Formazione

Perché sarà sociale il manager che verrà

«Fino ad ora erano astuti navigatori dell’attualità», spiega Pier Luigi Sacco, «oggi servono visionari, con grande carica motivazionale e spessore umanistico». Come i numero uno sociali

di Francesco Maggio

Il manager oggi? Sta cambiando radicalmente pelle. Quelli che fino a poco fa erano i suoi punti di forza (la razionalità, la rapidità decisionale, il pragmatismo sempre e comunque, un sistema premiante legato al reddito) sono diventati i suoi punti di debolezza. Le nuove parole d?ordine sono: intelligenza emotiva, capacità di essere ?visionari?, relazionalità, identità. Insomma, le stesse che deve possedere il manager del sociale. E chi non si adegua, è proprio il caso di dirlo, è perduto. A essere così drastico è Pier Luigi Sacco, professore straordinario di politica economica all?Istituto universitario di architettura di Venezia, che ci spiega le ragioni di questo profondo mutamento. Vita: Professore, cosa ha innescato questa sorta di rivoluzione? Pier Luigi Sacco: Bisogna fare un passo indietro. Negli anni 80 e 90, il leit motiv della dottrina aziendale era il seguente: l?impresa cresce, l?azienda produce automaticamente benefici per il territorio, io manager sono responsabile di questa crescita e, quindi, non devo far altro che esplicitare la mia razionalità tecnica di uomo che crea risorse per tutti. Vita: Oggi, invece? Sacco: Oggi, invece, da un lato la crescita si sta fermando, dall?altro i livelli di benessere rimangono altissimi e in una situazione simile le persone hanno enormi aspettative, soprattutto in termini di qualità della vita. Il manager, quindi, deve sapersi creare intorno un ambiente ?umano? che gratifichi i collaboratori e li motivi a lavorare a un progetto condiviso di sviluppo incentrato su un sistema di relazioni . Vita: Come fare? Sacco: Travasando, tout court, il mondo valoriale dell?impresa sociale. Con difficoltà enormi, certo, soprattutto di ordine culturale. Vita: Si spieghi meglio Sacco: Nel senso che l?impresa profit vive questo travaso in modo strumentale. È affascinata dall?idea del processo condiviso ma tende a farlo diventare immediatamente uno strumento per motivare. Ma, facendo così, sbaglia, destituisce di ogni credibilità il ?passaggio?. E poi c?è la ?questione territorio?. Vita: In cosa consiste? Sacco: Oggi un?impresa che produce valore non lo fa solo garantendo al territorio un certo livello occupazionale o certi livelli di crescita. Ha bisogno di entrare in un rapporto simbiotico con esso, deve diventare membro della comunità, deve, in sostanza, sapersi fare accettare, altrimenti tutta una serie di economie locali, di cui ha un grande bisogno, non si realizzano. Vita: C?è una ricetta, in proposito? Sacco: No. Però ci sono alcuni accorgimenti cui tener conto. Per esempio, un?impresa che investe su una determinata area ha bisogno di formare delle risorse umane e, quindi, di collaborare con il sistema formativo locale. Ma su che basi va a dialogare? Ha bisogno di dare qualcosa, non solo di chiedere. La responsabilità sociale può essere un ottimo punto d?incontro che, nel caso specifico, vuol dire formare risorse a prescindere dal fatto che queste diventino immediatamente utilizzabili dall?azienda. Vita: Quali caratteristiche deve avere un manager per poter vincere una simile sfida? Sacco: Diverse. Deve avere elevate dosi di intelligenza emotiva, una grande carica motivazionale che non si riduca a strumentalità tecnica, un forte spessore umanistico, interessi eterogenei, curiosità intellettuale. Da non confondere, quest?ultima, con la superficialità, come è accaduto negli anni 80 e 90, quando la cultura manageriale si è intrisa di mode passeggere riprese da una pubblicistica che, dal punto di vista intellettuale, faceva veramente ribrezzo. E poi il manager oggi deve essere un visionario, uno capace di scavalcare la logica dell?attualità. Vita: Ma questo manager in Italia c?è già? Sacco: Questo manager in gran parte ci potrebbe già essere, nel senso che in Italia esistono tutte le premesse per formare manager con tali peculiarità. Purtroppo da noi si è trapiantata la dimensione peggiore di un certo tipo di cultura anglosassone del capitalismo, che ha scambiato il pragmatismo con la miopia. Il manager da noi si è trasformato molto spesso in un astuto navigatore dell?attualità, incapace, però, di pensare allo sviluppo della sua azienda in una prospettiva di medio-lungo periodo. In questo senso l?impresa sociale può dare un significativo contributo: se un manager di una grande azienda si prendesse il lusso di guidare per due o tre mesi una piccola impresa sociale, imparerebbe tantissimo. Non di rado, infatti, i top manager vengono reclutati all?interno di un mondo che certi aspetti della relazionalità non li conosce affatto e questa miopia produce risultati drammatici.


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