Migranti

Nel caos di Lampedusa, l’accoglienza semplice degli isolani

Da oltre 24 ore i residenti si prodigano per portare soccorso al grande numero di persone sbarcate. Un'accoglienza fai da te: chi offre una pizza, chi scarpe e vestiti. La parrocchia ha aperto la Casa della Fraternità. In cucina, Grazia Raffaele e Enzo Riso: «L'abbiamo sempre fatto»

di Alessandro Puglia

Chi apre la porta di casa e cucina un piatto di pasta, chi porta indumenti e giocattoli al porto commerciale, dove i migranti si riparano dal sole vicino ai camion in partenza. Chi dal proprio negozio prende scarpe e vestiti, chi offre un letto, un materasso, un piumone.  Come già accaduto nella storia recente dell’immigrazione, i lampedusani danno ancora una volta lezioni di solidarietà al mondo intero. Lo fanno nel momento del bisogno, negli stessi istanti in cui le presenze dei migranti arrivano quasi a quota settemila, nell’isola dove i residenti sono poco più di seimila. Lo fanno mentre i barchini approdano in porto e centinaia di persone aspettano stremate al molo Favarolo per essere trasferite nell’hotspot che può contenere non più di sei cento persone.

I migranti hanno così lasciato il centro e come accadeva nel 2009 o nel 2011 hanno incontrato la comunità «che già sa quello che deve fare» ricorda Grazia Raffaele,  52 anni volontaria della parrocchia di San Gerlando.

Per volere dell’arcivescovo di Agrigento, monsignor Alessandro Damiano, il parroco di Lampedusa Don Carmelo Rizzo ha aperto la Casa della fraternità per accogliere parte dei migranti presenti sull’isola. Grazia insieme al marito, Enzo Riso, pescatore dell’isola, sono in cucina. A pranzo hanno preparato riso al pomodoro, petti di pollo panati al forno e poi hanno offerto le pesche.


Al momento qui sono accolte una trentina di persone, donne con i loro mariti e bambini. «Non sappiamo parlare l’inglese e il francese, ma ci capiamo con gli occhi. Due bimbi avevano delle scottature in testa, chissà per quanto tempo sono stati in quei barchini di ferro sotto al sole cocente», racconta Grazia volontaria in parrocchia da oltre 15 anni. «Non ci aspettavamo di rivivere quello che abbiamo vissuto 12 anni fa, non è cambiato nulla», aggiunge.

Qualsiasi cosa serve per l’accoglienza dei migranti alla Casa della fraternità arriva: merendine, succhi di frutta, pannolini, medicinali, vestiti. E anche i turisti fanno la loro parte. «Mia figlia Nunzia di ritorno dalla via Roma mi ha raccontato che i turisti compravano pizze e offrivano piatti di pasta».

Grazia va a fare un po’ di spesa, e neanche a dirlo quello che si spende viene direttamente dalle tasche dei lampedusani. «Ci aspettiamo qualcosa in più dalla Caritas e mi chiedo come si fa ad accogliere queste persone in gazebi così piccoli, qui servono strutture della Protezione Civile, perché non sono state mai fatte?», chiede la volontaria.

In ogni angolo dell’isola c’è una storia di solidarietà che si manifesta: «Ho incontrato dei ragazzi in strada che si stavano dividendo un panino, li ho presi e li ho portati a mangiare. Oggi è il giorno del mio compleanno e Gesù mi è venuto a trovare: facendomi dare da mangiare all’affamato non poteva farmi regalo più bello» scrive Pina Esposito in uno dei tanti gruppi su Whatsapp che qui nascono spontaneamente per coordinarsi al meglio in questa ennesima grande prova di solidarietà.  

Nella foto Enzo Riso e Grazia Raffaele volontari della parrocchia di San Gerlando di Lampedusa, sotto una mamma con il proprio figlio accolti nella Casa della Fraternità

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