Europa

L’Europa a 30+, sogno o realtà?

Nel discorso sullo stato dell'Unione all'emiciclo di Strasburgo la scorsa settimana la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha rilanciato il tema dell'allargamento. “In un mondo dove contano peso e dimensioni”, ha affermato, “è chiaramente un interesse strategico dell'Europa completare la nostra Unione”.

di Paolo Bergamaschi

Ursula von der Leyen

“Per essere credibili dobbiamo parlare di tempi e di compiti da svolgere…. Mentre prepariamo la prossima agenda strategica dell’Ue dobbiamo darci un obiettivo chiaro. Io credo che entrambe le parti debbano essere pronte all’allargamento entro il 2030…..”. Con queste parole rivolte ai capi di governo dei sei Paesi dei Balcani occidentali riuniti a fine agosto in Slovenia il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha assunto pubblicamente un impegno che molti dubitano sarà rispettato. Sono trascorsi ormai vent’anni da quando a Salonicco i leader dell’Unione promettevano una prospettiva europea agli stati emersi dalla tragica deriva jugoslava degli anni novanta. Si era allora alla vigilia del grande ampliamento che l’anno successivo avrebbe riunificato il vecchio continente con l’adesione all’Ue di otto nuovi membri dell’Europa centro-orientale. C’era una diffusa euforia; la corsa all’integrazione sembrava inarrestabile. Nel 2013 toccava alla Croazia fare il suo ingresso ufficiale nella famiglia europea ma da quel momento la spinta si esaurisce lasciando campo ad una malcelata stanchezza che sfocia in aperta diffidenza. “Le porte dell’Ue rimangono aperte”, ribadivano a Bruxelles, ma le condizioni di accesso si facevano sempre più gravose e cervellotiche frustrando le aspettative dei candidati. Si è trattato di un penoso tiramolla degenerato spesso in una irridente manfrina.


Nel solenne discorso sullo stato dell’Ue all’emiciclo di Strasburgo la scorsa settimana la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha rilanciato sull’argomento. “In un mondo dove contano peso e dimensioni”, ha affermato, “è chiaramente un interesse strategico dell’Europa completare la nostra Unione”. Anche se non si è sbilanciata su una data la Von der Leyen ha rimesso l’allargamento tra le priorità dell’agenda dell’Ue dopo anni di colpevole stallo. La ragione del cambio di passo è presto detta. L’aggressione russa all’Ucraina ha mutato radicalmente gli scenari geopolitici. I Balcani sono diventati area contesa da sottrarre all’influenza destabilizzante di Mosca. La guerra in corso, inoltre, ha allungato la lista dei pretendenti che bussano alla porta di Bruxelles. Ai sei Paesi dei Balcani, infatti, dal giugno scorso si sono aggiunti la stessa Ucraina, la Moldavia e la Georgia. Si moltiplicano intanto le discussioni fra gli esperti degli istituti di ricerca incaricati di prefigurare il funzionamento di un’Europa “a 30 +” come l’ha definita la Von der Leyen mantenendo incerto il numero dei membri.

“Il processo di adesione si fonda sul merito” ripetono come un mantra i tecnocrati di Bruxelles sancendo che non faranno sconti per quanto riguarda le riforme che i richiedenti sono obbligati ad adottare prima dell’ingresso nella casa comune. Non fosse che all’interno del condominio si levano voci discordanti fra gli inquilini su come gestire gli affari dell’edificio allargato che con le regole attuali vacilla. C’è chi, come Polonia e Ungheria, non ha alcuna intenzione di cancellare l’obbligo di unanimità in politica estera e chi, come Francia e Germania, ha fatto sapere che senza l’introduzione del voto a maggioranza qualificata non si potranno accogliere nuovi ospiti. Per questi ultimi si ipotizza addirittura una “clausola di fiducia” che impedirebbe loro di esercitare il diritto di veto. Si ragiona, nel frattempo, su un percorso di integrazione a tappe con l’inclusione dei nuovi membri in campo economico, quindi nel mercato unico, senza la loro piena partecipazione sul piano istituzionale. Il quadro, però, è tutt’altro che roseo. La normalizzazione delle relazioni fra Serbia e Kosovo è un miraggio, in Bosnia-Erzegovina, come ha stabilito la Corte Europea dei Diritti Umani, vige un’etnocrazia che esclude i cittadini che non si riconoscono nei gruppi etnici dominanti, per non parlare di Georgia, Moldavia e Ucraina alle prese con conflitti congelati o in corso con la vicina Russia.

Unica eccezione è il Montenegro i cui negoziati di adesione sono in fase avanzata. A Podgorica, inoltre, l’euro è la moneta ufficiale dal 2006, anno dell’indipendenza. Con i suoi 600.000 abitanti l’ingresso del piccolo stato adriatico non comporterebbe particolari problemi per Bruxelles e darebbe un segnale forte agli altri candidati dimostrando che l’allargamento non è solo una vaga promessa. Il cantiere è aperto, i lavori sono in corso. Purché non durino all’infinito.               

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