Cultura

Voci da Bagdad

Mentre la guerra infuria, la macchina umanitaria continua a lavorare. Vita ha sentito tre grandi organizzazioni in prima linea nell’emergenza irachena (di Stefano Arduini e Monica Piccini).

di Redazione

Caritas Iraq, 87 chiese pronte a farsi rifugio Della guerra in Iraq tutto si può dire eccetto che non fosse attesa. Mesi di preparazione che a Bush sono serviti per armare i cannoni e alle organizzazioni umanitarie, invece, per predisporre piani di intervento in soccorso delle popolazioni locali. “Sembra paradossale, ma è andata proprio così”, conferma Paolo Beccegato, responsabile dell?area internazionale per Caritas Italia, in contatto ora dopo ora con il centro di coordinamento di Amman, dove per conto della rete internazionale di Caritas lavora il tedesco Hanno Schaefer. RIFUGIATI/SFOLLATI L?Unhcr, l?Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, stima in 600mila il numero delle persone che potrebbero lasciare l?Iraq in seguito al conflitto. La meta più facile da raggiungere dovrebbe essere la Giordania, e per questo Caritas ha predisposto, con il supporto della chiesa cattolica di Amman, centinaia di locali che daranno rifugio a 2mila persone, che si andranno ad aggiungere ai 300mila profughi iracheni già presenti nel Paese. “Fino ad ora la situazione è ancora tranquilla”, ammette Beccegato, “nessun profugo ha raggiunto il nostro quartier generale ad Amman, ma questo non significa che non ne arriveranno. Noi siamo pronti ad ospitarli in case messe a disposizione dalle famiglie cattoliche giordane, e solo in caso di emergenza allestiremo campi e tendopoli”. Intanto, altre 2mila persone sono riparate in Siria, accolte dalla Caritas locale, mentre da Mosul (nord dell?Iraq) starebbero scappando oltre 1.300 famiglie. Di questi sfollati si stanno occupando i centri di Mosul e Kirkuk. “La rete di Caritas”, spiega Beccegato, “può contare su 14 centri, 8 piccoli ospedali completamente attrezzati di ossigeno, medicinali, beni di pronto consumo, letti, materassi, coperte e lenzuola, ma soprattutto su 87 chiese che abbiamo messo a disposizione degli sfollati interni e di chiunque abbia bisogno di soccorso. Di qualsiasi nazionalità e religione”. Ma come si spiega che il numero di rifugiati sia ancora inferiore alle previsioni? Beccegato pensa che questa sia una conseguenza dell?anticipato ingresso via terra delle truppe angloamericane, “una strategia che di fatto ostruisce le vie di fuga. In ogni caso sarei cauto nel fare previsioni, sono passati pochi giorni dall?inizio della guerra e le notizie sono ancora frammentarie”. TASK FORCE UMANITARIE Una cautela che ha spinto il coordinamento internazionale di Caritas a costituire per tempo vere e proprie task force umanitarie. Si tratta di 28 tecnici divisi in sei gruppi operativi stanziati in Iraq, Kurdistan iracheno, Iran, Turchia, Siria e Giordania. A loro in caso di emergenza, è demandato il compito di affiancare e guidare gli operatori permanenti già presenti sul posto. “Ogni squadra”, precisa Beccegato, “è composta da un tecnico sanitario, un coordinatore logistico e un responsabile organizzativo”. Fra di loro non vi sono italiani, “la maggior parte sono occidentali”, interviene ancora il responsabile di Caritas, “ma è importante segnalare la presenza di operatori mediorientali”. Fra i paesi confinanti l?Iraq, quindi, Caritas non è presente solo in Arabia Saudita (“lì non esiste una Chiesa cattolica”) e in Kuwait (“dove la comunità cattolica non è significativa e comunque non è facile immaginare che la gente scappi verso sud da dove arrivano gli americani”). VOLONTARI La presenza di Caritas sul teatro di guerra può contare sull?impegno di 80 operatori iracheni, supportati da 400 medici e 200 volontari che compongono lo staff internazionale. A loro è affidato il compito di gestire l?aiuto durante la guerra e la successiva ricostruzione. “è importante che una volta messe a tacere le bombe”, interviene Beccegato, “la ricostruzione sia portata sotto la bandiera delle Nazioni Unite, e non sotto quella americana: questo per non creare nella testa degli iracheni sovrapposizioni fra chi combatte e chi guida la colonna degli aiuti. In caso contrario si metterebbe in pericolo l?incolumità stessa degli operatori umanitari che potrebbero divenire facili bersagli della rappresaglia”. RACCOLTA FONDI Per sostenere l?impegno in Iraq (“sarà un intervento di lunghissimo periodo, oltre alla costruzione di edifici dovremmo ricostruire l?anima di un Paese”, sottolinea Beccegato), la Caritas ha lanciato una raccolta fondi (causale ?emergenza in Iraq?, c/c postale 347013 e c/c bancario 5000X34, Abi: 05696, Cab: 03202 presso l?agenzia Roma 2 della Banca Popolare di Sondrio). Intanto una prima tranche di 150mila euro è già stata messa a disposizione di Caritas Iraq ed è servita, oltre che per rifornire i magazzini di ospedali e chiese, ad acquistare sei ambulanze destinate ad Amman, tre che rimarranno a Bagdad e altri tre autocarri che serviranno a trasportare materiali, medicinali, viveri e profughi da e verso le zone più isolate del Paese. Un ponte per A Bassora, la disperata lotta per l?acqua Secondo il presidente di Un ponte per, storica ong italiana presente in Medio Oriente dall?inizio degli anni 90 dopo la prima guerra del Golfo, l?Iraq rimane un Paese ?faticoso?, dove anche fare attività umanitaria è difficile “ma noi ci siamo abituati, anche se abbiamo ancora qualche problema con le amministrazioni locali, talmente burocratizzate da limitare di fatto i nostri movimenti”. Una situazione non certo ideale che non ha però tarpato le ali a quelli di Un ponte per: “In queste ore ci stiamo attrezzando per fare fronte ai due nodi umanitari che ci allarmano maggiormente: gli sfollati e i rifornimenti elettrici e idrici”, spiega il presidente Fabio Alberti, appena rientrato da Bagdad. GLI SFOLLATI Alberti preferisce parlare di sfollati interni piuttosto che di profughi in fuga verso i Paesi confinanti, “questo perché il deserto che circonda Bagdad probabilmente impedirà un esodo massiccio e gli abitanti della capitale si ammasseranno alla periferia del centro urbano”. Proprio lungo la cintura di Bagdad, un Ponte per sta quindi allestendo una serie di piccole tendopoli pronte ad accogliere i fuggiaschi. L?associazione sta anche monitorando la situazione anche nel nord del Paese, “dove sembra”, interviene Alberti, “che vi siano colonne di profughi dirette verso la Turchia e l?Iran”. L?ACQUA A Bassora, la più importante città meridionale dell?Iraq, in questi giorni ci sono oltre 40 gradi, non c?è acqua potabile e nemmeno l?energia elettrica, mentre continua l?assedio delle forze alleate. “Se a Bagdad, dove sono stato pochi giorni fa”, testimonia Alberti, “la gente vive con raziocinio i bombardamenti tanto che in alcune ore del giorno gli abitanti escono dai rifugi per andare al mercato o a fare rifornimento di benzina, da Bassora arrivano notizie tragiche”. Un ponte per ha quindi deciso di sospendere i progetti di edilizia scolastica e di costruzione di una nuova centrale elettrica (“costruire sotto le bombe non avrebbe senso”) per concentrare gli sforzi nella depurazione dell?acqua. “Per dare la possibilità ai 10 ospedali della città di funzionare e alla popolazione di sopravvivere”, riferisce il numero uno di un Ponte per, “abbiamo portato laggiù diversi serbatoi per conservare l?acqua potabile e numerosi generatori di elettricità in modo da rendere possibile la depurazione”. Tutti i materiali sono stati acquistati in Iraq, “in questo momento non è possibile importare nulla”. Un lavoro di questo tipo è incominciato anche a Bagdad, dove interi quartieri sono rimasti al buio e all?asciutto, “nella capitale ci siamo serviti anche di piccole centraline elettriche mobili, in modo tale da avvicinarle di volta in volta ai centri di emergenza”. VOLONTARIE In queste ore due volontarie di Un ponte per si trovano a Bagdad per coordinare l?attività umanitaria. Si chiamano Simona Torretta e Marinella Correggia. Il loro primo compito sarà l?allestimento di un campo di accoglienza per mille persone che l?associazione romana gestirà di comune intesa con l?ong Terre des hommes, Ics e la Mezza Luna rossa. “Per motivi di sicurezza”, spiega Alberti, “preferiamo che le nostre due connazionali non si rendano reperibili con la stampa”. Una precauzione che però nasconde anche il timore che non sia assicurata loro la piena libertà di movimento, tanto che se le cose stessero effettivamente così “dovremo valutare l?ipotesi di farle rientrare”, rivela Alberti. Non rientreranno sicuramente, invece, le 16 persone che costituiscono lo staff iracheno di Un ponte per e che stanno già coordinando il loro intervento con i responsabili della Mezza Luna rossa. RACCOLTA FONDI Fabio Alberti è stato il promotore, nei giorni precedenti allo scoppio delle ostilità, della nascita del Tavolo di solidarietà per le popolazioni dell?Iraq, un cartello di oltre trenta associazioni che si propone di coordinare l?intervento umanitario senza “creare inutili concorrenze fra le ong”. Ad oggi il budget messo a disposizione dei progetti relativi agli sfollati e alla depurazione dell?acqua ha impegnato 150mila euro, “ma l?obiettivo è di dare da bere ad almeno 200mila persone”, confessa Alberti, “e per questo abbiamo bisogno di raggiungere quota 500mila euro”. Un obiettivo possibile e concreto. Per chi volesse inviare un contributo sono attivi il c/c postale 507020 e il c/c bancario di Banca Etica 108080, Abi: 05018, Cab: 03200. Terre des Hommes, da Bagdad Con pochi mezzi a reggere l?assedio Bruno Neri, responsabile della missione in Iraq per Terre des hommes è al telefono con il collega, l?operatore Pietro Gigli rimasto nella capitale irachena. La ong con sede a Milano è una delle uniche due organizzazioni italiane con il permesso, da parte delle autorità irachene, di rimanere a Bagdad in questi giorni di guerra. L?altra è Un ponte per. Mentre la maggior parte dei funzionari delle Nazioni Unite è stata evacuata per problemi di sicurezza. Un albergo a vista “Beh, come va?”, chiede Bruno, originario di Reggio Calabria, con 15 anni di cooperazione alle spalle, dalla prima guerra del Golfo ai Balcani. “Non so come risponderti” dice l?altro. “Il governo di Saddam”, spiega Pietro all?altro capo del filo, “ha ordinato di spostarci ad Al Fanar, l?albergo dove sono già concentrate le altre ong straniere e gli scudi umani. Questo entro due giorni”. La Red Crescent, la Croce Rossa musulmana, prevede per Bagdad un assedio di 20 giorni, un mese. “Sicuramente ci spostano per un problema di sicurezza”, spiega Bruno, “ma anche perché così il governo iracheno può controllare meglio il nostro operato”. Lo stesso controllo che potrebbe essere alla base della richiesta di comprare i prodotti di prima necessità, come pannolini, coperte e asciugamani, non in territorio iracheno, bensì dalla Red Crescent siriana. “In questo modo potremmo perdere il pieno controllo della merce acquistata, come nel caso delle tende”. Al momento, all?interno dell?Iraq, sono disponibili 225 tende dell?Unicef, di cui solo 40 (per 6 persone ciascuna) destinate alla capitale, per un disponibilità totale di mille e 800 posti. Quasi nulla se si pensa che nella sola Bagdad sono previsti 100mila sfollati. I negozi in città sono quasi tutti chiusi, ma le attività commerciali continuano. “Fino ad ora il budget speso in prodotti di prima necessità (non alimentari) è stato di 40mila euro da distribuire tra circa 500 persone. Per garantire l?assistenza a 1.500 persone, quante ne abbiamo previste, dovremmo raccogliere altri 100mila euro”. Il diktat umanitario Dal momento del suo ritorno sul confine iracheno Bruno coordinerà gli aiuti umanitari da Amman in Giordania, che è anche l?aeroporto dove si atterra per raggiungere Bagdad, distante 12 ore d?auto. A lui chiediamo: qual è il pericolo più grande di chi si trova oggi in Iraq? “Quello di rimanere bloccati in una stanza d?albergo”, risponde. Tanto più che gli americani stanno dettando legge anche per quanto riguarda il coordinamento degli aiuti umanitari. “Prima noi ong dovevamo registrarci presso la Red Crescent, adesso bisogna invece registrarsi a Kuwait City presso l?Umanitarian operation center, che è un organismo che fa capo ai militari statunitensi. Info: Comportamenti di pace Adotta un curdo Opera per il sostegno alla soluzione politica della questione curda: è Azad, associazione di solidarietà per la libertà del popolo senza patria. Azad ha attivi progetti in un campo profughi nel Kurdistan iracheno e turco. L?area di intervento è socio-sanitaria e scolastico-formativa. Per sostenere i progetti è possibile attivare sostegni a distanza. Info: ass.azad@libero.it e tel. 06.57302933 Stop Esso war Usare l?auto, si sa, non è un?abitudine ecologica, ma una volta tanto potrebbe essere utile alla causa della pace. È necessario però un piccolo accorgimento: evitare di rifornirsi alle pompe della Esso. Società petrolifera, ci ricorda rete Lilliput, che ha vinto il mega appalto di 48 milioni di dollari per la fornitura di carburante all?esercito americano. Code pink/codice rosa Codice arancione, Codice rosso? Grazie, preferiamo il Codice rosa! Le pacifiste americane non ne potevano più di stare dietro agli schizofrenici allarmi lanciati dal Pentagono: terroristi, antrace, collasso delle Borse. Che vita era mai quella? Molto meglio rilassarsi e manifestare per la pace vestendo un drappo rosa. Senza allarme. Bowling a Columbine Si può capire la guerra (fascino perverso delle armi, compreso) e apprezzare la pace davanti alla tv? Certo se lo schermo sta trasmettendo Bowling a Columbine, il documentario di Michael Moore, premiato con l?Oscar. Non che sia facile incontrarlo nei palinsesti nostrani, poco male visto che da questa settimana sarà finalmente possibile affittarlo in videoteca. di Stefano Arduini e Monica Piccini


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