?, da un lato, e la redistribuzione a livello praticamente globale dei bisogni, dall?altro. Poi, fattori ?politico-culturali?, rappresentati dal diffuso orientamento a rivalutare comunque il ruolo di attori economici e sociali prima relegati in posizioni residuali, come il Terzo sistema, oppure addirittura considerati soggetti passivi – il ?welfariato? – di scelte e azioni sovra ed extra ordinate, dalla società civile attraverso la famiglia fino ad arrivare ai singoli individui. Infine, fattori endogeni al sistema ?not for profit? stesso: una organizzata presa di coscienza del proprio ruolo ai fini del welfare, del proprio peso anche economico e comunque in termini di attività e prestazioni, e di conseguenza l?assunzione di una serie di comportamenti, a livello di singole aziende, confederazioni di aziende (consorzi, organismi di rappresentanza), sistema nel suo complesso, volti da una parte a ottenere maggiore riconoscimento e migliori condizioni operative, ma, dall?altra, anche ad acquisire cultura, competenze e strumenti utili per fare il salto auspicato e richiesto. In tutto questo processo evolutivo, la formazione ha giocato un suo ruolo determinante, d?altra parte come sempre accade, in particolare laddove ci siano processi evolutivi in corso. Formazione tecnica, ovviamente, per potenziare le specifiche competenze e potere così essere competitivi e soddisfacenti in termini di qualità delle prestazioni. Ma anche, fatto nuovo per le aziende not for profit del nostro Paese, formazione manageriale, per essere competitivi e soddisfacenti anche in termini di utilizzo delle risorse produttive. Formazione quest?ultima che nel Terzo sistema italiano ha bruciato le tappe nel giro di un decennio, vantando ormai una ricca e vivace tradizione. Chi sia impegnato da un po? di tempo sulla formazione manageriale per il not for profit non può non riconoscere quali e quanti siano stati i recenti cambiamenti in tale ambito. Si ampliano i temi di intervento Come già detto sopra, un primo elemento è stato l?ampliamento dei temi oggetto della formazione, da quelli di natura tecnica, da una parte, e valoriale, dall?altra, considerati utili questi ultimi per tenere alta la motivazione degli operatori, a quelli di natura manageriale, di cui si va riconoscendo un impatto non soltanto sulla capacità operativa e dunque di servizio dell?azienda not for profit, ma anche, paradosso soltanto apparente, proprio sulla motivazione che, molto più che di enunciazioni di principi, nel medio-lungo periodo si nutre di consensi esterni, buoni risultati, buona organizzazione, buon clima interno. Viene accantonato definitivamente il dubbio che formazione manageriale significhi orientamento al business e comporti quindi perdita di identità, di missione, di specificità rispetto al business. Se la formazione è indispensabile per potersi inserire adeguatamente in una azienda, e se è preziosa di fronte a qualche fatto cruciale della vita di una azienda (a esempio l?introduzione di una nuova metodologia operativa, l?acquisizione di un nuovo segmento di mercato, una fusione), essa, in realtà, produce effetti ben più solidi e ampi nel momento in cui diviene una pratica ?normale?, e dunque ripetibile e ripetuta, nella vita di una azienda. Anche nel Terzo sistema avanza il principio della formazione continua, che, lungi dall?essere interpretata come una moda o un adempimento più simbolico-formale che altro, può seriamente aiutare l?azienda a rilevare passaggi e punti nodali e a supportarli con azioni formative stringenti e mirate. Not for profit al centro Fino a pochi anni fa, il Terzo sistema era protagonista di un ridotto numero di convegni e appuntamenti pubblici come conferenze stampa e meeting, di taglio prevalentemente politico; oggi si può dire che non passi settimana senza qualche importante iniziativa sul not for profit. Convegni, nazionali e internazionali, conferenze, seminari, incontri, si affollano sui mezzi di informazione, proponendo interpretazioni, riflessioni, dibattiti, confronti, e in generale momenti di scambio tra interlocutori di vario tipo: politici, operatori, aspiranti, studiosi, studenti, semplici interessati e curiosi. La formazione ha superato la fase della sensibilizzazione, demandata ad altre forme di attività, e si addentra sempre più in territori specialistici; titoli di corsi come: ?La certificazione della qualità per le cooperative sociali?, oppure ?Il controllo di gestione per le associazioni di promozione sociale?, o ancora ?Selezione, motivazione e gestione delle risorse umane volontarie?, che sarebbero suonati a dir poco ardimentosi solo qualche anno fa, ora sono piuttosto comuni e rispondono a precise richieste delle aziende. Si tratta di prodotti formativi più o meno lunghi, residenziali e non, intensivi (diverse ore al giorno) e con frequenza obbligatoria ai fini delle attestazioni finali, con partecipazione a numero chiuso, rivolti a piccoli gruppi di persone (massimo 25-30), con un carattere didattico e fortemente interattivo e applicativo, che possono essere realizzati anche su commessa, e quindi riuscire a rispondere al meglio alle esigenze dello specifico destinatario. Come in tutti gli ambiti, anche in quello not for profit la formazione è passata in pochi anni dalla lavagna con i gessi al distant learning, che, insieme a metodologie di taglio auto-didattico, riscuote un gradimento crescente per la sua flessibilità di utilizzo e possibile personalizzazione dei contenuti e dei modi. Alle iniziative formative in senso stretto, tradizionali e innovative che siano, si affiancano attività di tutoraggio, a esempio per la realizzazione di progetti, e anche attività di consulenza, che rappresentano comunque occasioni di condivisione e trasferimento di conoscenze ed esperienze, dunque occasioni, empiriche, di apprendimento. (Anna M. Alessandra Merlo)


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